L’isola che non c’è di Bennato è una di quelle canzoni che ascoltavo a quattordici, quindici anni con l’mp3 mentre pedalavo verso scuola, tra medie e superiori. Legavo la bici, camminavo verso i miei compagni, cambiavo traccia. Ai miei tempi, le canzoni non-da-sfigato erano per esempio Poker Face di Lady Gaga, Tik Tok di Ke$ha, Right Round di Flo Rida. Mi vergognavo, e chissà quanti come me, per la musica, i vestiti, i capelli, l’apparecchio, il corpo, l’alito, i peli. Ha ragione Proust nella Recherche, (parafrasando) l’adolescenza non è di per sé complessa, ma piena di maschi, femmine, persone non binarie, che soprattutto in quel periodo sono, in modi differenti, i prodotti per lo più inconsapevoli della ‘mitologia’ patriarcale – «gli uomini e le donne sono costruzioni metonimiche» scrive Preciado in Sono un mostro che vi parla (Fandango, 2021). Le donne, però, sono le prime vittime; basta che parliate con le vostre sorelle, le vostre amiche per farvi un’idea di che succede là fuori. I dati dicono lo stesso, per esempio un report UK del 2021 comprova che il 97% delle donne tra i 18 e 24 abbia subito un’aggressione sessuale.

È il punto di partenza necessario per guardare How to Have Sex – l’esordio alla regia di Molly Manning Walker, vincitore della categoria Un Certain Regard a Cannes 2023 – dalla giusta distanza. La storia è quella di Tara (Mia McKenna-Bruce), Em (Enva Lewis) e Skye (Lara Peake), tre amiche britanniche della gen Z, che alla fine del primo ciclo di studi (attorno ai quindici-sedici anni in UK) partono verso Creta, per bere, ballare, fare sesso. C’è però un ‘problema’, o almeno sembra tale: Tara non l’hai mai fatto, e se non lo fa in questa vacanza non lo farà mai più, come le dice la sorella Skye. 

Se Good Thanks, You? (cortometraggio presentato sempre da Walker a Cannes 2020) studia le conseguenze dello stupro subito dalla regista, How to Have Sex esamina cause e concause, epigenetiche e non, di un fenomeno, ossia ciò che accade, appare, quando adolescenza e sesso si toccano. Le protagoniste di Walker sono inseguite da una camera asfissiante, appiccicata al sudore dei loro corpi, al loro sguardo. È una messa in scena iper-fisicista, lo stereotipo dell’alcol è disinnescato, il party esplode e Tara ne è sia oggetto sia soggetto. L’interpretazione di Mia McKenna-Bruce centellina un’implosione fragorosa, che amplifica l’hic et nunc della storia, nessun coming of age drammatico-romantico, bensì l’analisi di un momento, fra coercizione, violenza, aggressione, abuso, che Walker trasforma in una spirale epifenomenica, in cui ogni fattore va considerato contestualmente all’emotività feroce dell’adolescenza: nessuno vuole essere il «controesempio» a quell’età, tutti in equilibrio tra desiderio di essere come, la sensazione di dovere per, la necessità di non sentirsi in ritardo a. Dunque, il tema del consenso, in How to Have Sex, è compresso tra conformità e desiderio: la protagonista ‘preferisce’ Patty a Badger (Shaun Thomas) perché il secondo (che in realtà le piace di più), è troppo sfigato secondo le sue amiche. 

Il suggerimento della regista è quello di ribaltare il punto di vista, spostare l’attenzione da Tara e concentrarsi su Tara e Paddy (Samuel Bottomley). D’altronde il sesso si fa in due (vero?): perché, allora, il ragazzo, nonostante lei abbia detto (un timido) sì, non si assicura nuovamente che Tara voglia quello che vuole anche lui? Come può non considerare l’insofferenza oggettiva, seppur parzialmente taciuta, di Tara? Domande simili sono state poste dalla troupe di Walker a ragazzi e ragazze (della stessa età delle protagoniste del film) di Londra, Manchester e Nottingham. Dopo aver letto in anteprima parti della sceneggiatura del film, è stato chiesto loro cosa pensassero dell’esperienza sessuale di Tara con Paddy: per molti e molte non si tratta di un’aggressione, Tara avrebbe dovuto dire qualcosa – eppure lo fa, a modo suo, il giorno seguente, alle amiche racconta che non le è piaciuto tanto da rifarlo, «non voglio ritrovarmi la sabbia ovunque» dice. 

Nonostante le ragazze siano minorenni, la presenza dei ragazzi è impalpabile, in perfetto stile anglosassone: esiste solo la festa, le sue direzioni, come luogo archetipico in cui il campo di forza sociologico agisce in tutta la sua veemenza, in più direzioni. Così può capitare che una sera Tara sia inclusa in un nuovo gruppo di amici e in un’altra sia vittima di Paddy. L’idea migliore di Walker penso sia questa: costruire la storia attorno alla violenza, non sulla violenza, che resta provocatoriamente presunta, non perché non sia oggettiva, ma perché Tara stessa la questiona, ci ripensa, la negozia, infine la ammette, quando è lontana da sé stessa, in aeroporto – lo racconta anche Alice Sebold in Lucky (Edizioni e/o, 1999), che Walker di sicuro conosce bene: «la gente là fuori […], che viveva ancora nel mondo in cui avevo vissuto anch’io, mi era diventata irraggiungibile». 

Da un lato, ciò che accade in How to Have Sex è immaginabile sin dall’inizio, non c’è alcun colpo di scena, perché le dinamiche di potere, di controllo, sono prevedibili, si ripetono, si assomigliano, e a quell’età raggruppano e separano, formano una pompa sociale che spinge verso uno status, riconosciuto, ammirato, voluto, determinato dal contesto. Nel caso di Tara il target è il sesso, perché a quell’età «se non pensi a scopare a che pensi?», ricorda Skye. Dall’altro, interroga differentemente uomini e donne. Ho provato a raccogliere diverse opinioni sulla storia di How to Have Sex e mi sono accorto che per gli uomini il film racconta di un evento tragico che può accadere, al contrario molte donne hanno visto rappresentato ciò che si aspettano accada loro prima o poi, non perché in mezzo alle gambe hanno altro dal pene, ma perché sono socialmente categorizzate come donne, femmine in una società patriarcale. Questo plasma e inquina l’importanza di una pratica del consenso ‘bouletica’, ossia basata sulla volontà personale, sul desiderio contingente (che resta modificabile), e non ‘deontica’, cioè influenzata da regole sociali, contestuali, di uniformazione a uno standard [l’importanza di un consenso bouletico, non deontico]; la smussa, adatta, capovolge, depotenzia, e durante l’adolescenza avviene in modo inconsapevole, anche per la mancanza – lo sappiamo – di un’educazione sessuale e affettiva strutturata nelle scuole (di sicuro in Italia), e non a causa di una presunta lassezza valoriale e/o morale dei giovani (è un argomento retorico vecchio quanto Platone e i suoi dialoghi), o a causa dell’iper-fruizione della pornografia che secondo alcuni sarebbe alla base della cosiddetta sex recession.

Credo, infine, che Walker, nelle pieghe appiccicose delle feste, avvolte in una fotografia scura e brillante (di Nicolas Canniccioni, premiatissimo documentarista), azzardi persino una domanda che è spesso elusa in film che raccontano storie del genere, e che rende How to Have Sex tanto necessario quanto destabilizzante, agghiacciante, soprattutto per chi, come il sottoscritto, è maschio e sente una responsabilità che supera quella penale/personale: cosa eccita Paddy? Perché lo fa, perché non si ferma?