bell hooks, nome d’arte di Gloria Jean Watkins (1952-), è attivista, accademica e scrittrice afroamericana. Nel 1981 pubblica un volume pioneristico, Ain’t I a Woman? Black Women and Feminism, in cui pone le basi fondanti del suo pensiero filosofico femminista. Nel 1999 ha ricevuto la laurea honoris causa in Lettere dell’Università di Ferrara. Dopo aver insegnato in diversi poli universitari nordamericani e aver pubblicato oltre trenta libri (sia saggistica sia letteratura per l’infanzia), è oggi Distinguished Professor presso il Barea College, dove si occupa di Appalachian Studies.

L’opera Teaching to Transgress: Education as the Practice of Freedom di bell hooks è stata recentemente tradotta in italiano da feminoska con il titolo Insegnare a trasgredire: l’educazione come pratica di libertà, pubblicata nel 2020 dal Gruppo Ippolita per Meltemi, a distanza di quasi trent’anni dalla prima edizione nordamericana.

L’abilità di feminoska di mantenere l’equilibrio di genere nel testo, – come si nota dalla resa alternata del plurale neutro dell’inglese (l’originale “scholars, thinkers, and cultural workers” viene tradotto in italiano “studiosi, pensatrici e operatori culturali”), o lo sdoppiamento del plurale in femminile e maschile (“black children” diventa “bambine e bambini neri”), o l’utilizzo del femminile senza desinenza –essa (“le studenti” e non “le studentesse”), – acuisce, espandendolo nel nuovo contesto dell’Italia contemporanea, l’atto decolonizzante dell’opera di bell hooks.

Tutti noi che facciamo parte dell’accademia e del mondo della cultura in generale siamo chiamati a rinnovarci interiormente se vogliamo trasformare le istituzioni educative – e la società – così che il modo in cui viviamo, insegniamo e lavoriamo possa riflettere la nostra gioia per la diversità culturale, la nostra passione per la giustizia e il nostro amore per la libertà.

Insegnare a trasgredire è un invito concitato, sviluppato in quattordici capitoli, alla trasformazione dell’accademia, sia nella sua parte più propriamente teorica sia in quella concreta delle aule, e della società a partire dallo smantellamento dei sistemi di dominio suprematisti bianchi e patriarcali, dalle lotte di classe e dall’antirazzismo. Proprio nelle aule deve consumarsi l’atto di libertà, ovvero l’atto collettivo di liberazione dalle molteplici strutture di oppressione: “l’aula rimane lo spazio di possibilità più radicale dell’accademia”.

Le basi teoriche da cui bell hooks attinge sono esplicite già nel titolo: nel 1967 veniva pubblicato infatti Educação como Prática da Liberdade[1] di Paulo Freire, cui hooks fa riferimento costantemente e al quale dedica, nel capitolo X, un dialogo fittizio tra Gloria, nome di battesimo dell’autrice, e il suo io letterario. bell hooks si giustifica soprattutto di aver attinto a un modello non propriamente inclusivo (Freire era spesso stato accusato di sessismo) e si difende spiegando che ai suoi tempi, ovvero quelli in cui i Women’s Studies stavano pigramente aprendo le porte alla questione della razza (“il genere non è l’unico fattore che determina le costruzioni della femminilità”), pur mantenendo salde le gerarchie tramandate dall’accademia bianca, mancava una teoria femminista che considerasse la subalternità come un crocevia di numerosi fattori, tra cui la povertà (da qui Freire).

bell hooks ci ricorda che la lotta per la liberazione deve essere trasversale, interdisciplinare, non-binaria: non è sufficiente l’inclusione senza un’adeguata teoria che la supporti (altrimenti scade nel tokenismo[2]); non è sufficiente la teoria se non è accompagnata dalla pratica e dall’attivismo; non è sufficiente criticare l’essenzialismo se non viene masticato e risputato da un pensiero anticoloniale, femminista e anticapitalista. La concitazione con cui bell hooks si appella al dovere di sorellanza universale e alle ideologie marxiste di Freire oggi, per fortuna, si raccoglie, almeno sulla carta, nell’involucro concettuale che prende nome di intersezionalità:[3] classe, razza e sessualità non possono più essere scisse, e anzi si accavallano ad altre forme di discriminazione, come l’abilismo e lo specismo.

Quali le direzioni da prendere, dunque, per una pedagogia che trasgredisce, che libera?

Il valore della “conoscenza esperienziale”, intanto, diventa un fondamentale strumento di ribellione: “chiedo agli studenti di scrivere un paragrafo autobiografico su un ricordo razziale precoce”. La stessa scrittura di bell hooks, che fugge il rigore dell’accademismo tradizionale, si snoda attraverso memorie personali, traumi, aneddoti, conversazioni, sovvertendo quello scientismo neocapitalista creato in un sistema istituzionale ancora imprigionato nelle strutture di potere coercitive del mondo bianco, razzista, eteronormativo:

La testimonianza personale, l’esperienza personale, sono un terreno eccezionalmente fertile per la produzione della teoria libertaria femminista perché di solito costituiscono la base della nostra teoria. Mentre ci diamo da fare per risolvere i problemi più urgenti nella vita quotidiana (il nostro bisogno di alfabetizzazione, la fine della violenza contro donne e bambini, la salute e i diritti riproduttivi delle donne e la libertà sessuale, solo per citarne alcuni), ci impegniamo in un processo critico di teorizzazione che ci fornisce nuovi strumenti e ci investe di potere.

bell hooks invoca un’accademia trasformista per il “rinnovamento e lo svecchiamento” dell’insegnamento tradizionale. L’educazione, l’aula come luogo fisico e l’università come istituzione, il canone, sono tutti spazi politici ovvero luoghi simbolici e materiali dove si può e si deve esercitare la libertà: “l’educazione non è mai politicamente neutra”. Proprio quella pedagogia degli oppressi in cui Freire si impegnò attivamente, entra prepotentemente nel pensiero di bell hooks: non solo l’educazione di per sé ma anche il processo di apprendimento rientrano in un piano politico che deve essere al contempo democratico e anticoloniale, basato non sull’estensione delle modalità pedagogiche del colonizzatore ma sulla loro sovversione e revisione.[4]

Lo sforzo deve essere collettivo e antigerarchico: bell hooks smembra il corpo dell’istituzione al suo interno: lə professorə e lə alunnə, nel loro essere individuə, nelle loro paure e nelle loro esperienze partecipano alla stessa causa. Proprio come succedeva quando la piccola Gloria frequentava la scuola per lə nerə: lə bambinə erano chiamatə a raccontarsi, a situarsi. Un situarsi non solo in uno spazio fisico, che da segregato diventerà misto con la migrazione dellə nerə nelle scuole dellə bianchə[5] (dalla periferia alla metropoli, proprio come nel modello post-/de- coloniale), ma anche semantico, narrativo: “Chi parla? Chi ascolta? Perché?”. Il posizionamento è quindi fondamento dell’insegnare: atto performativo perché cambia a seconda del pubblico e delle altre circostanze storiche, economiche, sociali. Ecco perché tutt’oggi la lezione di bell hooks risulta brillante e necessaria.

In questo cammino pedagogico verso la libertà, lingua e corpo diventano luoghi di resistenza e di rivisitazione delle istanze epistemologiche tradizionali. Entrambi strumentalizzati dal colonizzatore, devono essere riappropriati dalle identità colonizzate: le lingue vernacolari nere innestate nell’inglese standard, il corpo sessualizzato e razzializzato riconnesso alla mente. Il “dualismo metafisico occidentale” deve essere soffocato dalla spinta erotica che rivendica l’importanza dell’integrità, dell’esserci in un qui e ora. Specialmente in quest’ultima affermazione si forma il pensiero forse più innovativo di bell hooks, quello dell’eros, del piacere: eros inteso come “forza” che aiuta a realizzarsi e stimola “la discussione e l’immaginazione critica”. L’eros consente di “unire teoria e pratica”, di essere integrə senza cadere nella divisione “corpo e mente”, di superare il divario tra il “mondo esterno e quello interno all’accademia”: solo in questo modo, “l’aula diventa un luogo dinamico in cui le trasformazioni nelle relazioni sociali si realizzano concretamente”. L’insegnamento deve quindi essere mosso dal piacere per essere libero e, al tempo stesso, trasmettere libertà: “i docenti devono ritrovare il luogo dell’eros dentro sé stessi e permettere alla mente e al corpo insieme di sentire e conoscere il desiderio.”

Insegnare a trasgredire è dunque una lezione, un manifesto, una raccolta di saggi, ma è anche una forma intima del sentire declinata da un’accademica e attivista che non ha fatto del suo lavoro solo una missione per i diritti umani, ma ha genuinamente trovato nella conoscenza e nella sua propagazione una forma felice dell’esserci:

Vivendo l’infanzia senza questo senso di casa, ho trovato un porto franco nella “teoria”, nel dare un senso a ciò che accadeva intorno a me. La teoria è diventata il punto di partenza dal quale poter immaginare futuri possibili, dove la vita poteva essere vissuta in modo diverso. Questa esperienza “vissuta” del pensiero critico, della riflessione e dell’analisi, è il luogo in cui mi sono sforzata di comprendere il dolore e farlo sparire. Fondamentalmente, da questa esperienza ho imparato che la teoria può essere un luogo di guarigione.

Proprio con l’immagine della casa e di ciò che significa realmente abitare inizia la nuova edizione di Elogio al margine, precedentemente pubblicato per Feltrinelli nel 1998 con il titolo Elogio del margine. Razza, sesso e mercato culturale. Il nuovo volume è uscito per Tamu Edizioni nel 2020: una selezione di testi di bell hooks curata e tradotta sempre da Maria Nadotti, seguita da Scrivere al buio, un’intervista di Nadotti a hooks risalente agli anni Novanta. Questo volume miscellaneo mediato dall’acutezza di Nadotti convoglia alcune delle riflessioni-chiave di bell hooks, a partire dalla maturazione di uno pseudonimo che si appoggiasse alla matrilinearità.[6] In effetti nel primo estratto colpiscono le parole dell’autrice quando afferma che da piccola pensava alla casa come appartenente alle donne nere: erano loro, e non i mariti, i fratelli, i fidanzati a tenere in piedi l’impalcatura domestica. Questa presa di coscienza si lega alla storia delle donne in maniera viscerale, una storia che è fatta di oggetti, riti, pratiche culturali che gli archivi ufficiali non hanno conservato o hanno addirittura deliberatamente occultato; ed è quindi necessario, nelle parole di hooks, che “oggi la lotta dei neri de[bba] rendere onore a questa storia di servizio”. Se infatti la casa è stata per molto tempo una “comunità di resistenza”, un atto “sovversivo” al di fuori della quale vigeva la violenza dell’apartheid, è proprio per quelle donne nere al servizio dellə bianchə che si deve l’impegno del “ricordare”.

bell hooks accusa il mancato riconoscimento di quell’atto profondamente politico operato dalle donne nere:

L’incapacità di riconoscere la libera scelta e la straordinaria re-visione tanto del ruolo femminile quanto dell’idea di «casa» esercitati consapevolmente dalle donne nere nella loro pratica, oscura l’impegno politico che ha come obiettivo la nostra ascesa sociale, lo sradicamento del razzismo, che è il nucleo filosofico portante della dedizione alla comunità e alla casa.

Ciò che ha compromesso la sovversione antirazzista è stato l’intromettersi dell’oppressione patriarcale nella società nera attivando una cancellazione della casa-resistenza in favore della casa come luogo di neutralità politica.

La lotta delle donne nere in Elogio al margine viene discussa e decostruita nella sua complessità attraverso la messa in discussione dei binarismi su cui si ergono le logiche di domino; per demolirle bell hooks muove un’aspra critica contro la divisione interna della stessa comunità nera. Ripercorre dunque la storia dello stupro e della sessualità negata all’uomo nero, che ha radici profonde nello schiavismo e che ha innestato una competizione di virilità tra bianchi e neri, lasciando le donne, specialmente quelle nere, nella posizione di subordinate. Queste ultime, come già ricordato, utilizzavano i locali privati per la lotta, ma non solo: i loro sguardi di spettatrici al cinema erano resistenti e sovversivi nella misura in cui, subendo la loro mancata rappresentazione sul grande schermo, decidevano di “guardare altrove”. La critica cinematografica femminista nera ha quindi rappresentato un ribaltamento di quel momento:

Guardando e restituendo lo sguardo a chi ci guarda, noi nere ci impegniamo in un processo che ci porta a vedere la nostra storia come contro-memoria e a servircene per conoscere il presente e inventare il futuro.

Il margine è dunque quello spazio di “apertura radicale” e di “resistenza”, e si trova proprio “là dove la profondità è assoluta”, non è un “semplice luogo di privazione” ma è il regno della possibilità e della creatività che permette allo sguardo di insinuarsi all’interno del sistema dominante e di corroderlo, cambiarlo. Proprio in quel margine bell hooks ci invita a incontrarci, oppressorə e oppressə, perché il margine è uno spazio inclusivo, il margine è la casa di nonna Baba, dove

si coltivava e celebrava un’estetica dell’esistenza, radicata nella convinzione che a nessun livello la mancanza materiale può impedirci di imparare a guardare il mondo con occhio critico, riconoscere il bello, o usarlo per migliorare il nostro benessere interiore.

È nel buio e nelle ombre, così come nei silenzi e nelle interruzioni, nella “caverna oscura […] nera come il carbone” che si trova casa, si abita il margine, si trovano le parole per raccontare storie diverse.

Ancora oggi in Italia la visione di bell hooks è un miraggio: lo testimonia un’accademia che fa fatica a uscire dall’elitarismo bianco e maschio, lo testimoniano i mancati dibattiti sulle donne migranti e le loro storie, la mancata riforma della legge sulla cittadinanza, il tokenismo, l’esotizzazione e la sessualizzazione dei corpi non bianchi nei media italiani e molto altro. È vero anche che, però, oggi a moltз di noi la lezione di bell hooks suona come una musica già sentita: come ci ricorda lei stessa riprendendo una citazione foucaultiana, “in tutte le relazioni di potere ‘vi è necessariamente una possibilità di resistenza’”, collettiva e femminista, di cui la nuova edizione di queste opere è un esempio.


[1] Tradotto in italiano da Linda Bimbi, è stato pubblicato da Mondadori con il titolo Educazione come pratica di libertà nel 1973.

[2] Da token che in inglese significa gettone, ma anche, in senso figurato, simbolo. Tokenism indica il fenomeno per cui una minoranza viene integrata in un gruppo di maggioranza in maniera puramente strumentale. Per un approfondimento riguardo la parola tokenismo nel contesto italiano rimando all’ottava puntata del podcast Sulla razza: https://www.sullarazza.it/tokenismo/

[3] Parola coniata in ambito giuridico nel 1989 da Kimberlé Williams Crenshaw per sancire l’oppressione delle donne nere, è successivamente diventato un concetto chiave nell’analisi delle identità sociali.

[4] Pensiero che Freire rielabora da Les damnés de la terre (1961) di Franz Fanon.

[5] Nata e cresciuta a Hopkinsville, Kentucky, Gloria frequenta le scuole segretate prima e quelle integrate poi.

[6] Il suo pseudonimo è creato dalla crasi del nome della mamma, Rosa Bell Watkins, e della nonna, Bell Blair Hooks.


bell hooks, Insegnare a trasgredire: l’educazione come pratica di libertà, trad. it. a cura di feminoska, Meltemi Roma 2020, 254 pp., €18.


bell hooks, Maria Nadotti, Elogio del margine/Scrivere al buio, Tamu Edizioni, Napoli 2020, €16.