La narrativa è una forma d’arte particolarmente efficace nel catturare e rappresentare il trauma della sparizione. Meccanismi paralleli giocano infatti sulla mente dei cari di una persona svanita nel nulla e su quella dei lettori che ne seguono le vicende. Tutte le possibilità, dalle più innocue a quelle più atroci, convivono sull’orizzonte emotivo di chi si ritrova ad occupare il ruolo di spettatore impotente, alternando presentimenti cupi a momenti di speranza quasi irrazionale.

La paralisi esistenziale della sparizione è trasmessa in tutto il suo disarmante impatto in Il canto del profeta, l’ultimo romanzo di Paul Lynch, vincitore del Booker Prize 2023 e in uscita in Italia a Marzo nella traduzione di Riccardo Duranti, edita da 66thand2nd. Protagonista del libro è Eilish Stack, il cui marito Larry, sindacalista attivo in una Dublino in cui si è da poco insediato un governo di estrema destra, scompare nei primi capitoli del libro in seguito a una manifestazione repressa brutalmente dalle forze del sistema.

Eilish si adopera per rintracciare Larry, contattando legali e colleghi, mantenendo il sangue freddo e la determinazione a risolvere quello che ritiene essere un osceno, ma temporaneo, fraintendimento. La razionalità e il realismo spingono Eilish a rimanere ottimista: è menzionata spesso, nelle prime pagine del romanzo, una vacanza in Canada che la famiglia Stack ha in programma di lì a qualche mese, e che Eilish è convinta riusciranno a godersi. Le voci che profetizzano sviluppi sempre più cupi, e che incoraggiano Eilish a lasciare il paese assieme ai suoi figli, sono facilmente etichettate come esagerate e paranoiche. It can’t happen here, qui non potrebbe mai succedere: il motto di chi crede cecamente nella solidità del sistema liberale, motto di cui la narrativa distopica ama farsi beffa, da 1984 di Orwell fino ai giorni nostri.

Forse l’aspetto più sorprendente del romanzo di Lynch è come, con perizia narrativa a un tempo ovvia e sottile, riesca a muovere i propri personaggi nel giro di trecento pagine da una situazione di quasi-normalità (un governo di estrema destra che utilizza poteri forti per sospendere le libertà civili: uno scenario a cui siamo ormai quasi abituati) fino a una di devastazione assoluta e dolore estremo. A lettura ultimata e col senno di poi, è facile considerare la trama del libro come una lunga serie di orribili errori strategici, a cominciare da quello di Larry di unirsi alla manifestazione in cui scomparirà. Risuonano quindi particolarmente profetiche le parole di Áine, la sorella di Eilish residente in Canada, una delle persone che più cercano di persuadere la protagonista a lasciare l’Irlanda. In una conversazione chiave, quando ancora le vicende del romanzo non sono precipitate, Áine avverte Eilish del pericolo che corre con toni tragici e cupi: la storia, sostieneÁine, è una lista di quelle persone che non hanno saputo andarsene in tempo, sottraendosi alla morte quando ancora ne avevano la possibilità.

A questo giudizio, quasi impietoso nella sua freddezza, Eilish ne oppone uno più emotivo ma anche più pragmatico. La storia è per lei infatti una lista di persone che non potevano affatto andarsene, indipendentemente dalle presunte opportunità a loro disposizione. Il canto del profeta è estremamente persuasivo nel modo in cui dimostra quanto effimero e insignificante il proprio senso di libertà individuale possa apparire in momenti storici di indicibile orrore. Da un lato, infatti, ciascuna delle decisioni di Eilish (rimanere in un’Irlanda sempre più autoritaria; unirsi a ulteriori cortei di protesta; fidarsi dell’umanità delle forze di polizia) risulta così ingenua e incosciente da rendere la lettura del romanzo dolorosa, appesantita da un costante presagio di sciagura; dall’altro è impossibile ipotizzare per lei un comportamento diverso. Come pretendere infatti che sradichi dalla scuola e dagli affetti i suoi quattro figli per trasferirsi in una terra straniera? Come può abbandonare a sé stesso l’anziano padre, in preda al lento declino della demenza senile? Come, soprattutto, abbandonare il fantasma di Larry, perennemente sospeso nel limbo della sparizione, la cui assenza risulta una paradossale e costante presenza? (Una leva, questa dei cari scomparsi, che il regime sfrutta con inumana efficacia, occultando il destino delle sue vittime dietro un muro di silenzio che mantiene i cittadini docili e speranzosi).

In diversi punti del romanzo i figli di Eilish, soprattutto i giovani adolescenti Bailey e Molly, sono costretti a vivere esperienze in cui vedono il proprio mondo sfaldarsi: in cui le certezze profonde che erano state loro inculcate – la fiducia nella decenza delle istituzioni e del prossimo, la promessa di stabilità intrinseca in ogni aspetto del quotidiano – vengono meno, con effetti debilitanti. Molly passa dall’essere una ragazza atletica al chiudersi in uno stato di isolamento e depressione; Bailey reagisce con scatti d’ira, spesso diretti verso Eilish. Ma questo stesso processo di destabilizzazione è visibile anche negli adulti del romanzo, percorsi da una vena di sempre più palpabile follia. Carole, anch’essa moglie di un uomo scomparso nel nulla, si abbandona a sogni di una “bella guerra” e di sanguinosa vendetta contro il regime. Una donna che al regime è invece fedele etichetta Eilish come una vile traditrice, inveendo contro un nemico esterno fumoso e non specificato. Perfino la determinazione di Eilish ad aspettare il ritorno del marito evolve, nel corso del romanzo, da un’attitudine razionale e realista in una di un ottimismo esagerato ma necessario, fino a decadere infine in una forma di rifiuto della realtà.

Il canto del profeta è particolarmente adatto a raccontare il lento ma inesorabile cambiamento nella condizione psichica e fisica di Eilish per via del suo punto focale, centrato saldamente (salvo qualche paragrafo nelle prime pagine) sulla protagonista del libro, e fisso o sui suoi pensieri, le sue paure, i suoi sogni e ricordi, o su ciò che la circonda nell’immediato. Il mondo di Eilish è estremamente banale, diviso tra un lavoro d’ufficio e le tante, troppe responsabilità associate al suo ruolo di madre. L’impianto stilistico del romanzo, diviso in blocchi narrativi composti da lunghissimi paragrafi, trasmette l’inesorabile presenza di una quotidianità da cui è impossibile emergere o distaccarsi. Bisogna accompagnare a scuola i bambini. Manca sempre il latte: bisogna fare la spesa. C’è da tener d’occhio Bailey, che ha cominciato a bagnare il letto, e suo fratello Mark, che dalla scomparsa del padre si è chiuso in un silenzio carico di minaccia.

Questa insistenza sul quotidiano ottiene il devastante effetto di mostrare come l’intrusione del distopico nella nostra realtà non sia un processo distruttivo ed epocale, bensí qualcosa di silenzioso, sinistro, al quale è facile abituarsi. In un romanzo con passaggi di feroce brutalità, un aspetto che risulta particolarmente spaventoso e convincente è la determinazione di catturare proprio la banalità della vita della famiglia Stack, fatta di film al computer e lamentele per la mancanza di cioccolato in casa: l’orrore del collasso civile e sociale si sovrappone a visioni della vita spaventosamente familiari, risultando quindi particolarmente persuasivo. Nel passaggio forse più emblematico del romanzo, la narrazione riesce a unire quasi nello stesso fiato una riflessione sugli orrori ineluttabili della storia e una lamentela diretta a un ragazzo che ascolta la tecno dal telefonino a volume troppo alto.

È in questa determinazione a rammentarci la banalità del male che Il canto del profeta trova il proprio valore letterario, fuggendo alle trappole in cui spesso scade il genere distopico – un genere molto efficace nel dipingere la discesa di regimi liberali verso l’autoritarismo, glissando però spesso su come l’autoritarismo stesso si nutra delle ingiustizie ed ineguaglianze generate dai sistemi liberali. Le profezie di cui parla il titolo non riguardano un dato sistema politico, ma una più generale condizione umana. Queste profezie apocalittiche di sangue e violenza non si riferiscono infatti a più o meno immediate fini del mondo, ma a violenze tanto insensate quanto quotidiane che sono giù successe, continueranno a succedere, e che succedono tutt’ora in vari angoli del mondo. Le nazioni da stabili discendono nel caos; una guerra che sembrava improbabile o indicibile diventa in breve tempo mero intrattenimento per il resto del mondo. Quello che il romanzo di Lynch ci ricorda è che it can happen here,può accadere anche qui, non tanto per ricordarci (come se ce ne fosse bisogno) quanto permeabili al male siano le nostre civiltà, ma per trasmettere la semplice e luminosissima verità racchiusa nel cuore dell’arte narrativa: le vite più straordinarie, così come quelle devastate dai più indicibili orrori, sono in primis vite umane, e in quanto tali banali, tipiche e semplici. Esattamente come la nostra.


P. Lynch, Il canto del profeta, trad. it. R. Duranti, Roma, 66thand2nd, 2024, 288 pp., € 18.