L’età adulta si rivela in un’epifania ed è diversa da come ce la si aspettava. Quando si è adolescenti si crede che gli adulti, nei loro esemplari rappresentativi, i genitori, siano montagne salde su loro stesse, così inscalfibili e imponenti da produrre nei figli un desiderio di rivolta. Poi si cresce, i genitori un poco rimpiccioliscono, risultano quasi teneri. Si diventa indipendenti. Ma non si è ancora adulti. I primi avvisi li espone lo specchio, in un giorno qualunque, come descrive Tondelli nell’incipit del suo libro più bello, Camere separate. Il protagonista Leo si guarda cercando un ragazzo e vede «semplicemente il viso di una persona non più tanto giovane, con pochi capelli fini in testa, gli occhi gonfi, le labbra turgide e un po’ cascanti, la pelle degli zigomi screziata di capillari come le guance cupree di suo padre. In sostanza un viso che subiva, come quello di ogni altro, la corruzione e i segni del tempo» (Pier Vittorio Tondelli, Camere separate, Bompiani, p. 7-8). Ma non si è ancora adulti. L’epifania arriva in un giorno qualunque, nella stanza di ricevimento di un medico, stringendo forte la mano di qualcuno che si credeva inscalfibile e che invece ora impallidisce, diventa evanescente ascoltando la voce che con parole anatomiche spiega la morte che arriva. È in quella stretta, nell’intensità con cui il tatto registra la ruvidezza della pelle, lo spessore delle dita e la loro temperatura, nella coscienza anatomica del vuoto che lascerà, l’età adulta. Non si diventa montagne, ci si incrina, si diventa vulnerabili. E si inizia a imparare un linguaggio nuovo e a guardare le persone negli occhi. Di questo passaggio racconta Will McPhail, vignettista del New Yorker, nel suo graphic novel d’esordio, Entra, pubblicato da Tunué nel 2023 per la traduzione di Francesco Pacifico. Il giovane artista Nick è un introverso che ha sempre avuto difficoltà ad aprirsi con le altre persone. Per questo costruisce una vita di solitudine e anche quando è costretto ad avere scambi relazionali le proprie parole sono contenitori vuoti, sacchi di sabbia che lo trincerano contro chi provi ad avvicinarsi. La peggiore sensazione di spossesso del proprio destino gli è data all’inizio della relazione sentimentale con una ragazza conosciuta in un bar, Wren, quando, nel momento di massima intimità, percepisce di non essere in grado di sentirla davvero vicina.  

La tensione dolorosa è però sempre resa con ironia, come nel caso del primo appuntamento di Nick e Wren, racchiuso nella sintesi di una pagina sottoforma di sketch teatrale, a rimarcare il punto di vista del protagonista, che vive la propria vita da attore che recita una parte.

L’esperienza di vignettista, che ha la necessità di trasmettere il messaggio da veicolare nello spazio di una sola immagine, è evidente soprattutto nella rappresentazione dei luoghi. Dai bar in cui Nick trascorre i suoi pomeriggi in cerca di ispirazione, tutti portatori di insegne con nomi ammiccanti, di una simpatia scontata e inautentica, come «I tuoi amici hanno figli», «Gentrificchiato», «Calcio nella schiena artigianale», «Velluto a coste consunto caffè», «Sala da tè mantenuti con shopper». Alla casa della madre, vuota e ammaccata e che lei cerca di ristrutturare, correlativo oggettivo del male incurabile che un giorno qualunque, nella stanza di un ospedale, stringendo la mano del figlio, scopre di avere dalla voce di un medico che, per uno scherzo del destino, è proprio Wren.

McPhail dimostra però di saper coniugare la sua capacità di sintesi con la forma distesa del graphic novel, costruendo una storia dal ritmo sostenuto che si dilata in momenti di sospensione immaginifica in cui il racconto si interrompe per lasciare spazio a immersioni nell’interiorità del protagonista e alter ego dell’autore. Graficamente, tali sospensioni sono rese evidenti dal cambio cromatico: la linea narrativa centrale, svolta in bianco e nero, viene lentamente invasa dal colore, che investe in primo luogo gli occhi dei personaggi con cui il protagonista riesce faticosamente ad aprirsi e si impossessa della pagina in esplorazioni in cui ha nuovamente un ruolo primario il paesaggio, ora apertamente metaforico, spesso caratterizzato dalla presenza dell’acqua: Nick indaga la sua solitudine scalando ghiacciai, subendo la violenza di una tribù di dolci creaturine paffute che si nutrono di esseri umani, sedendosi davanti a una cascata senza il coraggio di attraversarla per scoprire che cosa nasconde.

Sono questi respiri trattenuti in corpo al racconto gli attimi in cui Nick riesce a bucare i sacchi di sabbia che si è costruito e a scorgere ciò che nasconde la falsa montagna dell’età adulta: il coraggio di essere vulnerabili, la mano tesa a chiamare qualcuno, a chiedergli di entrare.


Will McPhail, Entra, traduzione di Francesco Pacifico, Latina, Tunuè, 2023, pp. 271, 24 €.