C’è un problema che forse non viene discusso quanto dovrebbe, nella poesia italiana contemporanea, e cioè quello che riguarda il rapporto tra la forma (intesa come struttura del testo e tecnica compositiva) e la storia. Quali forme sono aderenti al tempo in cui vengono prodotte? Quali lo contrastano? Quali ne sono sottomesse? C’è una strategia con cui la forma si relaziona alla storia? O ne è indissolubilmente determinata?

La difficoltà, non dico a rispondere, ma almeno ad approcciarsi a queste domande è dovuta anche – dal mio punto di vista – all’eterogeneità della produzione. Già Sanguineti parlava di mercificazione e museificazione delle avanguardie; oggi tocchiamo con mano l’apice di questo processo, per cui tutte le forme, anche le più eversive, possono essere inglobate e strategicamente collocate dal mercato. Cioè, disinnescate. Se c’è una cosa che ci può insegnare l’Oscar di quest’anno Everything everywhere all at once – lascio al lettore il giudizio specifico sul film – è che il 2023 significa compresenza schizofrenica, accelerata, contraddittoria delle più diverse forme ed esperienze.

Dico questo perché ciò che in primis ritengo interessante, di Soggetti a cancellazione di Lorenzo Mari, uscito nel 2022 per Arcipelago Itaca, è il portare in evidenza proprio un problema di forma (o forme) in relazione alla storia. E di farlo pragmaticamente, affrontandolo nel testo.

Perché se è vero che il libro ha una forte componente meta-poetica (le parole «poesia» e «poesie», contate assieme, figurano ben sedici volte) e che in alcuni punti viene esplicitamente additata la contraddizione della poesia («Nulla, e tutto: morte, e il segno  ricomposta / poesia, non è nel libro  ma a volte dice / bruciandosi per sparire»), più forte è l’esperienza concreta di questa frattura, di un linguaggio che si mostra bucato da ogni lato anche – e soprattutto – quando aspira a una capacità referenziale, narrativa o gnomica.

Per entrare nel mood del libro conviene quindi passare in rassegna le varie modalità con cui questa foratura si materializza, e che fanno di Soggetti a cancellazione una vera Wunderkammer delle tecniche di scrittura, con queste che si oppongono e sporcano a vicenda, diventano un’orchestra in stile Portsmouth Sinfonia, dove gli archi prendono i legni, i legni gli ottoni, e tutto suona come una gigantesca, intelligentissima, farsa. A cominciare dall’oggetto-libro: una «stampa ironicamente sopradimensionata (formato A4)» (Bignozzi[1]), che fin dal tatto introduce in uno spazio modificato, comodo per tentare le sperimentazioni tipografiche più diverse (e ironizzate, per giunta, vista la citazione di Lenin in apertura[2]), ma che, soprattutto, produce un’atmosfera straniata, uno scenario inquadrato col grandangolo.

Entrati in questo scenario, ogni pagina di Mari è un episodio di manipolazione laboratoriale della lingua, un pezzo della Wunderkammer. Questo può rientrare nel bacino della scrittura “lineare” (che ricorre al verso tradizionalmente inteso, ovvero con coscienza ritmica e senso forte dell’a capo) o in quello della scrittura sperimentale e di ricerca (se non della poesia visiva e dell’«uncreative writing statunitense», come osserva Spinelli[3]).

Così, quanto al primo gruppo, troviamo poesie ben organizzate sul piano strutturale (molti dei testi di Délibáb, la prima sezione del libro, seguono schemi strofici precisi, come le quartine di p. 17 o i distici di p. 18, e in Della sparizione dell’intera fauna avicolacompaiono dei sonetti), che ricorrono a espedienti retorici classici (l’anafora, ad esempio: «Se metti tutte le cose a posto il corpo / non è ancora fuori posto. Scivola. // Se metti tutte le cose a posto la casa / non è ancora fuori posto. Scivola.») o più generalmente a tessiture foniche studiate, di cui sono esempio significativo le rime in «cata-», con tmesi, di questo testo:

Nei corpi che reclamano senza voce 
dai campi elisi e uguali, partiti 
nel mezzo – la nostra ansia è piccola 
per le sirene senza apocope o cata-
lettiche e perciò continue: 
se non hanno che una minutissima 
divisione nel finale non dicono 
chi per loro ha disegnato 
l’incommensurabile spazio: l’epi-
strofe – chi ne ha parlato 
serenamente e senza danno – chi è rimasto
dopo una virgola e si è fatto cata-
basi, senza una risposta. 
La nostra ansia non si qualifica 
ma vuole interrogativo adeguato 
per il nulla – cata-
lisi dello stesso corpo. La nostra ansia 
è ciò che resta grande: oracolo cata-
diottrico.

Nel secondo gruppo – cui possiamo accostare anche le parti in prosa e il cursus più sbrigliato o la versificazione frantumata, irregolare di alcuni testi («poi dove vanno a finire / anche i conti / della serva / come / e perché») – ricadono invece soluzioni più dirompenti, strategie varie di messa in crisi del testo.

Dalle note ai versi alle – come da titolo – cancellazioni («noi siamo i più, almeno il 99%»), dagli elenchi puntati agli spostamenti dei versi sullo spazio della pagina, per arrivare a operazioni concettualmente anche molto complesse, come le citazioni e i rifacimenti disseminati nel libro (da Giulio Cesare Cortese, da Lionardo Vigo Calanna…) o – ci dicono le note a fine libro – la «traduzione automatica (Google Translate) dei sottotitoli automatici dei primi minuti dell’Instagram Live a casa di Jean-Luc Godard, trasmesso dall’ECAL di Losanna il 7 aprile 2020» (Libro delle immagini) e la «traduzione della pagina Wikipedia dedicata a Carlos Solomón» (Carlos Solomón).

Una posizione particolare, poi, occupano i QR code che troviamo tra una sezione all’altra. Rimandando ad esempio a video YouTube o al sito Monte dei cocci (che è anche il nome di una sezione e, in fin dei conti, una sorta di auto-allegoria del libro, raccoglitore di pezzi di linguaggio disarticolato), i QR code sono la foratura letterale di Soggetti a cancellazione; l’attestazione concreta dell’incapacità del libro, come oggetto e come fatto culturale, di contenere se stesso in un’epoca di trasformazione radicale dei manufatti (?) estetici. Di più: i QR code vengono anche tagliati, sovrascritti, cioè, di fatto, disattivati e trasformati in elementi visivi. A dimostrazione di come questa tensione verso l’esterno del libro sia colta nella sua misura contraddittoria, precisamente di varco oltre la pagina e riconoscimento di una pagina concreta (come carta e come spazio simbolico) contemporaneamente.

Proprio qui, nella possibilità di inserire nello stesso libro sonetti e QR code, sta la posizione storica del libro, come spiega bene Devicienti: «siamo precisamente sulla soglia tra la forma-libro d’eredità gutenberghiana e la forma-libro d’era internettiano-digitale, punto liminale del nuovo che non si è del tutto congedato dall’antico, andirivieni pendolare tra la forma-testo a stampa e la forma-testo digitalizzata»[4].

Una compresenza schizofrenica che è, perciò, conflittualità, tanto linguistica quanto (conseguentemente) umana. Dietro questo scontro si vede infatti non solo una fase di passaggio della storia della scrittura ma – ed è una conseguenza – anche la complicazione del rapporto tra soggetto e lingua (sia come comunicazione sia come letteratura).

È come se i problemi sollevati dalla scrittura di ricerca negli ultimi decenni (non-assertività, “regressione” del soggetto, “disobbedienza” alla cornice[5]), e anzi più precisamente la tensione tra questi problemi e la tradizione, ciò che (forse sbrigativamente) chiamiamo lirica, venissero portati da Mari per intero all’interno del libro e attraversati: il paesaggio composito (di macerie, oggetti alieni) del linguaggio contemporaneo.

Come questi paradossi si confrontino con la soggettività (individuale ma anche collettiva, nel senso di uomo soggetto della storia) è la domanda definitiva che dobbiamo fare al libro. Spinelli – ancora – legge lacanianamente la questione. Dice: «Una volta che il significante (afferente al simbolico, cioè al territorio dell’Altro, del linguaggio socializzato) nomina il soggetto, esso si eclissa, scompare nel momento che appare: come un cliché, come una cosa che smette di sembrarci vera una volta che la verbalizziamo. Il soggetto lacaniano è perciò un soggetto a cancellazione».

Agganciandoci al discorso precedente possiamo quindi vedere questa dialettica tra nominazione e cancellazione aver raggiunto il massimo grado nella fase storica in cui siamo: «di fronte a una quantità senza precedenti di testi»[6], evidenzia Goldsmith, la sparizione dei soggetti – per il meccanismo di cui sopra – si moltiplica esponenzialmente.

Dicevo in apertura come Soggetti a cancellazione, nonostante la sua esplicita postura meta-poetica non rinunci a una dimensione “referenziale” (pure colta all’interno di un compromesso, delle sparizioni). Ecco, ci sono due linee tematiche nel libro che attraversano la questione soggetto vs lingua e la allargano, due leitmotiv: la «terra piatta» e il «99%». La prima immagine apre il libro:

Non è nient’altro che terra piatta: un po’ 
come tutte le convinzioni, in poesia – 
              procedere 

si dice, in direzione della linea che si prospetta 
giusta: l’orizzonte ad esempio con campanile 
ma rovesciato – 
            scientificamente 

si spiega il motivo per il quale a volte 
si vedono le montagne a volte no ma è 
            verso 

la linea esatta che si procede così come procede la linea storica 
o la terra piatta mentre l’acqua del fiume è il corso sullo sfondo 
tutta 
             uguale – 

i morti della linea storica hanno voce tutta uguale e giusta 
rimane solo fata morgana come niente fosse stato 
            rinuncia 

– il cimitero è questo, 
            in fondo: 

non un coro, specialmente di statue di sale, 
ma un sussurro un lieve cenno del capo 
un assenso muto 
              alla dialettica

Un’immagine inglobante, innanzitutto («Nient’altro che terra piatta»), poi qualcosa che ha a che fare, esattamente, con la storia («la linea storica o la terra piatta») e con la parola («i morti della linea storica hanno voce tutta uguale e giusta»). Da un lato, quindi, il «procedere», che è appunto la storia, è che è un approssimarsi «in direzione della linea che si prospetta / giusta», il puntare a «fata morgana» (utopia e abbaglio insieme); dall’altro, contemporaneamente, questo approssimarsi che si concretizza in una serie di tentativi della lingua, che mentre avanza si lascia dietro, necessariamente, un «cimitero» di scarti, stadi in cui l’uomo tenta le forme della lingua ma non le padroneggia del tutto («un assenso muto»).

Per questa strada ecco aprirsi anche uno spiraglio di decifrazione del «99%». «Noi siamo il 99%» si ripete più volte, dice “siamo” e lo barra, cioè attesta e non attesta un’esistenza, barra talvolta anche il «99%», e cioè, in generale, misura le voci (quindi le persone, ma anche le modalità del linguaggio) sottese alla storia, che la conducono, più o meno coscientemente, e poi soccombono. Più si allarga la forbice della comunicazione (i testi incalcolabili di Goldsmith) più soggetti spariscono, e così la storia si compie come dialettica tra tecniche di nominazione della vita e masse sempre più numerose di «voci» coinvolte, cioè nominate, cioè partecipi del «cimitero», dove i morti sono nomi, e nient’altro.

Soggetti a cancellazione, insomma, è un libro intimamente diacronico, perché si pone in un preciso momento della cultura, in una fase di passaggio e crisi; ma soprattutto perché, così facendo, evidenzia il sottinteso storico, il taciuto – appunto – che di questa fase è il presupposto. Soggetti che scompaiono vuol dire modi della lingua che si affastellano e tentano di catturare una «terra piatta». Che, in quanto bidimensionale, appare come campo di azione libero, ma, allo stesso tempo, polo viscido che le forme della poesia sfiorano e basta. Poi scivolano e si raccolgono in un libro che non può che essere esploso


L. Mari, Soggetti a cancellazione, Osimo, ArcipelagoItaca, 2022, €16, 100 pp.


[1] https://www.asterorosso.com/2022/06/04/su-soggetti-a-cancellazione-di-lorenzo-mari/

[2] «Tipografismo malattia infantile dell’avanguardismo» (corsivo del testo).

[3] https://palinwebmagazine.it/2022/05/19/su-soggetti-a-cancellazione-di-lorenzo-mari/

[4] https://rebstein.wordpress.com/2022/03/11/soggetti-a-cancellazione-di-lorenzo-mari/

[5] Per approfondire questi argomenti si veda La cornice e il testo di Gian Luca Picconi (Tic edizioni, 2021).

[6] CTRL+C, CTRL+V (scrittura non creativa), Kenneth Goldsmith (Nero Editions, 2019)


Foto di Victor Awesome Photography su Unsplash