Anche l’ottantesima Mostra del Cinema di Venezia si avvia alle battute finali. Ancora poche ore e calerà il sipario su un’edizione insolita per molte ragioni, ma di certo non priva di titoli interessanti e spunti per riflessioni. Sicuramente era da tempo che non si vedeva in uno dei principali festival una così alta concentrazione di film dalle atmosfere gotiche. Da Pablo Larrain con il suo El Conde a Vampire Humaniste cherche Suicidaire consentant di Ariane Louis-Seize fino a Le Vourdalak di Adrien Beau. La creatura della notte per eccellenza è quindi nuovamente protagonista dell’arte della luce, paradosso questo che perdura dall’alba (che i vampiri non vedranno mai) del cinema stesso: dal Nosferatu di Murnau, per esattezza. E la Venezia di questi giorni, zombie bellissimo che reca ancora le tracce delle antiche e più recenti malattie che l’hanno infestata, sembra lo scenario ideale per questa nuova ondata horror. Caso vuole che quest’anno fosse presente in laguna anche il maestro sanguinario per eccellenza, Dario Argento, a presentare il documentario Panico di Simone Scafidi e Nicolas Winding Refn omaggiasse Ruggero Deodato con un proiezione di mezzanotte del restaurato Ultimo mondo cannibale. Volendo poi ampliare lo spettro a un concetto più ampio di mostro, senza canini e più metaforico, si potrebbe includere anche Ferrari di Michael Mann, storia di un novello Kronos che divora i propri figli.

El Conde

Ma torniamo al film di Pablo Larrain, presentato nei primi giorni del festival e salutato come uno dei più interessanti. Il regista cileno, dopo essersi cimentato nelle biopics di due figure femminili iconiche come Jaqueline Kennedy (Jackie) e Lady Diana (Spencer), torna prepotentemente sul tema a lui più caro: la dittatura di Pinochet in Cile. Già in Tony Manero, Postmortem e No, i giorni dell’arcobaleno, il regista aveva raccontato da diverse angolazioni cosa significasse vivere nel paese sudamericano durante una delle peggiori dittature del secolo scorso. Mai però aveva affrontato il mostro direttamente come in quest’ultima opera e, come lui, nessun altro negli anni precedenti. Prima di El Conde la figura di Pinochet non è mai finita impressa su una pellicola, proprio come l’immagine di un vampiro non può essere riflessa da uno specchio. Così lo stratagemma di rendere il dittatore una creatura della notte ha la doppia valenza di trasformarlo in metafora del Male e al contempo figura sfuggente, capace persino di scomparire di fronte ai propri enormi crimini. Nella storia del film Pinochet è un vampiro di 250 anni che vive in una zona remota e isolata del Cile insieme a un suo fedele servitore e alla moglie. Diversi anni prima ha inscenato la sua morte per sfuggire alle numerose accuse di omicidi e truffe ai danni dello Stato. Inconsolabile per il fatto di essere ricordato come un “ladron” – da sottolineare come siano le accuse di ruberie e non di omicidi a ferirlo – crede sia giunto il momento di lasciarsi morire. Il film è un’opera satirica grandguignolesca, dove gli amanti dell’horror posso deliziarsi con svariate decapitazioni, frullati di cuore e teste spappolate. Il bianco e nero utilizzato per la fotografia è abbagliante e alcune sequenze ricordano capolavori del passato come il Vampyr di Theodor Dreyer, una fra tutte la sequenza in cui Pinochet apre gli occhi all’interno della bara, durante il suo funerale. A non funzionare nel film è una certa pesantezza allegorica e alcuni momenti in cui Larrain inserisce forzatamente momenti prosaici in cui vengono elencate le malefatte del dittatore.

Le Vourdalak

Con il film di Adrian Beau torniamo alle origini del mito del vampiro, più precisamente al folklore russo e al suo Vurdalak. Ispirato al racconto ottecentesco di Aleksey Tolstoj La famiglia del Vurdalak, la pellicola racconta di un emissario del re di Francia smarritosi in una sperduta zona dei Balcani e costretto a chiedere rifugio in un piccolo castello sperduto nella foresta. Qui verrà accolto dalla famiglia di Gorcha, un notabile della zona al momento fuori casa. Jegor, Piotr e Sdenka, i suoi tre figli, lo accolgono con maniere non molto ospitali: non sono abituati a visite, specie se di alto rango. Quando il vecchio Gorcha sarà di ritorno, qualcosa è mutato in lui per sempre e ne farà le spese l’intera famiglia. Rispetto all’immagine del vampiro mainstream, quella del vurdalak offre una versione del mostro proletaria e legata a logiche di partentele. Il vurdalak infatti non si nutre di chiunque ma solo di persone con cui ha un legame affettivo, diventando così perfetta metafora delle dinamiche familiari tossiche. Gorcha in particolare è un padre autoritario che governa sulla famiglia da despota: la sua trasformazione in vampiro non fa che accentuare questa sua tendenza a livelli estremi. Il film gioca su più registri, dal comico all’horror. La prima parte, in cui seguiamo i goffi tentativi del marchese D’Urfe di entrare nelle grazie della figlia di Gorcha, Sdenka, è quasi una parodia del genere: un Fracchia contro Dracula con una patina indie e una cura artigianale commovente. Man mano che i minuti passano, il tono cambia e all’arrivo di Gorcha si entra nel reame dell’horror. La scelta di utilizzare una marionetta per rappresentare il vampiro è dovuta a un budget limitato e una incapacità nell’uso della CGI (a detta del regista stesso). Il risultato è però notevole e ricorda la fortunata, seppur bizzarra, scelta di Leos Carax di far interpretare la bambina Annette, nel film omonimo, a una bambola. Il Vurdalak compare così come corpo estraneo che si insinua strisciante nella comunità e la assoggetta attraverso ricatti morali e vincoli di sangue, perpetrando la legge del patriarcato. Film interessante e girato con una grazia insospettata, che riporta al centro la matericità del lavoro del cinema.

Vampire humaniste cherche suicidaire consentant

Incrocio tra Lasciami entrare, What we do in the shadows, e Intervista col vampiro, questa commedia dark canadese della giovane regista Ariane Louis-Seize è forse il più accessibile dei film vampireschi, ma anche quello che potrebbe riscuotere più successo in termini di pubblico. Sasha è una giovane vampira che prova compassione per gli umani e si rifiuta di ucciderli. La sua famiglia la ritiene ormai in età per cacciare e sono preoccupati per il suo atteggiamento da hikikomori vampiresco, neet del mondo dei mostri. La portano quindi da esperti, infine optano per un intervento drastico: la mandano a vivere dalla feroce sorella, che la sottoporrà a un regime militaresco. Gli sforzi però sembrano tutti vani fino a quando non incontra un ragazzo aspirante suicida, emarginato dal suo mondo quanto lei, per un eccesso di sensibilità. Questo coming-of-age notturno si inserisce pienamente nel solco della tradizione di neo vampiri visti negli ultimi anni al cinema, dove i protagonisti sono intenti a trovare metodi alternativi di sostentamento e in cerca di una convivenza con gli umani (dalla serie True Blood a Only lovers left Alive di Jarmusch la lista è ben nutrita). La novità di questo lavoro sta nella capacità dei giovani personaggi nel trovare concretamente una valida soluzione al mondo di violenza e soprusi che gli è stato da sempre mostrato, immaginando ciò che sembra impossibile e diventando così campioni positivi della loro generazione.