Antoine affretta il passo, percorre un sentiero montuoso che lo avvicina sempre più, in direzione della macchina da presa, allo sguardo dello spettatore. Un uomo vestito di nero si aggira furtivamente sullo sfondo, e conquista il centro della scena, accrescendo la tensione e l’empatia del pubblico per le sorti del protagonista, inquadrato in primo piano.

Una terza figura compare, poco distante, alla sinistra di Antoine, e il passo del francese si tramuta all’istante in una corsa, in un tentativo di fuga. La macchina da presa abbandona gli altri due personaggi. I tre uomini riappaiono contemporaneamente e formano un triangolo su un pendio montuoso, conferendo così forma geometrica alla tensione vissuta dallo spettatore. La scena si chiude con una ripresa strettissima che si focalizza sulla bocca di Antoine, tesa nel tentativo di un urlo ma avvinghiata da braccia in ogni parte, raffigurando una composizione macabra e bestiale. 

Arrivato al sesto lungometraggio in carriera, Rodrigo Sorogoyen passa da enfant prodige del cinema spagnolo a autore sempre più affermato anche fuori dai confini nazionali, e firma un thriller in grado di catturare lo sguardo e l’attenzione di chiunque assista alla proiezione, per tutta la durata della pellicola. Evidente risulta come questo regista riesca a muoversi tra il cosiddetto cinema di genere e l’impronta autoriale. Sorogoyen dimostra infatti un’innata abilità nel sedurre il pubblico senza tuttavia rinunciare a una cifra stilistica riconoscibile e raffinata. 

As bestas (co-produzione Francia Spagna 2022, 137 min.) mette in scena le vicende di due coniugi francesi, Olga e Antoine, colti e istruiti, trasferitisi in un paesino di montagna della Galizia quasi disabitato per abbandonare la città e vivere a contatto con la natura, oltre che per dedicarsi all’agricoltura ecosostenibile. Il progetto di Antoine consiste nell’opera di ristrutturazione di una serie di case, ormai in disuso o ridotte a cumuli di mattoni, per ripopolare il paese, che conta ormai solo una decina di abitanti.

Le ambizioni del francese si scontrano però inevitabilmente con la volontà dei compaesani, in particolare dei suoi vicini di casa, Xan e Loren. I due vorrebbero vendere la proprietà del terreno a una multinazionale operante nel settore energetico, che progetta di trasformare quella valle in un parco eolico. Il sentimento ecologista dei coniugi francesi collide inevitabilmente con l’installazione delle pale eoliche, e per Xan e Loren risulta dunque impossibile riscuotere il compenso della vendita. La loro condizione di miseria appare così destinata a proseguire. Le conseguenze di tale contrasto non potranno che sfociare in violenza e, nel caso di Antoine, in tragedia

Il dilemma che Sorogoyen mette in scena si dimostra sempre più articolato con il procedere della trama e, seppure vi sia una presa di posizione decisa rispetto agli eventi più eclatanti e in relazione alla connotazione morale di buoni e cattivi, non manca tuttavia un’acuta riflessione sulle colpe e le presunzioni di coloro con cui lo spettatore è portato naturalmente a condividere simpateticamente una condizione esistenziale. 

In una scena in particolare, il dialogo tra Antoine e Xan all’interno del bar del paese, emergono sia l’incolmabile distanza che caratterizza la posizione delle due parti, sia i contesti di provenienza e le motivazioni alla base della decisione, da parte di entrambi, di non abbandonare il proprio scopo. L’incompatibilità delle due forme di vita evidenzia però in modo specifico i lati negativi della visione di Antoine. Il progetto ecologico e di ripopolamento del paese da parte del francese si regge infatti esclusivamente su un’ambizione utopica, dettata dall’arroganza di un cittadino colto e istruito. Animato dal desiderio di una vita diversa, il progetto di Antoine non solo non viene condiviso dagli abitanti del paese in cui si è insediato, ma presumibilmente neppure del tutto compreso.

Xan e Loren vedono la propria appartenenza a quella comunità come una condanna. I due fratelli sono infatti due rozzi montanari che allevano bestiame e non hanno mai avuto la possibilità di studiare o di viaggiare fuori dal paese natio. Una frase di Xan in particolare non può che suscitare reazioni empatiche nello spettatore: la loro condizione di indigenza non era neppure percepita prima che la società energetica proponesse una somma di denaro, tutt’altro che cospicua, per l’installazione degli impianti eolici. La totale assenza di cultura o di prospettive ha determinato dunque nei due fratelli, di cui uno affetto da una forma di deficit neurologico, la disposizione a compiere qualsiasi gesto, pur di convincere Antoine a firmare l’approvazione per le pale eoliche. 

I 137 minuti di durata del film sono disseminati di molti indizi che conducono a una visione problematica del progetto di Antoine. Grazie alla sua abilità retorica e ai suoi strumenti culturali, è riuscito a influenzare altri concittadini per bloccare la transazione. Da questo punto di vista, quello che Sorogoyen sembra voler suggerire allo spettatore è una visione degli intenti di Antoine che si potrebbe definire perfino di stampo coloniale. Una tendenza da parte del cinema europeo a rappresentare le innumerevoli responsabilità di coloro che hanno i mezzi per operare attivamente sulla realtà sociale e la sopraffazione perpetrata da questi ultimi a danno delle fasce non solo più povere, ma anche maggiormente sprovviste di strumenti culturali, risultano particolarmente accentuate negli ultimi anni.

Le somiglianze di questa pellicola con Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti sono molteplici, ma il paragone potrebbe essere esteso anche alle filmografie di registi come Michael Haneke e Yorgos Lanthimos. È evidente, dunque, la volontà generalizzata di mettere in scena un conflitto non solo tra strati sociali differenti ma tra immaginari che, in relazione alla classe di appartenenza, non sono in grado di generare alcun tipo di dialogo, proprio in virtù dell’inconciliabilità tra le diverse prospettive. 

Questa ambiguità di fondo rispetto a chi sia davvero il prevaricatore non comporta però alcun tipo di indulgenza o giustificazione rispetto alle angherie perpetrate da Xan e Loren nei confronti di Antoine. Gli atti di offesa xenofobi, in un primo momento, e di violenza successivamente, conducono lo spettatore a un giudizio inequivocabile nei confronti dei due fratelli e delle forme di sopruso esercitate contro il nuovo concittadino. I due dimostrano un rancore di stampo nazionalistico motivato, e ulteriormente accresciuto, dal giudizio di colpa espresso verso “il francesino”, che li avrebbe infatti privati del denaro derivante dalle pale eoliche.

La natura delle azioni violente si intensifica con lo sviluppo della vicenda, e così la tensione del film, perfettamente controllata da una regia precisissima nella gestione dei piani in cui vengono organizzate le inquadrature. I luoghi che ambientano la trama sono quasi esclusivamente montuosi, e la macchina da presa si adegua costantemente ai pendii e alla natura scoscesa e irregolare del paesaggi: una scelta stilistica evidente in particolare nella sequenza dell’omicidio di Antoine compiuto dai due fratelli. Su una superficie obliqua, infatti, Xan e Loren circondano con le braccia il volto e il collo di Antoine, richiamando la scena di apertura del film in cui tre uomini, per domare un cavallo, gli immobilizzano il muso. 

Rodrigo Sorogoyen e Isabel Peña, coautrice di tutti i film del regista, firmano una sceneggiatura brillante e costruiscono un intreccio in cui la suspence e l’analisi delle dinamiche sociali si compenetrano. Sfruttando la forma del thriller i due autori disseminano innumerevoli informazioni che permettono allo spettatore di addentrarsi sempre più in profondità in un mondo così distante dalla realtà quotidiana cittadina vissuta abitualmente dalla maggioranza della popolazione occidentale. L’abbandono di qualsiasi comodità urbana come atto di riconciliazione con un’ideale dimensione amena più autentica prende qui le sembianze di una storia crudele e violenta. 

Gli autori sembrano infatti voler negare che un tale progetto possa davvero compiersi nel mondo reale, costituito da persone e interessi materiali, e non solo nelle fantasticherie borghesi, dimostrando dunque una concezione pessimistica rispetto a un disegno utopico. Il dialogo tra Olga e la figlia, Marie, risulta particolarmente esemplificativo di un tale dissidio. Quest’ultimo, filmato interamente attraverso un piano sequenza, è probabilmente uno dei momenti migliori del film: lo scambio di accuse reciproche tra la madre e la figlia rappresenta non soltanto una scena di grande valore dal punto di vista drammaturgico ma anche una forma di confronto e di critica dei diversi stili di vita possibili e auspicabili nell’Europa contemporanea. 

L’impatto non solo visivo ma anche uditivo della narrazione è tutt’altro che irrilevante. La colonna sonora, mai invasiva o eccessiva, scandisce grazie all’uso di percussioni e corde distorte l’andamento del film, richiamando ritmiche di tipo tribale e altre che sembrano voler ricalcare le marce del bestiame, vero e proprio coprotagonista della pellicola. La perizia tecnica del film risulta ammirevole in tutti gli aspetti. Oltre alla colonna sonora, infatti, la fotografia e il montaggio del film presentano una notevole qualità che permette alla narrazione di catturare in ogni momento l’occhio dello spettatore, generando una tensione costante nonostante le variazioni ritmiche, dovute agli indugi prolungati della macchina da presa sul paesaggio montuoso della Galizia e, soprattutto, sui volti dei protagonisti. 

Proprio con un primissimo piano sul volto di Olga si chiude infatti la narrazione di As Bestas. La donna viene ripresa nella macchina della polizia, dopo aver finalmente ritrovato il corpo del marito; questa sequenza è interrotta brevemente solo dalla presenza sullo sfondo della madre di Xan e Loren. Sorogoyen dimostra qui ulteriormente la sua capacità di traslare il centro della scena dal primo piano allo sfondo con grande maestria. La tragedia si risolve dunque con la consapevolezza da parte delle due donne della condizione di solitudine che le aspetta a causa, rispettivamente, della morte del marito e della relativa futura incarcerazione dei figli.

Proprio sulla testimonianza degli sguardi si chiude l’epilogo della vicenda, e il volto, logorato dalla fatica e dal dolore, ma comunque aggraziato di Olga si contrappone idealmente a quelli rozzi e sporchi di Xan e Loren. Sorogoyen ne rimarca più volte le sembianze, durante tutta la durata del film, mettendo in scena una pellicola dolorosa e crudele ma incredibilmente attuale e affascinante per lo spettatore, oltre che di grande successo sia a livello di premi sia di incassi.