La carriera letteraria di Ezio Sinigaglia rappresenta un classico caso di riscoperta tardiva. Alla prima pubblicazione di Il Pantarèi, avvenuta nel 1985, seguì un silenzio editoriale lungo più di trent’anni. Soltanto negli ultimi tempi abbiamo avuto modo di conoscere ed apprezzare l’opera straordinaria di questo autore: primo ad essere pubblicato fu Eclissi (Nutrimenti, 2016), a cui seguì nel 2019 la riedizione da parte di Terrarossa Edizioni di Il Pantarèi, nel frattempo scomparso dagli scaffali. Da allora Terrarossa ha pubblicato ogni anno opere rimaste inedite di Sinigaglia. Vediamo quindi uscire L’imitazion del vero (2020) e i due volumi di Fifty-Fifty, ossia Warum e le avventure conerotiche (2021) e Sant’Aram nel regno di Marte (2022).

Quest’anno infine esce Sillabario all’incontrario, lavoro la cui scrittura risale agli anni 1996-1997 e che si caratterizza per una natura leggermente diversa rispetto ai romanzi precedenti: si tratta infatti della prima opera scopertamente autobiografica dell’autore. La pratica di inserire elementi della propria biografia nella finzione romanzesca è sempre stata presente nella scrittura di Sinigaglia, cosa questa avvenuta in maniera particolarmente evidente nei due volumi di Fifty-Fifty. Nel caso del Sillabario, tuttavia, vediamo per la prima volta un libro in cui il protagonista della narrazione è l’autore stesso e non un personaggio di finzione come Daniele Stern in Il Pantarèi o Aram in Fifty-Fifty.

Della struttura generale dell’opera l’autore dà una parziale spiegazione nella Prefazione. Sillabario all’incontrario si suddivide in ventun capitoli, ciascuno avente per titolo una parola-chiave che funge da spunto iniziale e da “tema” del capitolo stesso. A ognuna di queste parole corrisponde una diversa lettera dell’alfabeto italiano, il cui ordine è però rovesciato, come il titolo stesso del libro suggerisce. Si succederanno quindi Z come Zoo, V come Vegetazione, U come Umanità, e via dicendo sino a B come Bambini e A come Aldilà. Tale ordine capovolto segue, come ci spiega Sinigaglia stesso, una struttura «simile a quella classica del romanzo giallo, dove “l’indagine parte dalla fine, dalla Z degli indizi, per arrivare sperabilmente al principio, all’A delle origini, all’A dell’assassino”» (p. 6).

L’idea di indagine è una delle chiavi di lettura fondamentali di Sillabario all’incontrario. Essa costituisce innanzitutto il motore iniziale dell’opera. Nella prefazione, Sinigaglia ci informa immediatamente di come si sia trovato, a seguito di un lungo periodo di malattia, in uno stato di «debolezza sia dei muscoli sia del pensiero e della volontà» (p. 5). Per uscire da tale condizione, l’autore ci racconta di aver ricevuto dal suo medico curante il consiglio, di sveviana memoria, di riprendere a scrivere. Da tale attività nasce il Sillabario. Dichiaratamente il libro trae la sua origine dalla volontà di indagare le cause, di individuare il “colpevole” di un malessere che è soprattutto psichico, ma la cui natura e sintomatologia rimarranno ambigue sino all’ultimissimo capitolo. In questo senso, l’indagine costituisce non solo l’input iniziale, ma anche la principale direttrice narrativa di un testo che non si fonda su una trama unitaria, ma al contrario su innumerevoli micro-narrazioni, digressioni e frammenti collegati da un principio di libere associazioni.

Dalla natura introspettiva del libro deriva anche un’altra caratteristica strutturale di Sillabario all’incontrario: esso procede a ritroso non soltanto nell’alfabeto, ma anche nella sua operazione di scavo interiore. Sinigaglia ci avverte di questo esplicitamente, sottolineando come il libro mostri una struttura tripartita. I primi capitoli (da Z come zoo fino a Q come quattrini) rispondono prevalentemente all’esigenza di descrivere il presente, di presentare al lettore uno status quo costituito prevalentemente da elementi che l’autore stesso definisce «superficiali», quotidiani. A partire da P come Padre, vediamo comparire sempre di più l’elemento della reminescenza del passato. Negli ultimi capitoli, infine, un ulteriore scarto porterà l’autore a scavare ancora più nel profondo, raggiungendo tematiche universali ed esistenziali.

Ogni indagine degna di questo nome si caratterizza per avere un metodo e degli strumenti. Se il metodo è quello descritto poc’anzi, ossia la scrittura a partire da parole-chiave, i suoi strumenti sono invece precipuamente tre: l’ironia, la riflessione e il ricordo. A ciascuno di essi sarà quindi dedicato un capitolo separato di questa analisi. Soltanto alla fine tenteremo di ricondurli ad una sintesi.

Ironia

Qualsiasi lettore dei romanzi di Sinigaglia conoscerà sicuramente la propensione dell’autore per l’ironia. Sin dalla sua prima opera pubblicata, Il Pantarèi, la scrittura di Sinigaglia si è caratterizzata per il suo umorismo intelligente, sempre elegante e al contempo mai blando. Un’ironia che affonda le proprie radici soprattutto in quell’impasto linguistico e in quell’inconfondibile ricchezza stilistica che sono tra le caratteristiche estetiche più pregevoli della prosa di Sinigaglia, e che sono d’altronde costantemente presenti anche in Sillabario all’incontrario. Non è un caso che l’autore dedichi proprio all’umorismo uno dei capitoli centrali del romanzo (H come Humour). Il capitolo, dopo un’introduzione su cui torneremo in seguito, prosegue con una serie reminescenze infantili, tra cui quella riguardante la passione per la filatelia condivisa dal padre e dal fratello. Digressione che si rivelerà alla fine essere il ricordo della prima volta in cui l’autore ha usato consapevolmente un calembour, ossia quello tra la “lingua” e la “linguetta” presente sul retro dei francobolli:

«Parlai senza pensare, senza progettare le parole: una cosa che, fino a un secondo prima, mi sarebbe apparsa inverosimile: vennero su da sole, le parole: su, alla mia bocca: la lingua le articolò senza avvedersene: mia madre disse: “Ma che silenzio! Come mai così zitti?”: e io, di rincalzo: “avete perso la linguetta?”. Mio padre mi guardò sbalordito, per due secondi buoni, prima di scoppiare a ridere. Era la prima volta che dicevo qualcosa di veramente arguto». (p. 122)

Ricompare nel Sillabario anche il gusto di Sinigaglia per la costruzione linguistica, che già abbiamo imparato a conoscere grazie ai virtuosismi bachtinianamente pluridiscorsivi di Sant’Aram nel regno di Marte. Lo si vede innanzitutto nella manipolazione delle parlate: quella dell’autore-narratore (es. i toscanismi nella descrizione dei vizi dei felini di casa in Z come Zoo), ma anche e soprattutto quelle delle figure secondarie, tra cui spicca l’idioletto orale di Marcello, l’amante occasionale di E come Eros. Ricompare anche l’uso dell’onomaturgia, tanto utilizzato in Fifty-Fifty, creando derivati d’autore quali «cuccesca» e «cucciforme» (p. 13) o espressioni neologistiche come «amor pirata» (p. 143). Fondamentale è inoltre l’utilizzo frequentissimo del gioco di parole, specialmente nella forma del calembour. A questi elementi si affiancano innumerevoli altri strumenti linguistici, stilistici e retorici, con ampia varietà di tropi (es. iperboli, eufemismi e metafore), di figure di suono (allitterazione) e figure sintattiche (enumerazione).

Sarebbe tuttavia riduttivo imputare l’ironia di Sillabario all’incontrario esclusivamente a questioni stilistiche. Per Sinigaglia, come egli stesso dichiara apertamente nelle primissime righe del capitolo H come Humour, l’ironia è soprattutto uno strumento di intelligenza. Uno strumento che permette di conoscere il mondo e di rovesciarlo, mostrandone meglio la natura attraverso un occhio diverso.

«Da tempo, quasi da sempre, parlare e soprattutto scrivere di qualcosa, di qualsiasi cosa, senza umorismo, senza ironia, equivale per me a parlare e soprattutto scrivere senza intelligenza: tanto vale starsene zitti, e anzi stare zitti è molto meglio». (p. 94)

Non è un caso che l’ironia, in un libro che si prefigge di indagare sulla propria vita, diventi frequentemente auto-ironia, a ulteriore dimostrazione di come l’humour sinigagliano miri soprattutto a diventare uno strumento di conoscenza di sé. In questo senso esso diventa uno specchio, che fornisce un’immagine rovesciata ma non per questo meno nitida dell’osservatore. Un’occasione per studiare il mondo e se stessi con distacco, un metodo razionale per vedere la quotidianità da un altro punto di vista.

Riflessione

Secondo strumento dell’indagine sinigagliana è quello della riflessione, ossia l’atto dell’autore-narratore di condurre un ragionamento su di sé costruito intorno a un concetto astratto. Già a partire da questa definizione, notiamo subito una connessione con quanto precedentemente detto riguardo all’ironia: vediamo nelle riflessioni di Sinigaglia l’utilizzo di uno strumento di conoscenza razionale. Se tuttavia l’ironia si manifesta precipuamente su un piano stilistico e linguistico, operando in modo trasversale su tutto il testo, le riflessioni in Sillabario all’incontrario contribuiscono direttamente alla costruzione della materia del romanzo. Un esempio lo troviamo in P come padre, capitolo fondamentale su cui torneremo anche in seguito:

«Ho grossi problemi, io, con i ruoli. Va da sé che, dal mio punto di vista, sono gli altri ad avere problemi con i ruoli: per me non dovrebbero esistere. A ben guardare, è solo in questo che sono davvero un ribelle: nella caparbietà con cui mi rifiuto di prender parte ad una recita. I ruoli sono una finzione teatrale. La vita dovrebbe essere autentica. Invece accade che il teatro sia alquanto più autentico e versatile della vita». (p.38)

I passaggi riflessivi del Sillabario si intrecciano senza soluzione di continuità con le sezioni più narrative, spesso fungendo da collante tra una reminescenza e l’altra. In essi vediamo l’autore esplorare i concetti più disparati, che vanno dal senso dei ruoli sociali all’importanza di usare metafore «calzanti», dalla condizione di autore inedito al valore dell’ironia. Sinigaglia ha così modo di speculare senza preconcetti, per poi ricondurre le conclusioni del ragionamento al rapporto che esse intrattengono con la propria persona. Anche dalla struttura del romanzo, con la sua metodologia per esplorazione di parole-chiave e con il suo andamento digressivo, si evince come in Sillabario all’incontrario venga messo in atto un esperimento su se stessi, con tutte le prove e gli errori che ogni vero esperimento comporta:

«Il mio Sillabario non segue un progetto narrativo predeterminato: in questo senso assomiglia di più a una vera indagine, i cui esiti sono incerti, che non alla finzione del romanzo poliziesco, dove il successo dell’indagine è preventivato a tavolino». (p. 6)

Ricordo

L’ultimo strumento fondamentale dell’indagine di Sillabario all’incontrario è quello del ricordo. Come anticipato, esso fa la sua comparsa nel romanzo soltanto gradualmente: superati i capitoli iniziali, dove prevale la lettura ironica del presente, in P come Padre l’autore comincia a scavare nel passato. In tale capitolo l’autore affronta il rapporto genitoriale, partendo dalla propria esperienza personale e collocandosi in entrambi i ruoli, sia di padre adottivo di Umberto, sia di figlio egli stesso. Sinigaglia si trova a questo punto a rivangare nel passato del proprio rapporto col padre, venuto a mancare alcuni mesi prima dell’insorgere del malessere indagato nel romanzo. Un rapporto descritto in tutti i suoi vuoti comunicativi, con un’onestà intellettuale limpida, e proprio per questo straziante:

«Fra genitori e figli il non-detto è indicibile: quando i figli cessano d’esser troppo giovani per trasmettere, i genitori sono già troppo vecchi per ricevere. Poi, quando muoiono, può accadere che lascino difficoltà di deglutizione apparentemente inesplicabili: perché l’elaborazione del lutto mi è riuscita così dolcemente dolorosa per mia madre, così dolorosamente amara per mio padre? Vi sono solo due risposte possibili, evidentemente. La prima è: perché mia madre mi ha amato più di mio padre. La seconda: perché ho amato più mia madre di mio padre». (p. 51)

Le reminescenze di Sillabario all’incontrario sono, rispetto a ironia e riflessione, l’altra faccia della medaglia dell’indagine sinigagliana. Mentre infatti questi ultimi sono strumenti dell’intelletto razionale, attraverso il ricordo l’autore apre una fessura in una dimensione nascosta e difficile da accettare. Tale dimensione è quella del rimosso, termine freudiano che non a caso diventa titolo nel capitolo dedicato alla lettera R. L’autoanalisi propriamente detta costituisce un aspetto cardinale della metodologia di Sinigaglia. Si noterà facilmente come l’andamento digressivo del testo proceda secondo catene di libere associazioni, tecnica questa che molto ha a che vedere con la prassi psicoanalitica, così come il fatto che F come Freud sia il titolo sibillino di uno dei capitoli centrali, in cui questa tendenza alla divagazione diventa particolarmente evidente.

Il ricordo conduce l’autore ad affrontare i nodi irrisolti della propria esperienza di uomo, andando infine a toccare gli aspetti più profondi dell’esistenza umana. Ecco quindi che amore e morte diventano due fili conduttori nascosti dell’opera. L’amore, tematica così cara a Sinigaglia in tutta la sua produzione precedente, viene trattato nel Sillabario in tutte le sue sfumature e manifestazioni, dall’amore genitoriale alle manifestazioni erotiche, bisessuali e poliamorose, oggetto di splendidi passaggi in N come Narcosi ed E come Eros. Altrettanto interessante è la presenza così frequente della morte, soprattutto se messa in relazione al resto dell’opera sinigagliana. Raramente nei romanzi precedenti abbiamo visto comparire questa tematica con l’insistenza con cui compare nel Sillabario, anche se in un caso (ossia in Eclissi) il modo in cui ciò era accaduto ne aveva fatto un elemento di spicco. In Sillabario all’incontrario la morte compare in più occasioni. La prima è quella del padre, ma ad essa seguono inoltre diversi altri passaggi in cui tale tematica viene affrontata apertamente. Ciò avviene specialmente negli ultimi capitoli in cui l’indagine si fa sempre più esistenziale e profonda, fino al finale di B come Bambini in cui essa farà la sua comparsa più inaspettata, muovendo da un ricordo d’infanzia ricoperto dai sedimenti del tempo e da allora rimasto sepolto.

Un tentativo di sintesi

Siamo a questo punto giunti al termine dell’analisi dei tre strumenti di indagine di Sillabario all’incontrario. Molto in realtà si potrebbe ancora dire a tal proposito, in un romanzo come questo che difficilmente potrà veder esaurito in così poco spazio lo studio delle sue preziosità e dei suoi dettagli. Tuttavia, prima di concludere si rende necessario un ultimo sforzo, volto a fornire un tentativo di sintesi. Come l’investigatore dei romanzi gialli, per proseguire con la metafora usata dall’autore, anche noi dovremo prendere gli indizi raccolti finora e cercare di ricondurli a un tutto unitario, in modo da vedere finalmente il “caso” nel suo insieme.

Partiamo da una considerazione: l’abilità dell’autore nell’uso dell’ironia, dello stile e della lingua, così come la profondità delle sue riflessioni e l’analiticità delle sue reminescenze avrebbero da sole potuto costruire un romanzo interessante. Ciò detto, sono il loro sapiente dosaggio e il loro intreccio in un tessuto senza soluzione di continuità e privo di forzature ad essere le caratteristiche più notevoli del Sillabario, nonché la dimostrazione massima della maestria dell’autore. L’unione dei tre strumenti di indagine permette a Sinigaglia di raggiungere un risultato che forse non sarebbe stato possibile ottenere con ciascuno di essi preso singolarmente: Sillabario all’incontrario riesce ad essere soprattutto equilibrato. In Tradition and the individual talent[1], T. S. Eliot descriveva l’azione del poeta sulla propria esperienza biografica accomunandola a quella di un filo di platino in una reazione chimica: fondamentale alla reazione stessa, esso garantisce che i reagenti si trasformino nei prodotti senza però consumarsi o mescolarsi ad essi. Fuor di metafora, il grande autore si caratterizza per la sua capacità di attingere dalla propria esperienza per poi trascendere da essa, creando un’opera che la elabori e trasmuti in arte. Ecco quindi che, alla luce di quanto visto finora, possiamo arrivare a dire con sicurezza che Sinigaglia è riuscito a soddisfare la richiesta eliotiana. Sillabario all’incontrario dimostra, dalla prima all’ultima riga, una straordinaria capacità di costruire arte a partire dal proprio vissuto, di produrre qualcosa di universalmente umano trasmutando il particolare della singola esperienza. Un’abilità, questa, che fa di Sinigaglia un autore elevatissimo, forse imprescindibile nel panorama della prosa contemporanea italiana.


[1] T.S. Eliot, Tradition and the Individual Talent, in The Sacred Wood, London, Methuen & Co., 1920.


Ezio Sinigaglia, Sillabario all’incontrario, TerraRossa, Bari 2023, 236 pp., € 16, 90.