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Premio Bergamo: i finalisti dell’edizione 2024

Il 2024 è l’anno in cui il Premio Narrativa Bergamo compie 40 anni. Un’edizione speciale, dunque, preceduta dalle eccezionali – e proficue – fatiche di Convivio. Il cibo nella cultura; un’edizione che porta in città un manipolo di autori tra cui troviamo volti nuovissimi – e molto originali -, scrittori affermati ma mai approdati al Bergamo e un volto già noto al pubblico.

Ieri, alla Biblioteca Tiraboschi e in diretta streaming sulla pagina Facebook del Premio, si è tenuta la tradizionale presentazione della cinquina finalista selezionata dal Comitato scientifico (composto da Andrea Cortellessa, Silvia De Laude e Michele Mari) per la XL edizione del Premio, che dopo anni ha deciso di rivedere anche il proprio brand e chiamarsi ufficialmente, definitivamente “solo” Premio Bergamo. L’edizione che si è aperta ieri vedrà svolgersi gli incontri con il pubblico tra il mese di marzo e l’inizio di aprile e si concluderà, a seguito della votazione della giuria popolare, sabato 27 aprile 2024.

L’introduzione ufficiale è stata del Presidente Massimo Rocchi, che ha sottolineato l’importanza di questi quarant’anni anni di attività che prosegue, con l’aiuto dei Soci e degli sponsor che sostengono il Premio nel suo compito di mantenere un appuntamento letterario di prestigio e di stimolo alla cultura. L’impegno con i lettori è costante per garantire la partecipazione alla lettura di testi importanti e la possibilità di conoscere gli scrittori. Quarant’anni, inoltre, ricordano come il Premio Bergamo sia uno dei più longevi d’Italia: “Innumerevoli gli scrittori coinvolti (per l’esattezza ne sono passati a Bergamo  ben 195) che attraverso la nostra vetrina hanno poi raggiunto riconoscimenti importanti come lo Strega ma solo successivamente. Per citarne alcuni degli ultimi anni pensiamo a Nicola Lagioia, Walter Siti, Helena Janeczek, Sandro Veronesi, Emanuele Trevi…”.

Rocchi ha quindi passato la parola ad Andrea Cortellessa che come di consueto ha presentato le opere in concorso: L’ombra del vulcano di Marco Rossari (Einaudi 2023), La verità e la biro (Einaudi 2023), Stiratore di luce di Franco Stelzer (Hopefulmonster 2023), Le streghe non esistono di Luca Scarlini (Bompiani 2023) e L’oro è giallo di Benedetta Fallucchi (Hacca 2023). Cinque opere che esplorano i confini della forma romanzo, dipanandosi tra lunghezza e brevità, intercettando l’autobiografia, il saggismo e la metaletteratura.


Forse per via della sua attività di traduttore, che l’ha portato a cimentarsi con i più importanti autori di lingua inglese, Marco Rossari ha sempre avuto la passione per le storie letterarie. Fin dai tempi di L’unico scrittore buono è quello morto (2012) e dell’arguto Piccolo dizionario delle malattie letterarie (2016) si è divertito a esplorare i paradossi e i vizi del mondo letterario, osservandolo con un occhio tanto divertito quanto distaccato e cinico. Quei paradossi e quei vizi sembrano piombare tutti sulle spalle del protagonista di All’ombra del vulcano (Einaudi 2023), romanzo che racconta la storia di un uomo (molto simile a Rossari) impegnato a tradurre Sotto il vulcano di Malcolm Lowry, romanzo modernista intriso di alcool e disperazione (effettivamente tradotto da Rossari per la nuova edizione Feltrinelli), e al contempo affrontare la fine di una lunga relazione. Il gioco di specchi è presto impostato e vede riflettersi il Messico raccontato da Lowry in una Milano estiva deserta e spietata. Sospinto dalla consueta vena ironica (e autoironica) Rossari trasforma il libro culto per generazioni di scrittori nel baedeker sentimentale di un uomo che sta perdendo tutte le proprie certezze e rischia di affondare.


Ha una forma indecifrabile il nuovo romanzo di Tiziano Scarpa, La verità e la biro (Einaudi 2023). Lo scrittore veneto ci ha abituati a titoli che difficilmente mettono il lettore sulla buona strada per intuire i percorsi che si snodano tra le pagine dei suoi libri (basti pensare, tra gli ultimi, a Il brevetto del geco, 2016, e a Il cipiglio del gufo, 2018), ma in questo caso lo straniamento procede anche oltre la soglia del frontespizio: il racconto si presenta frammentato in una miriadi di brevi capitoli titolati dove si alternano ricordi di persone che hanno detto, in maniera perentoria e originale, la verità al protagonista, citazioni dal cinema e dalla letteratura, riflessioni trasversali (di taglio sociologico, diremmo) sui caratteri del nostro presente e il resoconto di una vacanza in Grecia dove, immaginiamo, quel protagonista sta raccogliendo appunti e spunti per un’articolata riflessione sul concetto di verità (nientemeno). E quella riflessione, in forma discontinua e rapsodica, è ciò che si trova di fronte il lettore, continuamente pungolato dalla comica schiettezza dell’autore, ma al tempo stesso dalla puntualità delle sue osservazioni, che definiscono a poco a poco un filtro attraverso cui cominciare a guardare la vita e la realtà che ci circonda, rispondendo a una vocazione altissima dell’impegno letterario che da tempo Scarpa persegue.


Già finalista con il precedente Cosa diremo agli angeli (2018), Franco Stelzer torna al Premio Bergamo con un libro esile e delicato, Stiratore di luce (Hopefulmonster 2023), pubblicato in una collana in cui il curatore Dario Voltolini (che firma la postfazione) invita autori e autrici già noti a cimentarsi con testi eccentrici in cui l’attenzione alla lingua riveste un peso maggiore che d’abitudine. Stelzer mette in scena il personaggio di Bodo, la sua vita fatta di poche cose, di pochi luoghi, di una quotidianità umile e ripetitiva, in cui risuonano gli echi della fiaba. E la lingua, fatta di una sintassi piana e di un lessico semplice, mimetica rispetto alla psicologia elementare di Bodo, accompagna il protagonista lungo un’inattesa fuga dell’ordinario, cercando di restituire la percezione di sensazioni e situazioni davvero nuove, per le quali, in alcuni momenti, mancano davvero le parole. Figura dell’ingenuo e del puro, Bodo è protagonista di una parabola dai valori universali, in cui il desiderio (di conoscenza, di affetto) si manifesta nella sua forza entusiasmante e catastrofica.


Dopo aver ricostruito l’immaginario occidentale sulle streghe attraverso un’eccezionale collezione di stampe che permettono di arrivare all’origine di questo mito secolare (Stregherie. Fatti, scandali e verità sulle sovversive della storia, 2022), Luca Scarlini – scrittore, drammaturgo, curatore e storyteller – ha pensato di saggiare quel tema sul terreno infido della propria personale biografia. Le streghe non esistono (Bompiani 2023) è infatti il memoir di un’infanzia trascorsa all’insegna di un quotidiano scontro tra l’omofoba ortodossia comunista di cui il padre, il Retore, era l’indiscutibile depositario e una vocazione all’eccentricità anti-patriarcale di cui invece la madre, donna di casa capace di far valere la propria autonomia, si faceva portavoce. In mezzo a queste due spinte contrapposte si trova il piccolo Luca, diligente ripetitore di canti patriottici ucraini, sedotto però dalle rutilanti mises sfoggiate dagli amici travestiti a cui la madre insegna l’uncinetto. Con una lingua barocca che ammicca a Gadda, Scarlini ci consegna un’autobiografia che è racconto picaresco e di formazione, ma soprattutto esercizio di autocoscienza, in cui chi dice io risale alle origini delle proprie inclinazioni e lo fa mostrando la bellezza di un mondo in cui si può non rinunciare a nulla.


Davvero singolare è la storia raccontata in L’oro è giallo da Benedetta Fallucchi (Hacca 2023), scrittrice al suo romanzo d’esordio. La protagonista ha un rapporto tormentato con la (propria) vescica e, più in particolare, con il fare la pipì. E questo disagio la spinge a investigarne le origini, ripercorrendo i momenti della propria vita che hanno generato in lei la cattiva abitudine di svegliarsi più volte durante la notte per urinare o il terrore che le scappi nei momenti meno opportuni e che sia impossibilitata a farla; ma la porta anche a osservare le ragioni culturali di un imbarazzo verso la minzione che, ad esempio, non si riscontra in altre culture (Fallucchi è corrispondente dall’Italia per un quotidiano giapponese). Nascono da questo interesse a largo spettro per il tema anche i capitoli che intervallano la narrazione, in cui vesciche e urina fanno la loro comparsa, componendo un’immaginaria galleria di «piccoli pisciatori nell’arte». Romanzo solo apparentemente leggero, L’oro è giallo si presenta come un dispositivo in grado di aprire un discorso e condurlo su piani diversi, mescolando intelligentemente il serio e il faceto.


Al termine della presentazione sono seguite le comunicazioni del Segretario Generale Flavia Alborghetti riguardo le modalità di voto (15/22 aprile), il ritiro dei libri per i giurati (da mercoledì 8 febbraio ) e la composizione della Giuria Popolare: 70 gli adulti (56 estratti fra oltre 300 richieste pervenute + 14 giurati storici e onorari), 30 giovani, 18 gruppi culturali (fra cui due gruppi del carcere) e 10 scuole. Infine, con sorteggio in diretta, è stata ufficializzata anche la composizione della Giuria Popolare con più di 25 anni (tutti gli elenchi della giuria saranno pubblicati nel sito a breve).

Prima della cerimonia di premiazione, in programma sabato 27 aprile al Teatro alle Grazie (viale Papa Giovanni XXIII 13), gli autori finalisti avranno modo di presentarsi al pubblico del Premio negli incontri individuali che si terranno tradizionalmente alla Biblioteca Tiraboschi e che saranno condotti da Giacomo Raccis. Questo il calendario:

Tutti gli eventi sono a ingresso libero senza prenotazione. Per ogni aggiornamento si raccomanda di seguire il sito istituzionale del Premio, www.premiobg.it, e le pagine facebook e instagram.