L’ultimo libro di Francesca e Giovanna Zoboli, Travasi (La Grande Illusion, Pavia, 2021) è un progetto altamente affascinante per perizia grafica, originalità dei segni e brillantezza della prosa. Un iconotesto che contiene qualche enigma da sciogliere, e molte informazioni per il lettore curioso. Ma partiamo dalla sintetica e utile descrizione che ci offre il sito dell’editore:

Questo libro nasce da una ricerca artistica di Francesca Zoboli sulle forme del vaso e sul modulo, da cui deriva un sistema compositivo basato su figure geometriche elementari: archetipi in grado di combinarsi strutturalmente tra loro originando un numero pressoché infinito di nuove forme. I ventuno disegni che corredano questo studio sono stati successivamente illustrati, à rebours, da Giovanna Zoboli con quindici brevi racconti. La cura grafica del volume, il primo della collana “Hortus conclusus” per le produzioni librarie La Grande Illusion, è di Guido Scarabottolo.[1] 

Quindi, prima le immagini dei vasi, poi i racconti. In un rapporto di rilancio, di analogia, mai didascalico. Da un lato le composizioni di Francesca Zoboli richiamano a una sorta di alfabeto alieno, dove la forma del vaso può essere assimilata ad una lettera immaginaria o, per similitudine di segno, a una lettera esistente.[2]

Così, dopo qualche pagina, inizio a scrivere a matita, accanto ai segni neri che schematizzano la composizione dei vasi, le sequenze di ipotetiche lettere corrispondenti: VIASU, VISU, XIOU, DIOSU, IXAU, AVUSO… Certo prevalgono le A, le V, vasi rovesciati, trapezoidali, ma s’insinuano anche sinuose esse, e ics, nelle forme ovali dei vasi sovrapposti. Questi suoni alieni rimandano, per me, agli indiani d’America, o a civiltà scomparse, micenee, ai vascelli (e su vaso/vasel si veda il racconto numero 14, che tiene insieme Dante, Cavalcanti e Winnie the Pooh), a qualcosa, cioè, di così arcaico e remoto nel tempo da appartenere alla fantascienza, forse a civiltà aliene e ancora di là da venire.

Un barattolo di vetro trasparente, molto grosso, è uno dei vasi più belli che possiedo. In origine conteneva sottaceti fra i migliori che abbia mai mangiato. Mi è stato regalato, insieme ai sottaceti, a Venezia e ha viaggiato con me in treno per arrivare fino a casa. Portare in treno, in valigia, una confezione da un chilo di sottaceti mette nello stato d’animo avventuroso con cui un orso ingenuo e filosofo affronta la vita quotidiana.


Ecco un tema che lega tra loro (qui e anche altrove nella sua produzione autobiografica)[3] le prose di Giovanna Zoboli: il viaggio e il viaggiare come strumento di conoscenza. Vedere il mondo è conoscere. I 15 capitoletti, enciclopedici e scintillanti d’ironia – quasi fossero il racconto d’un viaggiatore francese del Settecento ibridato con il nostro miglior Manganelli viaggiatore e/o viaggiatore immaginario – sono accomunati dal riportarci sempre tracce di viaggi: la visita a un museo, come allo studio bolognese di Giorgio Morandi, o alla casa di un amico collezionista sono moventi per condividere nozioni ed esperienze in un mix riuscito tra aneddoto personale e riflessione filosofica:

I vasi, benché siano in pochi a comprenderlo, hanno natura gregaria e amano i grandi raduni di famiglia, le parate, i festeggiamenti affollati, le riunioni di gruppo (n.11)

Il lettore, seguendo le tracce delle peregrinazioni dotte dell’autrice, in ogni capitolo viene implicitamente sollecitato ad andare a cercarsi subito, in rete, le immagini dei manufatti, o dei quadri citati. C’è qualcosa di didattico per osmosi, per condivisione, per contatto, nella prosa di Giovanna Zoboli. Offro qui, allora, un minuscolo Baedeker di Travasi dove riassumo il tema/immagine di ogni capitolo (per inciso, il libro non ha numeri di pagina, ed è un oggetto editorialmente curatissimo, artistico, come è prassi per la piccola casa editrice pavese di Giuseppe Zapelloni, e quasi eccentrico nel non proporre in copertina i nomi delle autrici):

1) sulla civiltà minoica, la brocchetta di Gurnìa; capitolo 2) il vaso come forma perfetta; 3) i fiori; 4) decadenza estetica del vaso come bene di consumo di massa; 5) vasi, case, liste di nozze;  6) il mito del vaso di Pandora; 7) Carlo Scarpa, vasi, vetro, acqua; 8) Giorgio Morandi/Luigi Ghirri, il “vaso” bianco; 9) Talos, e il museo Jatta a Ruvo di Puglia; 10) su un quadro di Redon; 11) su la natura gregaria dei vasi (capitolo di sapore manganelliano); 12) il Louvre, su Chardin e Ponge; 13) il vetro, Murano, artigianato del vetro; 14) Dante e Winnie Pooh; 15) le api vasaie.

Ed è nel capitolo 8 dedicato ai quadri di Morandi (che è un piccolo trattato di estetica) che appare, per me, improvvisamente la vera natura dell’alfabeto alieno che, inizialmente, avevo attribuito alla ricerca di Francesca Zoboli:

Si è sempre parlato della natura silenziosa delle bottiglie di Morandi, io invece percepisco una vocazione musicale in queste composizioni, data dalla struttura ritmica che loro sottostà.

Ecco cosa “comunicano” le sequenze di forme geometriche e le loro sovrapposizioni nei vasi di Francesca: una struttura ritmico/musicale. I suoi vasi formano un alfabeto ritmico/musicale, un “parlare in metrica”, come la poesia. Sono note o segni di partitura ritmica (ed è facile pensare alla sequenza di cinque note che consente di comunicare con gli alieni in “Incontri ravvicinati del terzo tipo” di Steven Spielberg, 1977, che, per la mia generazione, costituisce un’impronta sonora memorabile[4]). E queste sequenze ritmiche sono, ovviamente, potenzialmente infinite. Il progetto da cui derivano, infatti, le illustrazioni di Travasi, ma sarebbe più corretto dire le tavole (dato che precedono i testi che le accompagnano) ha il titolo di  Sine Fine, e si basa sulle combinazioni di colori, incroci, trasparenze, generate da 12 forme e 24 textures.[5] Da un lato abbiamo un alfabeto ritmico, e dall’altro un campionario di materiali (vetri, terracotte, alabastri, metalli?) che le textures riescono ad evocare, a mimare.

Prosa e immagini in Travasi trovano un dialogo e un equilibrio raramente riscontrabili in un libro, illuminandosi vicendevolmente, catalogo ideale di mostre potenziali,[6] e forte suggestione futuribile, quasi a passare dalle due dimensioni della pagina alle tre dimensioni delle stampanti 3D. Il vaso appare, in Travasi, come oggetto-ponte tra la nostra preistoria e il nostro remotissimo futuro.

L’unico sistema per creare un vaso nuovo è o non averne mai visto alcuno o averne visti in numero sufficiente per farsi un’idea di come ogni singolo vaso prodotto qualche millennio fa sia il risultato di mani capaci di lavorare in modo così accurato, perfetto, sapiente e umile da consegnare un piccolo capolavoro alla storia.


Francesca Zoboli, Giovanna Zoboli, Travasi, La Grande Illusion, Pavia 2021, 64 pp., 20 €.