Quello di “sterrato” è un concetto fluido e la parola usata per esprimerlo non gli rende del tutto giustizia. Sullo sterrato si può finire per errore, privi delle quattro ruote motrici necessarie per affrontarlo al meglio: allora il tentativo è spesso quello di inserire la retromarcia e di uscirne tra slittamenti e frizioni bruciate. Uno sterrato, d’altro canto, si può essere obbligati a percorrerlo per arrivare alla meta, sia essa un agriturismo in mezzo al verde o un’altra strada asfaltata. Infine, lo sterrato può essere la meta stessa, da raggiungere questa volta a piedi, magari per una passeggiata. Tutte queste ipotesi si trasformano in altrettante storie che, sempre simili a strade, possono prendere direzioni inattese, ognuna di esse unica e irripetibile.

L’identità storia = strada: su questa immagine è fondato Storie sterrate (Jimenez 2021) di Marco Denti (giornalista e critico musicale per riviste come Il Mucchio e Buscadero). Pur essendosi cimentato anche con la narrativa (con il romanzo Forze speciali, uscito nel 2020), in questo caso Denti si affida alla non-fiction e dà vita a una raccolta di esperienze reali, ricostruite però con l’obiettivo di trasformarsi in altrettante storie da raccontare, suggestive ed emozionanti.

L’interesse di partenza dell’operazione sta proprio qui: Storie sterrate esplora, con il gusto per l’aneddoto più che con l’occhio documentaristico, una sessantina di astri del panorama (soprattutto) musicale, toccando esperienze anche molto recenti: si parte dal mitico Chuck Berry e si arriva a Colin Meloy, frontman dei The Decemberists, passando per il poetry-reggae di Linton Kwesi Johnson e per i tormenti di Mark Oliver Everett, in arte Eels. Quale può essere, dunque, l’angolazione capace di inserire tutto questo nell’inquadratura unica di Storie sterrate? Il grandangolo lo offre la scrittura stessa, come Denti osserva nell’introduzione:

Le storie sono la terre commune che sono andati esplorando scrittori e musicisti qui riuniti e se l’osmosi tra letteratura e rock’n’roll è stata costante, non è però così biunivoca, nemmeno evidente. […] Allora cos’hanno scoperto questi songwriter che hanno cambiato ruolo o mestiere, che hanno assecondato una passione o l’altra senza motivo apparente, o soltanto seguendo le bizze di loro personaggi e la volubilità di storie che non potevano viaggiare nella classe economica delle canzoni, o che non potevano sopravvivere da sole, perché avevano bisogno di un ritmo, di una forza, una voce, un accordo di chitarra, una scintilla di elettricità?
La ricompensa è la scrittura stessa.

L’immagine della scrittura, e dunque della storia, che si fa strada da percorrere da parte degli artisti si rivela la grande direttrice, la bussola che permette di orientarsi nel catalogo messo insieme da Denti. Tutti gli scrittori/musicisti, o musicisti/scrittori, che vengono raccontati, hanno percorso uno sterrato, in qualche modo: ciò che emerge è un album fotografico ipoteticamente intitolato “Intersezioni tra musica e letteratura”.

Il libro di Denti lascia dietro di sé una serie di tracce e spunti di originalità. Il tema – quello del possibile rapporto tra musica e letteratura all’interno del percorso di vari artisti – poggia su un terreno già battuto e dibattuto: dalla narrazione a proposito di certi cantautori nostrani (Fabrizio de André, per citarne solo uno) all’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura a Bob Dylan nel 2016, la discussione è più viva che mai. Tra chi dice “quel cantante è più di un musicista, è un poeta” e chi pensa che chi nasce musicista non abbia il diritto di sconfinare nella sola scriptura, però, i punti di contatto sono in molti più di quanto si possa pensare: entrambe le posizioni, infatti, insistono sull’assenza di una reale comunicazione tra le due forme d’arte. In Storie Sterrate Denti tenta, al contrario, di eliminare questa distanza.

È vero che c’è una specificità di fondo capace di isolare la musica rispetto alla letteratura, e viceversa. Non potrebbe essere altrimenti: chi ascolta una canzone, un disco o le arie di un’opera lirica non porrà la stessa attenzione, per esempio, agli aspetti retorici e stilistici del testo, di quanta ne avrà un lettore. È pur vero che le contaminazioni tra musica e letteratura non sono un’invenzione contemporanea: c’è un motivo se ancora oggi i libretti d’opera di Lorenzo da Ponte o di Pietro Metastasio sono antologizzati nei libri di scuola. Nel momento in cui, poi, la musica diventa fatto popolare, e dunque con l’esplosione del rock’n’roll nel Novecento, la sovrapponibilità diventa in molti casi ineludibile.

Così, Storie sterrate racconta i momenti in cui gli artisti più vari si sono trovati a percorrere strade “di mezzo”, seguendo non tanto una tecnica o una direzione artistica precisa, quanto una peculiare inclinazione del momento. Come mai così tanti musicisti, da Bruce Springsteen a Frank Zappa, hanno sentito il bisogno di rivivere la loro vicenda affidandosi allo strumento del memoir letterario? Come mai è possibile tracciare un filo rosso che unisce songwriter come Patti Smith, Leonard Cohen, fino ad arrivare a Billy Corgan, accomunati da un interesse mai sopito per la scrittura poetica in quanto tale?

È a domande come queste che Denti tenta di trovare una risposta: Storie sterrate non ha la pretesa di essere un manuale per addetti ai lavori, né nel campo musicale né in quello letterario. Certamente il rischio di dare la sensazione del bignami, del collage più o meno casuale di esperienze, è elevato e a volte diventa anche realtà: sarebbe stato difficile il contrario, considerando le poco più di trecento pagine totali, nelle quali sono condensati in definitiva più di cinquant’anni di cultura popolare; tuttavia, sarebbe scorretto ignorare il fatto che, in un momento in cui il genere memoriale e nostalgico la fa da padrone per quanto riguarda la ricostruzione di esperienze artistiche e culturali, Storie sterrate va in un’altra direzione.

Lo scopo di Denti non è quello di riassumere in modo giornalistico e antologico il rapporto con il rock’n’roll degli autori della Beat Generation, o di dare pienamente conto di quel grande romanzo americano che è l’insieme dei testi di Bruce Springsteen, o di spiegare dettagliatamente il rapporto che intercorre tra le canzoni e i romanzi di Nick Cave e di Willy Vlautin. Lo “sterrato” non è così definito, così netto, e se il pericolo di perdere la strada è effettivamente dietro l’angolo, percorrerlo significa soffermarsi negli interstizi, allargare, fino a farlo sfumare, un confine – quello tra la musica delle note e la musica delle parole – che è sempre stato labile.

Con Storie sterrate, Marco Denti non inanella una serie di (più o meno) illustri biografie senza scopo, non scrive la sceneggiatura di altrettanti triti e ritriti biopic; procede per tentativi anche disordinati, nella speranza di restituire suggestioni e atmosfere che non parlano solo di musica, né solo di letteratura, ma di spirito creativo, di idee, senza confini che le rimpiccioliscano. Così si arriva all’ultima storia sterrata. Se è stato colto lo spirito del libro, a quel punto verrà voglia di riunire la bibliografia e la discografia finali sotto un unico titolo, il più importante di tutti: storie raccontate.


Marco Denti, Storie sterrate, Jimenez 2021, 320 pp., € 18.