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Timidi piromani. «Saggio sulla paura» di Miliucci

C’è un’aria dimessa e feroce che gira per Saggio sulla paura di Fabrizio Miliucci (Pietrevive, 2022). Come di chi, in uno qualunque degli snodi ferroviari delle vostre città (che per comodità qui chiameremo Roma Termini), si aggirasse passo dopo passo, a testa bassa, relativamente innocuo, ma brandendo un accendino pronto a dare o a fare fuoco: chissà cosa auspicando, cosa temendo. “Certi giorni io avrei solo voglia di fare una grande fiammata e di scriverci sotto questa è la vita” (p. 11).

Si apre così il libro, del resto: con una dedica al “grande amico” Carlo Bordini che suona come una sommessa accordatura della voce che dice “io” nei testi:

 Caro Carlo,

 io mi volevo ammazzare. Sono giorni che vado a vuoto come un fesso
 e ho il terrore che questa infelicità sia diventata il mio unico spasso. Ho io
 il tuo accendino, quello marrone. Non mi faccio, non faccio praticamente 
più niente
 non sono praticamente nessuno. Hai ragione, la poesia è un encefalogramma.
 Sto scrivendo questa poesia alla stazione, mentre cammino, a testa bassa.
 Ho deciso di scrivere un saggio sulla paura – lei non mi dice più niente.

Galeotto fu l’appizzo, insomma: anche considerando che Bordini a sua volta l’aveva sgraffignato in versi al caro Attilio (Poesia rimasta in un cassetto, in Sasso, 2008). Un pattern ricorrente, pare, tra chi fuma e chi fa uso, un gioco reiterato sul filo della proverbiale lama.

Quindi sì, ci sono sempre almeno i resti di qualcosa di truffaldino e tossico, nelle poesie (e forse ancora di più nelle ragioni delle poesie, qualsiasi cosa voglia dire). Un testimone minimo e tascabile da ricevere o sottrarre. 

Ma non è la sola cosa da sottrarre. E infatti Saggio sulla paura è anche un evidente esempio di discorso “veramente finto”. L’immagine di questo Bloom, come in certi odierni software, è insieme perturbantemente naturale e contraffatta, patita e voluta. Non come chi vuole diventare ciò che è, ma più come una cavia che gestisce e parla questa lingua in un ambiente suo malgrado estetico: i “giorni di global warming” in una roma minuscola, equivalente ad altri luoghi, dove la luce di una fine che non smette “acceca” tanto e più di quanto non ferisse in altri tempi quella del futuro.

Chi avesse avuto modo, negli ultimi anni, di leggere gli inediti di Miliucci qua e là per l’online, ora (com’è naturale, probabilmente) troverebbe le versioni a stampa di Saggio sulla paura leggermente modificate. Nulla di strano, per l’appunto; non fosse che queste modifiche puntano in una direzione che non è propriamente il labor limae, ma la bruciacchiatura o l’incenerimento dei versi come forma di “preparazione”, appunto, di un discorso finto-dimesso, finto-prosastico, finto-incantabile. Ma disincantato, cantabilissimo. La rinuncia impassibile a qualsiasi forma di esergo o paratesto ne è la logica conseguenza.

Tutto, in Saggio sulla paura, insiste sul molto (spacciato per poco) che c’è. Le sei sezioni sembrano giocarsi tutto sull’ossimoro e il pastiche, tra il pop il colto e il burocratico (almeno Il presente domaniLa dolce vita agraIl bene chiaro; in mezzo, variamente, Gli errori, Città aperta, La deficienza: al lettore la ricostruzione). Vogliono segnalare la malafede con cui sono perpetrate; e la necessità della contraffazione di fronte a tanto falso.

Avanzare mascherati, dunque, insistendo sulla maschera. Ma rispetto al larvatus prodeo cartesiano, Miliucci è più paratus (nel senso insieme bellico, “mimetico” e strategico che si esprime nel camouflage). Muovere una voce incespicante tra le sue storie “vere e verissime” e le sue ossessioni, esasperate e silenziate insieme (tra sur- e iper-realismo); sollecitare in chi volesse leggere una presa di coscienza della maschera che porta e di quelle che potrebbe portare; già disciolte o sgretolate, come tutte. Come tutto. 

Occhio quindi a cadere con tutte le scarpe nei doppi fondi di un’analisi di fase, o generazionale, o familiare o intima o psicotica. Per quanto ogni delirio, paranoia o angoscia dimori nei testi come nei contesti. Per quanto di lavoro, di nevrosi, di famiglia, frode, furia, lutto o depressione ci si parli o meno, “nella vita”. Siamo un po’ tutti le affrante bestiole. Vestire quindi ancora, più o meno ironicamente o letteralmente, la casacca dell’Internazionale crepuscolare, nella sua variante rivoluzionario-timida. Che sia una scelta o meno.

Delle parole, ci si scorda; figuriamoci dei versi. E il fare poesia dei poeti comunica spesso soltanto un brevetto formale, come la fissità cangiante di un modello o di un profilo convincenti. Eppure, di certe cose si parla ancora meglio in versi, “piuttosto anziché no”. Si tratta allora di capire quale sia il dettaglio sovrimpresso e quale sia lo sfondo, quale il quadro e quale la cornice. Questo libro, in questo senso, è un’occasione per rimanere col dubbio, ma formulandolo per bene.

Ciò forse basterebbe a collocare Saggio sulla paura entro una precisa linea. Ma a questo male dei compilatori si dovrebbe forse preferire la ricerca di un senso possibile per questo libro e questa voce. Di cosa possa fare e farci fare. E allora, per dirne una, l’illusorietà della distanza che separa l’ars poetica da quella saggistica. La quale starebbe, stando al gioco, nel comunicare nell’ordine dei concetti quanto in poesia si fa per una forma.

In un libro che, diciamolo, contiene molta prosa (più o meno in prosa), la poesia è spesso vestita da poesia; più o meno dichiaratamente passatista, più o meno lirica, purché sia. Ma l’una non è certo meno raffinata di quell’altra. Si tratta di dirsi le cose come (purtroppo, ancora) stanno, insomma; di giocare su due tavoli e, conseguentemente, contro due banchi.

Si potrebbe allora dire con tranquillità (ma scorrendo il dito sulla ruota zigrinata di quell’accendino di cui sopra) che questi testi possono benissimo essere letti come d’avanguardia o di ricerca. Per quel tanto di voluto o di volontario che li agita come manichini, in questo negare-affermare ordini di verità paralleli con contraddizione reiterata. 

una smania che non è desiderio e nemmeno indifferenza
(p. 10)

Ma non è alienazione, è qualcosa che non sappiamo spiegare
(p. 29)

Ma non è il trauma, non si tratta di questo, questo non basta
(p. 43)

Di cosa si tratta, dunque? Che cosa ci basterà


F. Miliucci, Saggio sulla paura, Locorotondo, Pietrevive, 2022, €12.


in copertina: Ruben M. Jungi, 2022