Intellettuale di successo, scrittrice, poetessa e drammaturga di chiara fama tra la prima e la seconda metà del Novecento, Alba De Céspedes è stata vittima di un canone letterario che per anni ha fortemente privilegiato autori di sesso maschile. La decisione della casa editrice Mondadori di ripubblicare oggi il romanzo Dalla parte di lei (1949), quarta prova letteraria dell’autrice, è segno dell’efficacia del dibattito femminista contemporaneo intorno alla necessità di recuperare il punto di vista femminile sulla storia e sulla cultura italiana. Al tempo stesso, ripercorrendo le esperienze culturali di De Céspedes, non possiamo fare a meno di chiederci come sia stato possibile tenerla così a lungo in bilico sul margine, proprio lei che è sempre stata coinvolta in prima persona, come donna e come intellettuale, nelle cause che hanno contribuito a scrivere pezzi importanti della storia italiana. Il suo nome a volte compare tra i programmi di qualche illuminato corso universitario, ma niente di più. Nonostante questo, a rileggerla oggi, la sua voce non sembra affatto affievolita dal lungo silenzio.

Figlia dell’ambasciatore cubano a Roma e di una donna italiana, De Céspedes era cresciuta adolescente nella capitale del regime fascista, da subito mostrando simpatie comuniste e partigiane, che le comportarono più volte la detenzione. Nel 1935, per scagionarsi dalle accuse di antifascismo, fu indotta a scrivere un romanzo apertamente propagandistico, Io, suo padre, una storia di boxe con cui partecipò alla competizione letteraria legata alle Olimpiadi del 1936. Il romanzo Nessuno torna indietro (1938) era stato uno dei maggiori successi editoriali degli anni Quaranta. Come ricorda Melania Mazzucco nella prefazione alla nuova edizione, in seguito a un incontro con Elsa Morante avvenuto nel 1947, la scrittrice aveva commentato nel suo diario quanto fosse difficile fare i conti con il proprio successo (“[Elsa] deve superare il marito con il suo libro, io la mia fama”).

Nel settembre del 1943, fuggita da Roma, De Céspedes aveva sostenuto le lotte partigiane conducendo il programma radiofonico Italia combatte, sotto lo pseudonimo di “Clorinda”; l’anno successivo, nel 1944, diede vita alla rivista letteraria “Mercurio”, tra le prime realtà culturali ad aprirsi a livello internazionale, accogliendo contributi di autori del calibro di Ernest Hemingway.

L’impegno di Alba De Céspedes è stato costante e multiforme, mai inaccessibile, mai elitario ma sempre in grado di diffondere messaggi importanti attraverso la sua inarrestabile potenza comunicativa. Questa necessità di comunicare attraverso una molteplicità di mezzi (con l’intelligenza di non sottovalutarne alcuno) ha spinto la scrittrice a misurarsi anche con il cinema, collaborando, tra le altre cose, anche con Michelangelo Antonioni.

Dalla parte di lei, il romanzo che oggi ci viene riproposto,inizia a prendere forma nel 1945. L’opera rielabora alcune esperienze autobiografiche dell’autrice impegnata nella lotta partigiana durante l’occupazione, per intrecciarle a una storia che esplora i meandri della psicologia femminile in un’Italia che sta uscendo dal ventennio fascista. Nel frattempo, proprio negli anni della scrittura del romanzo (1945-49) il dibattito pubblico si accendeva intorno al tema del diritto di voto alle donne e della loro elegibilità, con grande attenzione al ruolo da loro occupato nella lotta antifascista.

Incontrai per la prima volta Francesco Minelli a Roma, il venti ottobre mille novecento quarantuno.

Questa frase accompagna il lettore dentro una storia che verrà attraversata da un punto di vista dichiaratamente femminile. Di Francesco però, per lungo tempo i lettori non sapranno nulla: bisognerà arrivare al cuore di un edificio narrativo di oltre cinquecento pagine, quando l’autrice ammette “ma io non potevo tacere tutto ciò che precedette il nostro incontro: Francesco era in me dal primo momento, quando nacqui e mio padre s’indispettì perché ero una bambina”.

Dalla parte di lei è un romanzo dai molti cuori. Uno di questi pulsa forte per denunciare la segregazione emotiva delle donne in una società di stampo fortemente patriarcale non esauritosi dopo la caduta del fascismo.

Nella prefazione originale, scritta nel 1949 ma pubblicata solo nel 1994 sul Corriere della sera, De Céspedes descrive il romanzo come “la storia di un amore e di un delitto”.

Alessandra Corteggiani, la protagonista, rievoca gli eventi che l’hanno portata al momento estremo dell’omicidio di suo marito.

Il romanzo potrebbe essere diviso in due parti ben distinte, prima e dopo l’incontro con Francesco Minelli. Con i toni di un romanzo familiare vengono narrate la prima infanzia e l’adolescenza della protagonista, per lasciare spazio, nella seconda parte, al racconto della donna. A partire dall’incontro con Francesco, professore universitario e antifascista, la storia prende un sapore neorealista.

Nella prima parte il gusto primonovecentesco per lo spiritismo si infiltra nell’atmosfera del racconto. Fin dalla prima pagina la narratrice ci introduce al personaggio del piccolo Alessandro, il fratellino affogato nel fiume poco prima che lei nascesse. Da questa coincidenza nasce un innesto carico di ambiguità, in cui maschile e femminile convivono nell’unica figlia dei Corteggiani; Alessandra attribuisce all’influsso dello spirito fraterno la forte attrazione provata nei confronti dell’amica Fulvia, mentre in famiglia il fantasma del primogenito ruba alla ragazza i meriti della sua precocità (“mi si toglieva metà del merito insinuando che fosse Alessandro ad esprimersi attraverso di me”). In verità questo espediente narrativo è anche spia di una sottotraccia tematica con cui l’autrice si impegna a criticare la netta distinzione dei ruoli e delle identità di genere.

La madre Eleonora, morta suicida per amore, è una figura centrale in questa sezione del romanzo. In particolare, la protagonista eredita da lei “la stessa pericolosa sensibilità” che si concretizza nella propensione allo studio dell’arte e della letteratura, e nell’idealizzazione di un amore di tipo romantico. Proprio questi elementi avvicinano le due donne al personaggio di Emma Bovary, simbolo universale della prigionia dei ruoli di genere e delle categorie sociali del mondo borghese. Bovary è, in questa storia, un altro spirito non evocato, un libro che la madre “aveva riletto più volte, perché appariva consumato e alcuni passi erano sottolineati”: la sua storia occupa i silenzi e gli spazi vuoti di una casa buia in cui le donne restano in attesa dei propri mariti; ritorna negli scoppi entusiastici e vitali dell’innamoramento, nella disillusione delle aspettative d’amore che soccombono alla realtà del matrimonio:

Non di rado le ragazze avevano pazientato molti anni prima di sposarsi perché era difficile trovare un solido impiego […]: avevano atteso preparando il corredo, fiduciose, nella speranza di un’amorosa felicità; e invece avevano trovato quella vita estenuante, la cucina, la casa, il gonfiarsi e lo sgonfiarsi del proprio corpo per mettere al mondo i figli. Man mano, sotto una parvenza di rassegnazione, era nato nelle donne un livido rancore per l’inganno nel quale erano state tratte (p. 22).

Nella seconda parte la voce narrante intreccia riflessioni sulla vita coniugale denunciando il muro di incomunicabilità e incomprensione che la porta sempre più lontana dal marito, impegnato a organizzare la resistenza. Quando, in seguito alla cattura di Francesco, Alessandra si lascerà coinvolgere nelle attività del gruppo antifascista, lo farà sprezzante di un pericolo esterno che non la spaventa quanto l’esperienza di una vita segregata tra le mura domestiche in solitudine (“il pericolo era fuori di me, non in me stessa”).

Quando Dalla parte di lei viene pubblicato sono passati solo quattro anni dalla fine del secondo conflitto mondiale. Gli anni dell’altra liberazione, invece, quella raggiunta grazie all’impegno delle donne a sostegno delle cause femministe, sono ancora lontani.

La spinta narrativa del romanzo va cercata proprio in questo posizionamento sulla linea degli eventi storici: attraverso la voce di Alessandra, la scrittrice non intende solo ripercorrere le ragioni che hanno portato una donna a uccidere suo marito, nonostante l’amore; nel raccontare questa vicenda, De Céspedes ambisce a donare voce a “una ragazza come ce ne sono tante”, silenziate da una società patriarcale che vede nel matrimonio non il riconoscimento sociale di un amore, ma un atto di cessione di proprietà della donna dal padre al marito. In questo contesto perfino l’amore più sincero marcisce, si compromette, anche quando non cessa di esistere, esso si confonde con il dovere.

Nel 1932 Mussolini, “la voce arrogante”, aveva dichiarato: “la donna deve obbedire, nel nostro stato essa non deve contare”. È così che il mondo raccontato da Alessandra è soprattutto un microcosmo fatto di spazi chiusi, dalla casa paterna a quella della nonna in Abruzzo, dalla camera della migliore amica a quella casa che sarà costretta ad abitare sola per lungo tempo, dopo la cattura di Francesco da parte dei fascisti.

Dalla parte di lei denuncia una segregazione mai pronunciata eppure sotto gli occhi di tutti: quella delle donne nella loro stessa famiglia. I momenti in cui l’autrice solleva il velo della Storia per mostrare gli spazi segreti del mondo femminile sono tra i più belli e potenti del romanzo:

Nel cortile le donne vivevano a loro agio, con la dimestichezza di coloro che abitano un collegio o un reclusorio. Ma tale confidenza, piuttosto che dal tetto comune, nasceva dal fatto di conoscere reciprocamente la faticosa vita che conducevano: attraverso le difficoltà, le rinunce, le abitudini, un’affettuosa indulgenza le legava, a loro stessa insaputa. Lontane dagli sguardi maschili, si mostravano veramente quali erano, senza la necessità di portare avanti una gravosa commedia (p. 16).

Ancora secondo Melania Mazzucco, l’isolamento delle donne dal mondo degli uomini è il tema centrale di un romanzo che sotto tutti gli aspetti si presenta come “parabola esemplare di una rivolta di genere”. Ricostruendo la problematica gestazione del titolo si può notare quanto la questione fosse prevalente nelle intenzioni dell’autrice: prima della redazione definitiva Esser sempre sole e Siamo sempre sole erano stati infatti pensati come titoli provvisori. De Céspedes optò poi per Dalla parte di lei, una scelta significativa che al silenzio e alla censura dell’isolamento predilige piuttosto l’intenzione politicamente impegnata del restiture una voce.

Se da un lato l’isolamento della donna è una condizione di prigionia che anticipa l’incarceramento reale a cui Alessandra andrà incontro, dall’altro, sia la prigione che le mura domestiche rappresentano per la comunità femminile del romanzo un nascondiglio entro cui essere se stesse liberamente, “lontane dagli sguardi maschili” e dalla “gravosa commedia” delle faccende quotidiane.

De Céspedes anticipa con questo romanzo una visione radicalmente femminista fondata sulla differenza di genere più che su posizioni egualitariste. Così come tale visione ha preso piede in Italia e in Francia immediatamente dopo l’esperienza del sessantotto, così per questa autrice la riflessione scaturisce dopo l’esperienza della liberazione dal regime fascista. Dopo aver combattuto fianco a fianco con gli uomini contro il nemico comune, le donne erano ritornate ai loro cortili, alla loro vita domestica, alla subordinazione nei confronti dei propri coniugi. Cosa era davvero cambiato per loro?

Io rabbrividii, smarrita, entro una improvvisa pietà per la mia condizione di donna. Eravamo, mi pareva, una specie gentile e sfortunata (p. 47).

[…] ma non volevo che si parlasse di far qualcosa per le donne come per esseri inferiori o menomati. Volevo che ci lasciassero vivere secondo la nostra indole ombrosa e delicata come all’uomo era permesso di vivere con la sua forza e sicurezza. […] anche noi, come gli uomini, per il solo fatto d’esser nate, dovevamo aver diritto al rispetto della nostra esistenza (p. 125).

Come già altrove ha ricordato Selby Schwartz parlando di questo romanzo, Elena Ferrante ha spesso attribuito a De Céspedes un ruolo fondamentale nell’esplorazione della psicologia femminile e nella sua rappresentazione, e non a torto. La lunga confessione di Alessandra raccoglie il non detto di tutte le donne che non hanno mai avuto la possibilità di vivere liberamente la propria identità lontano dagli ideali e dai doveri attribuiti dal patriarcato al genere femminile.

Tornare oggi a pubblicare questa autrice, e proprio con questo titolo, significa riconoscere pezzi di storia italiana che per troppo tempo sono rimasti ai margini, riportarli alla luce insieme alle sue protagoniste per dare loro finalmente voce. Al lettore rimane poi la responsabilità di porsi le domande giuste, operare confronti, riconoscere meriti, avere il coraggio di lasciarsi scuotere dall’attraversamento di esperienze tragiche e dolorose quanto quelle di tutte le donne che prendono vita in questo romanzo.


A. de Céspedes, Dalla parte di lei, intr. di M. G. Mazzucco, Milano, Mondadori, 552 pp., € 15.