Quello della pedagogia è un tema assai caro a Zanzotto, che quasi per tutto il corso della sua vita svolge l’arduo compito dell’insegnante, compito divenuto ai suoi occhi una missione simile a quella poetica, e che proprio all’interno dell’opera poetica e saggistica viene affrontata attraverso molteplici spunti tematici e di riflessione.

A partire dalla raccolta Pasque, infatti, di cui il primo brano, come l’intera prima sezione, è intitolato Misteri della pedagogia, ci si rende conto di come il tema sia portante. Il primo brano della raccolta ci introduce in un «Centro di lettura», nel quale il poeta tiene una conferenza su Dante rivolgendosi a un piccolo uditorio muto di «tre bambine un po’ lolite certo apprendiste magliaie | nove scolari fra elementari e medie | certo un operaio».

Nulla si muove nella stanza fuorché la lingua della maestra Morchet, «la vecchia maestra» c’è anche lei, seduta a destra della cattedra, interviene con alcune citazioni dantesche per le quali il poeta non può che annuire e congratularsi meccanicamente e con accondiscendenza, una accondiscendenza ironica e amara come quella che si riserverebbe ai matti o ai dissociati.

Pregna di significato è questa figura della «signorina Morchet», la quale rappresenta una fugace ma coincisa allegoria della pedagogia, quella «un po’ dura un po’ tonta un po’ sorda», cioè retrograde e bigotta, essenzialmente inadatta a plasmare le nuove generazioni che piuttosto soffocano sotto la sua stretta.

In queste nuove generazioni si inserisce certo lo stesso Zanzotto che, attraverso un processo ironico-rievocativo, fa emergere sulla pagina elementi di vita passata, frammenti di infanzia che alludono agli anni della sua educazione, ri-vissuti in un habitat opprimente e deprimente, anni in cui la maestra settantenne, «quale pecchia industriosa», riferisce alla zia: «le poesie di suo nipote si capiscono poco»[1].

È lui il nipote, è lui il poeta ancora in fasce, espressione dell’incomprensione di una generazione nei confronti di un’altra (la vecchia nei confronti della nuova), vittima della clausura mentale e dell’improduttività mortificante di un sistema d(‘)istruzione.

Un valido sistema pedagogico, suppongo, una valida pedagogia dovrebbe risultare dinamica, dovrebbe tener conto delle propensioni personali esaltandole, dovrebbe considerare soprattutto quel particolare linguaggio formatosi durante la fase iniziale di vita dell’individuo e rimasto sopito nello studente; proprio questo, sebbene carico di una rilevante componente egoico-narcisistica, tende a investire la realtà di una forza immaginativa proveniente dallo stesso senso di meraviglia che anima il bambino, una forza immaginativa indispensabile al processo di rinnovo-creazione delle cose, tangibili e non.

Di tale potenzialità, per l’appunto, si serve il poeta. Anch’esso, come il bambino durante i suoi primi approcci al mondo, è invaso da un particolare sentimento di stupore-terrore, anch’esso esprime il «sentimento dei sì e dei no essenziali»[2], specchio di una spiccata propensione alla vita. Infanzia e poesia si accomunano «nello stupore che fonda il sempre nuovo sentirsi nuovi, aperti al trauma dell’ammirazione-angoscia, capaci di tutto riorganizzare intorno a un nucleo di risveglio che dà luogo al futuro, futurizza passato e presente, rimovendoli da quella falda di coazione in cui a ricadere e a raggelarsi»[3]. Cito un altro passo per chiarire maggiormente il concetto:

«E sarà il caso anche di continuare a concedere un po’ di senso a una ricerca poetica che conti sempre meglio per i bambini, che conti grazie a essi, e tenga presente che essi attendono qualche cosa ma che soprattutto danno qualche cosa, di impensabilmente nuovo, per il solo fatto di esserci. Il bambino sta già nel futuro, sarà altro da ciò che noi siamo: per questo, solo che lo si voglia ascoltare, egli è sempre un Gesù tra i dottori[4]».

Si approda così al modello di pedagogia-apedagogica agognato da Zanzotto, un sistema di insegnamento attraverso il quale si insegna, ma principalmente si impara insegnando ai bambini e ai ragazzi, ora degnamente paragonati a figure cristologiche. Il bambino è visto come essenziale tassello che conduce al futuro e che soprattutto lo immagina, lo struttura, ne è plenariamente coinvolto.

Dico bambino intendendo il termine in una accezione universale: il bambino che è nell’adolescente come nell’adulto e in ognuno; soggetto e oggetto del modello di pedagogia qui proposta. Specularmente il concetto di infanzia va ricondotto al momento in cui un linguaggio personale viene a formarsi e con esso un proprio modo di vedere e quindi di pensare. Su questo dovrebbe far presa l’insegnante, che in questo caso riporterebbe in vita il sepolto.

Alla luce di ciò quale sarebbe lo strumento, il gancio in grado di trainare un linguaggio e con esso un individuo dall’una all’altra epoca[5]? La poesia. Che per accrescere le potenzialità dello studente-bambino è necessario scegliere e selezionare, una poesia che provenga da nuovi processi di ricerca ma anche da nuove produzioni; una poesia che riesca ancora a “parlare”, a istruire le future generazioni (credo lo Zanzotto poeta si includesse già in questo programma).

Una poesia “nuova” in quanto capace di costruire un senso etico-morale inerente all’epoca nella quale l’individuo-discente agisce e pensa, ma una poesia che “ispiri”, che riesca a stimolare il senso artistico-poetico di chi lo possiede, realizzando la possibilità miracolosa di produrre altra poesia.

A tal proposito Zanzotto nel corso dei suoi studi e del suo dibattimento tenta di ribadire e affermare con decisione che le poesie esistono e si formano dove la scuola consenta un libero uso del linguaggio; esistono e hanno un valore, per questo i piani di studio e le attività formative devono essere adeguati alla loro sopravvivenza e dovrebbero tenere in considerazione che «l’infanzia chiama le cose con il loro nome, perché ama e genera la verità anche quando fantastica e crea i suoi miti»[6].

Quello della poesia connessa all’infanzia è un tema rintracciabile in una folta tradizione letteraria, straniera e non. Lo stesso Zanzotto in Infanzia, poesie, scuoletta (appunti), lo declina attraverso il ritorno a diversi autori nostrani, Pascoli in primis, il poeta fanciullo incastrato nel «nimbo-utero della famiglia d’origine»[7] capace di rivelare «paesi tesori oggetti perdite incontri»[8]; Ungaretti poi, il quale «parla della poesia come di una speranza inappagata d’infanzia»[9] , desiderio ultimo di «godere | un solo minuto | di vita iniziale»[10].

Infine Saba che rileggendo il tema dell’infanzia attraverso gli studi psicoanalitici riesce, per mezzo dell’umanità ritrovata nel bambino e nel ragazzo dopo, a ritrovare unumanità corale, a riconquistare il valore della quotidianità letta in un discorso civile e sociale, quindi etico. Gli scrittori citati sono parecchi, ma se si potesse istituire una classifica, ce ne sarebbe uno in particolare: Pier Paolo Pasolini. A lui Zanzotto dedica alcuni saggi contenuti in Aure e disincanti, tra cui Pedagogia, che tenendo in considerazione l’economia dell’intero discorso mi pare uno scritto determinante.

Il rapporto di Pasolini con l’istruzione è per certi versi ambiguo; intellettuale consapevole di come il passaggio di «educazione in educazione»[11] abbia contribuito a scaraventare l’uomo all’interno del dramma atomico e del «consumo-autoconsunzione integrale»[12], ma mai dimentico del valore dell’educazione e del suo primato.

Pasolini fu colui che vicino alla morte chiese addirittura la soppressione della scuola dell’obbligo, giustificandosi poco dopo dicendo che questa soppressione sarebbe dovuta avvenire «soltanto come premessa a un cambiamento radicale»[13]. Sono innegabili le contraddizioni del pensiero e dell’operato pasoliniano in merito al discorso sulla pedagogia, eppure come qualcosa di innegabile e incontaminato si imprime sulla pagina di Zanzotto il lineare ricordo di un uomo bruciante nella sua «passione didattica»[14], vivo di una volontà viva di insegnare, insegnare per di più negli anni per niente facili dell’immediato dopoguerra, nei quali gli ideali della Resistenza risuonavano forte nel motto «educazione e democrazia»[15].

Erano anni in cui nel vigore di quel motto molti insegnanti in «bicicletta, con un solo pasto al giorno, stanza non riscaldata»[16] combattevano la propria battaglia, in nome di una vocazione scevra da interessi economici, «acqua che scorre agli altri, e soccorre»[17] dirà Zanzotto, un amore incondizionato insomma che ricorda l’amore dei crocerossini o dei santi.

Pasolini, da «maestro mirabile», così lo definì il preside De Zotti, fu animato sin da subito dall’intento di rivoluzionare i canoni culturali e sociali «e mutarli non verso un quadro di tipo greco-socratico, ormai connesso a una tradizione più di irrigidimento repressivo che di libertà totale, ma verso una fertile anomia (pre-nomia) da infante polimorfo: ma destinato però a essere qualificato come perverso, fuori che in un eden mai esistito o in un futuro comunque remotissimo»[18].

Questo sentimento rivoluzionario deriva certo dalla repressione-ossessione del neocapitalismo, che diviene «sirena e pus, che toglie identità e consistenza a singoli e a gruppi»[19] e che può essere contrastato secondo Pasolini attraverso l’adesione a quel PCI che nell’atmosfera generale di «ottundimento e amorfismo imperanti»[20] si mostra come «germe della struttura diversa»[21].

Come Zanzotto Pasolini diviene dunque un paladino nello scontro tra la volontà e il totale annichilimento, si fa intellettuale attivo impegnato, promotore di un’etica pedagogica in un’epoca in cui ogni proposta etica-pedagogica corrisponde a velleità, volontà stritolata dal non-senso e dalle lordure di una classe politica «viziata dal gusto di fogna dello strapotere»[22].

Modello di pedagogia alternativa e innovativa, fatta di giochi e racconti che riescono a «far diventare rose vere il rosa-ae»[23], e che attraverso lo sport, il calcio, il contatto con i giardini a aria aperta, riesce a instaurare un rapporto alla pari vissuto in un’atmosfera d’affetto e rispetto che è indispensabile alla pedagogia; questo è il Pasolini-insegnante-imparante presentato da Zanzotto, che continua però a sostenerlo in primis come modello di poesia.

«Ma prima di tutto esisteva per lui la poesia […] era la poesia, quella doveva farsi carico di ogni responsabilità, rendersi visibile luogo dei mali comuni e delle loro proiezioni in traumi privati: cauterizzazioni su carne viva e sempre ripetute, cicatrici su cicatrici, ma anche concrezione e creazione di impensabile oltre che esplicitazione»[24]. Pedagogo e poeta, Pasolini rappresenta per Zanzotto il simbolo di una società che comprende, che vuole parlare, che vuole cambiare e cambiarsi, un’anima sapiente e titanica che lotta per il mondo, che percepisce il mondo come sua dimora, una dimora in cui non può dimorare.


[1] Cito sempre da Misteri della pedagogia, componimento introduttivo della raccolta Pasque.

[2] A. Zanzotto, Le poesie e prose scelte, cit., p. 1129.

[3] A. Zanzotto, Infanzie, poesie, scuoletta (appunti) in «Strumenti critici», n. 20, 1973. Ora in Le poesie e prose scelte, cit., p. 1189.

[4] Ibidem.

[5] Storica e personale.

[6] Ivi, p. 1183

[7] Ivi, p. 1172

[8] Ibidem.

[9] A. Zanzotto, Le poesie e prose scelte, Milano, Mondadori, 1999, p. 1174

[10] Da Girovago. Quale poeta più di Ungaretti ricorda il ragionare semplice e incisivo del bambino reso attraverso la parola pura e monolitica?

[11] A. Zanzotto, Aure e disincanti nel Novecento letterario, Mondadori, Milano, 1994, p. 141.

[12] Ibidem.

[13] Ivi, p. 142.

[14] Ivi, p. 145.

[15] Ibidem.

[16] Ivi, pp. 145-146.

[17] Ibidem.

[18] Ibidem.

[19] Ivi, p. 148.

[20] Ibidem.

[21] Ibidem.

[22] Ivi, p. 143.

[23] Ivi, p. 146.

[24] Ivi, p. 144.