Che cosa ci dicono le biblioteche dei loro proprietari? È possibile dedurne gusti, pensieri, emozioni, cifre identitarie? Le biblioteche personali dicono sempre la verità? Può accadere che un libro ci cambi la vita, eppure che per qualche ragione esso non vegli alle nostre spalle su uno scaffale. Potremmo averlo prestato, o preso in prestito da un amico. Potremmo averlo perso in un viaggio, dimenticato sul sedile di un autobus o di un treno. Che cosa ci dicono le biblioteche degli scrittori? Tantissimo. E forse ancora di più se la biblioteca è appartenuta a Pier Vittorio Tondelli, autore che mettendo al centro della propria indagine letteraria il tempo presente, ha sempre dato molta importanza alla presenza esplicita, nei propri scritti, di riferimenti a letture, canzoni, film fruiti con cui sentiva una connessione, in un dialogo aperto e situato geograficamente e cronologicamente. Ogni libro di Tondelli presenta spie metaletterarie, testimoni di un’attenzione costante e spasmodica verso l’analisi critica rivolta alla propria scrittura e al proprio tempo.

La biblioteca di Tondelli, conservata prima dal fratello Giulio e poi donata al Centro di Documentazione sito nella biblioteca della città di Correggio, contiene 2.552 libri. Antonio Spadaro, che oltre a essere critico letterario e direttore della rivista La Civiltà Cattolica, è un gesuita, laureato in filosofia, sotto-segretario del Dicastero Vaticano per la Cultura e l’Educazione, l’ha frequentata assiduamente per quasi trent’anni, in una fedeltà di ricerca che trova ricadute in diverse pubblicazioni, fino al recente volume Ho sempre cercato tutto – Pier Vittorio Tondelli, l’uomo, la ricerca, le opere (Bompiani, 2023). È un libro dal taglio preciso, che nonostante non sia esplicitato nel titolo, è deducibile dall’identità del suo autore e dalle scelte di indagine di cui già le prime pagine sono testimoni: il rapporto di Tondelli con la religione cattolica e il suo emergere nei libri scritti e in quelli letti. Vi soggiace un lavoro minuzioso di analisi della biblioteca che, primario in tutto il testo, viene portato alla luce nella sezione conclusiva del libro, Appunti dalla libreria personale* (p. 311), dove Spadaro trascrive i titoli di alcune opere amate dal Tondelli lettore, riportandone le frasi da lui sottolineate e le sue annotazioni a matita. Si tratta di 38 titoli, a cui si aggiungono degli appunti di stesura di Camere separate, delle riflessioni sul progetto di realizzazione filmica di Rimini, l’introduzione alla riduzione teatrale del Piccolo principe ad opera di un Tondelli ancora liceale, due poesie annotate sulla Bibbia, uno schema di intervista di Panzeri a Tondelli. Si tratta dunque di una precisa selezione, operata all’interno del corpus di volumi posseduti dall’autore correggese. Se non ci si può fidare mai del tutto di una biblioteca, quale credito dare a un gesuita? Qui sta una forte carenza nella pubblicazione di Spadaro: la mancanza di una esplicitazione iniziale di intenti e di punto di vista, che cala un’ombra su un lavoro di ricerca che è però estremamente approfondito e interessante. Tondelli, “lo scrittore giovane”, come viene definito da Roberto Carnero (Bompiani, 2017), ha pubblicato il suo primo libro, Altri libertini, nel 1980. L’ultimo, L’Abbandono – Racconti dagli anni Ottanta, concepito come secondo volume di un progetto iniziato con Un weekend postmoderno, esce postumo (Bompiani, 1993), a cura di Fulvio Panzeri. La sua biografia letteraria attraversa soli dieci anni, in cui però Tondelli riesce a realizzare un’opera corposa e complessa, ricchissima di spunti e di possibili sfere di analisi. Ma è un autore che, essendosi sempre esposto personalmente, sia per la sua necessità di confronto critico (Un weekend postmoderno, scritto in collaborazione con Fulvio Panzeri, ne è l’esito più chiarificatore), sia per la ricerca di una letteratura “emotiva”, che passi attraverso uno studio della lingua e della struttura narrativa ma anche un portato autobiografico che trapela da ogni pagina tanto da far sentire il lettore partecipe di una confidenza bruciante concessa in un estremo atto di fiducia, rischia spesso di venire idealizzato e, così, dimenticato in nome di divergenti ideologie. In un articolo pubblicato sul numero monografico Tondelli Tour della rivista Panta (Quadrimestrale 2003 Numero 20) e citato dallo stesso Spadaro nel suo libro, Aldo Tagliaferri scrive: «sarà giusto e opportuno lasciare ai professionisti del moralismo e dell’immoralismo il compito di “salvarlo”, come se fosse inevitabile inscenare una involontaria caricatura della morte di Faust, ovvero una contesa tra interpreti che, animati da intenzioni edificanti, lo vorrebbero redento e anime ribelli che lo vorrebbero fedele a una religione della trasgressione. Tondelli è stato anzitutto un narratore e per valutare la sua opera occorre che il discorso critico torni alla testualità, ovvero ai luoghi letterari in cui le pulsioni e le aspirazioni dell’uomo, esaltati e insieme interrogati attraverso il linguaggio, acquistano dimensioni simboliche e mitiche che sono della letteratura e non dell’ideologia» (p. 102). Spadaro segue questo suggerimento e attraversa l’intera opera tondelliana, contestualizzata in un ricco apparato di riferimenti alle influenze artistiche vissute dallo scrittore: i film La paura mangia l’anima di Fassbinder e Teorema, di Pasolini, le letture che spaziano da autori stranieri come Isherwood (Un uomo solo), Kerouac (Maggie Kessidy), Bachmann (Il trentesimo anno), Barthes (Frammenti di un discorso amoroso), ad autori italiani a cui Tondelli si avvicina soprattutto nei suoi ultimi anni (Enrico Palandri, Carlo Coccioli, Silvio d’Arzo, Antonio Delfini).

L’analisi di Spadaro è svolta alla luce di una relazione tra la “fenomenologia dell’abbandono” (Tondelli, L’Abbandono, Bompiani p.28), della condizione dell’innamorato che ha perso il suo amante, e un anelito all’assoluto infranto dallo spettro della morte che è rivelazione del limite mortale di ognuno.

Il tema dell’abbandono è presente, insieme ad altri tipicamente tondelliani come il viaggio e il ritorno a casa, l’omosessualità, la giovinezza, già in Altri libertini, nel racconto Viaggio: il protagonista narratore decide di lasciare il proprio amante Dilo con una lettera:

«Caro Dilo ti lascio che sono stato tanto bene assieme a te come mai mi era accaduto e non importa che ora ti dica quanto ti ho amato e ti amo, perché sai benissimo che non appena riguardi a quello che siamo stati, li trovi facilmente i segni del nostro amore. Sono tutti lì che dicono ciao a me che me ne vado perché proprio non ce la faccio a immaginarmi il tempo dello squagliamento e del deterioramento, con te che arriverai qui e comincerai a cancellare tutto e io non voglio che si apra la battuta di guerra, tutti e due lanciati a stracciare le belle cose che siamo stati, c’è solo tristezza quando si finisce una storia come la nostra, lasciamola dunque così, io non voglio infierire» (Altri libertini, Feltrinelli 2005 p. 98).

Assume però un ruolo di primo piano in quello che Spadaro chiama “il secondo Tondelli” (sicuri però che si possa parlare di un primo e secondo Tondelli in un arco temporale di attività così breve e in un’opera che, seppure modifichi di molto la sua lingua, risulta fortemente coesa per temi trattati?) e che riguarda i titoli Rimini, alcune sezioni di L’Abbandono e Biglietti agli amici. Il titolo del saggio richiama uno dei biglietti che Tondelli raccolse a tiratura limitata per una piccola casa editrice, Baskerville e ora edita da Bompiani: «Io volevo tutto e mi sono sempre dovuto accontentare di qualcosa». Lo stesso concetto viene espresso da padre Ansèlme, confessore di Bruno May, innamorato abbandonato dall’amante Aelred in Rimini:

«Sei uno sradicato come me. Non abbiamo casa, ma ne abbiamo tantissime. Non abbiamo soldi, ma viviamo nel lusso, non pensiamo al domani ma siamo continuamente in progresso e alla ricerca di qualcosa. Per questo il cattolicesimo ci va stretto da un certo punto di vista. Perché è fatto di oratori, di stanze chiuse, di paura del mondo […] Ma c’è un fatto, che cerchi Dio e non ti accontenti di averlo trovato. Vorresti una vita diversa, vorresti fermarti a riposare in Dio, ma non lo farai perché niente ti basterebbe mai. Molti vedono solo una piccola fessura dove tu trovi invece crepe e abissi. Cercherai Dio per tutta la vita e questo basterà a salvarti. Non smettere di cercare, ma sappi che, ovunque tu vada, ti seguirà sempre la sua Grazia» (Rimini, Bompiani, p.250)

La relazione tra abbandono, amore e cristianesimo si fa ancora più stretta in Camere separate. Spadaro considera i vari motivi che intercorrono nel concetto espresso dalla separazione: lo scrittore Leo è “separato” inizialmente perché costretto a vivere una relazione a distanza con Thomas; è inoltre uno scrittore e quindi il suo, per vocazione, è uno sguardo “da fuori”, distante. Lo è poi per pregiudizio sociale, che gli impedisce di dare al proprio amore un riconoscimento “mondano” e quindi di esistere pienamente; e, infine lo è per una coscienza  istintiva, a cui Leo dà il nome di “vergogna della carne” e che riconosce nel momento in cui assiste, di ritorno a Correggio per trovare i genitori, alla processione del Venerdì Santo. «Leo è immobile, rigido, teso. Vede la statua del Cristo e i sentimenti mutano. Fino a quel momento tutta la processione era avvolta nel ricordo di un momento di inadeguatezza e di separazione dal mondo del paese dal quale era fuggito. Adesso è come se si creasse un rapporto emotivo con la figura di Cristo, una “pietà straziante”. Il corpo di Cristo è assimilato al corpo morto di Thomas. La morte di Thomas viene detta solamente a questo punto del romanzo e le parole e le immagini usate sono quelle del Cristo morto» (Spadaro, Ho sempre cercato tutto, p. 261). A una prima identificazione dei due amanti con una madre sofferente con in braccio il figlio morto, segue un’identificazione tra Thomas con il Cristo crocifisso e, subito dopo con quella dello stesso Leo: «Qui Leo/Tondelli comprende che il senso profondo dell’incarnazione, il suo significato ultimo è tutto concentrato nell’assunzione della morte» (Antonio Spadaro, Ho sempre cercato tutto, Bompiani, p. 262). Questa scena si collega al progetto di un libro mai realizzato, Sante messe, che avrebbe dovuto avere una pubblicazione “underground”, limitata come Biglietti agli amici, e che avrebbe dovuto raccontare «in “prosa poematica” alcune messe: quella solenne e patriottica di Budapest, la messa di Amsterdam con il caffè e i toast, la messa beat, la messa solenne di San Pietro, quella gregoriana, ambrosiana e piccole messe di campagna, volendo chiudere con “quella in cui voi accompagnerete le mie spoglie”» (Spadaro, Ho sempre cercato tutto, p. 297). In queste pagine, la natura conflittuale del rapporto con il cattolicesimo, seppur espressa nel senso di diversità e disappartenenza dovuti alla propria omosessualità, resta ambigua, come conseguenza di una tensione personale alla solitudine; non è delineata in modo netto al pari di altre letture, come la stessa di Tagliaferri che scrive: «La religiosità cui perviene Leo non può essere confusa con quella che egli, alquanto scandalizzato, vede praticare attorno a sé e definisce in questi termini: “Una religione senza sesso per uomini che hanno paura delle passioni e della forza dell’amore”» (Tagliaferri in Tondelli Tour – Panta, Quadrimestrale 2003 N. 20, p.100).  

Nella conclusione del XXI Seminario su Tondelli intitolato Tondelli non era invidioso e tenutosi l’11 dicembre 2021, Gino Ruozzi riflette sulla particolarità che ha avuto, nel panorama letterario nazionale, Altri libertini. Nello stesso anno della sua pubblicazione, il 1980, esce Il nome della rosa di Umberto Eco. L’anno prima era uscito Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. «È come se Tondelli con Altri libertini avesse fatto un bagno di realtà, fosse entrato di forza, di potenza dentro la realtà». Io credo che in Tondelli la religione abbia questo stesso senso. È presente perché fa parte fisicamente del paesaggio in cui è cresciuto e a cui si è riavvicinato in particolar modo negli ultimi suoi anni. Lo stesso Ruozzi, durante il seminario riflette sulla tendenza di tutti a prediligere da giovani letture straniere e poi, con il tempo, scoprire gli autori italiani se non addirittura regionali, come è il caso di Tondelli per Delfini e D’Arzo citati proprio in Camere Separate. Il più forte elemento spirituale del romanzo è forse la descrizione del piccolo tempio devozionale cui la nonna lo portava e che, nel tempo del racconto, è lasciato in totale abbandono. Quando passa «si ricorda di quando era piccolo, di quando si doveva arrampicare sulla grata di ferro per vedere dentro. Ora può scorgerne l’interno gettando semplicemente una occhiata. È cresciuto. E il tempio è diventato più piccolo, più raccolto, dai contorni più netti. Forse è anche più solo. Ma rimane per lui l’unità di misura del tempo» (Camere separate, p. 105). Nella sua opera Tondelli ha saputo creare un connubio tra refertazione della contemporaneità, che ha come geografia privilegiata le grandi città europee, e sussistenza di un mondo contadino che trova radice nella sua provincia emiliana. E in questo collage ossimorico e affettivo ha saputo rappresentare l’Italia degli anni Ottanta che, forse, è un poco ancora la nostra.


Antonio Spadaro, Ho sempre cercato tutto – Pier Vittorio Tondelli l’uomo, la ricerca, le opere, Bompiani 2023, pp. 384, 17 €.