Esercitarsi all’ascesi, con digiuni costanti e notti bianche. Così l’insonne diventa un decapitato.

Il suo corpo resta nel letto, mentre la sua testa può «rotolare dolorosamente lungo il pavimento, arrivare in strada, vedere alternativamente le stelle e il suolo» (p. 40), la legge e la materia che ne è avvinta. Che poi, ci direbbe dalla sua bocca insanguinata, sono la stessa cosa, perché tutto è musica.

Questa testa è di Viktor Semënov, narratore e protagonista dell’esordio di Lorenzo Chiuchiù, Esecuzione dell’ultimo giorno. Esordio narrativo, avendo l’autore già pubblicato diversi libri di poesia e di saggistica filosofica: ha curato Metafisica cristiana e neoplatonismo e La devozione alla croce, entrambi di Albert Camus (Diabasis, 2004 e 2005). Di Jean-Paul Sartre ha curato e tradotto Mallarmé, la lucidità e il suo volto d’ombra (Diabasis, 2010). Ha pubblicato Atleti del fuoco. Undici studi tra arte, tragedia e rivolta (Mimesis, 2018). Ha scritto un’introduzione a Così parlò Zarathustra (Demetra, 2017). Sue sono le raccolte poetiche Iride incendio (La vita felice, 2005), Sorteggio (Marietti, 2012) e Le parti del grido (Effigie, 2018).

Esecuzione dell’ultimo giorno è un romanzo breve, dalla scrittura densa, la cui complessità è anticipata dall’immagine di copertina, Linea lucida di un precipizio (2011) di Nicola Samorì: uno sfondo nero è interrotto solamente all’estremità inferiore, dove nelle increspature di quello che sembra un sacco dell’immondizia si intravede ciò che resta di un volto dipinto; l’occhio che guarda oltre, verso il mondo, forse per l’ultima volta.

Semënov deve il proprio nome alla piazza in cui Fëdor Dostoevskij venne condotto, il 22 dicembre 1849, per essere fucilato. E dove poi ricevette la grazia.

Il suo personaggio è però ispirato a un altro artista del passato russo, Aleksandr Nikolaevic Skrjabin, compositore e pianista che tentò di realizzare un’opera assoluta, in grado di intervenire sul mondo, di portare l’Apocalisse e dare vita a una nuova palingenesi. Avrebbe dovuto chiamarsi Misteryum, ma Skrjabin morì prima di averla portata a compimento. Chiuchiù prende il testimone e Misteryum diventa Esecuzione dell’ultimo giorno.

La struttura del testo rispecchia l’atto conclusivo di una tragedia. Il narratore e protagonista, vittima e carnefice della propria condanna, è completamente soggiogato alla propria interiorità e dà del mondo esterno una visione che è trasfigurazione allegorica del destino di morte a cui sta andando incontro. Luoghi, personaggi, azioni non sono infatti costruiti secondo un intento realistico. Ne è un esempio l’ambientazione della storia a Perugia, città in cui Chiuchiù vive e che qui sceglie proprio per creare una frattura sul piano della verosimiglianza. Semënov la definisce città mnestica, perché non riesce a vederla se non frapposta alla sua città d’origine, San Pietroburgo. Ma non vi è nulla che la riconduca al corrispettivo reale né dell’una né dell’altra.

Il narratore corre incontro alla propria fine e trascina con sé il lettore, seguendo un andamento narrativo a spirale, come il guscio di una conchiglia o il moto di un gorgo: tutti gli elementi del racconto sono tra loro interrelati secondo dei rapporti analogici, soggettivi, e conducono a un unico centro: l’Esecuzione della fine, una sinfonia in grado di evocare l’Apocalisse.

Quello che Chiuchiù crea è un mondo alternativo alla realtà, che richiede uno scavo in profondità nel linguaggio, di cui dà prova già il titolo dell’opera: nella sola parola “esecuzione” si concentra il senso dell’intera storia, la ragione di vita e il destino di morte del protagonista.

Semënov è un personaggio eroico: ha il talento, riconosciuto dal successo della sua attività pianistica; è pienamente consapevole di essere un Prometeo che brucerà nel fuoco che ha rubato. Il suo stesso nome, Viktor, richiama quello di Victor Frankenstein. Crede che la creazione possa nascere soltanto dall’autodistruzione. E viene in mente il passo biblico del Vangelo secondo Giovanni, che Dostoevskij mise in epigrafe a I fratelli Karamazov: «In verità, in verità vi dico: se il granello di frumento, caduto in terra, non muore, rimane infecondo; se invece muore produce molto frutto». Il frutto di Semënov è la musica della fine, la cui esecuzione non ammette prove e ripetizioni; può essere suonata un’unica volta, il solstizio d’inverno del 22 dicembre, il giorno dell’Apocalisse.

La forza del personaggio di Semënov, la sua originalità, è nel suo essere eroicamente inattuale. Lui stesso si definisce portatore di «un’eleganza inflessibile e fuori moda» (p. 11). Il mito a cui si sacrifica, l’esecuzione della fine, evoca la natura cultuale dell’arte. Nell’«epoca della riproducibilità tecnica»[1], in cui l’opera d’arte ha ormai perso la sua aura, l’hic et nunc che la rendevano unica, autentica, parte di una storia e di una tradizione, Semënov sfida titanicamente il proprio tempo e allestisce la propria Esecuzione dentro il paesaggio sospeso, periferico in questa città della memoria, di un’archeologia industriale.

La composizione si fonda su un suono, che Semënov definisce accordo mistico: do, fa #, si b, mi, la, re. Per capire in che modo un accordo possa intervenire attivamente sulla realtà, è necessario conoscere il pensiero filosofico che muove Skrjabin e che Chiuchiù ha studiato negli scritti preparatori a Msteryum.

«Avevo capito che la realtà obbedisce ai suoni» afferma Semënov (p. 19) «e anzi che non esiste la realtà, esistono solo il suono e le sue manifestazioni materiali e spirituali. Esiste una sillaba essenziale». È quella che nei Veda viene chiamata sphoṭa, termine che significa allo stesso tempo suono, sillaba, mattone. È l’insieme dello stoicheion di Platone, l’elemento minimo di cui tutto si compone, la materia, e della legge che lo regola. Il suono è quindi materia e ordine, il mondo è tutto fatto di musica. Per evocare l’Apocalisse è dunque necessario trovare il suono della morte, che per Semënov corrisponde a un grido che si compie identico nel momento della nascita e in quello della morte. Quel grido, tradotto in un accordo, è il suono in grado di decapitare il tempo[2].

L’Esecuzione dell’ultimo giorno è una composizione imponente. Richiede 1034 musicisti, 600 campane, danzatori, un sistema di luci complesso. Nel concetto di opera assoluta, di opera cioè che si sostituisce alla realtà, è anche la teoria sinestetica, che nel romanzo viene interpretata in modo letterale. Ogni suono ha un colore per Semënov. Per questo dipinge i tasti del pianoforte con dei colori a olio: «do, rosso; re, giallo; mi, azzurro; fa, bordeaux; sol, arancione; la, verde; si, blu. La mia partitura deve ricondurre tutto al prisma nero che contiene ogni colore» (p. 41). Così come la musica diventa materia e legge, ogni simbolo perde la sua concezione abituale, spettrale, per diventare realtà. E «la musica scava il cielo» (p. 25) realmente, ci dice Semënov, citando una frase dei Diari Intimi di Baudelaire.

Semënov è un visionario. Il sistema dei personaggi è una costellazione di apparizioni, fantasmi interiori che si concretizzano.

Un nobile russo, che in un’intervista a Chiuchiù Michela Fregona[3] ha paragonato al Salieri della tragedia di Puskin Mozart e Salieri per il suo essere messaggero di morte, scrive sulla partitura dell’Esecuzione queste frasi: «Ancora non sei e non sei già più. C’è un solo pensiero, una sola figura ritmica: l’unico taglio, l’unica grazia» (p.25). Potrebbe essere una definizione della tragedia, genere in cui coesistono, secondo Nietzsche, apollineo e dionisiaco, qui tradotti in Sofia e Apocalisse, la possibilità della conoscenza metafisica e il motivo della sua fine.

La conoscenza si incarna nel libro in tre personaggi femminili: la prima è una passante, che nasconde sotto il cappotto «due ali smisurate» (p. 15). La seconda è una ragazza incontrata in un viale che costeggia una fossa di settanta metri, chiusa da un parapetto e da una rete di sbarre di ferro. La ragazza spiega a Semënov che la rete serve a impedire che gli aspiranti suicidi si gettino nella voragine. Lei stessa è una di loro. Il terzo personaggio è Silvia, una ragazza giovane che con la sua bellezza e il suo amore sembra riuscire in certi momenti a distrarre Semënov dal proprio compito, l’Apocalisse, la propria morte. Sono tre incarnazioni della Sofia russa: l’annientamento nel mistico, la sapienza da cui Semënov sa di essere escluso, l’Eros cosmogonico. Rappresentano l’unica forza che può opporsi alla hybris che attraversa Semënov.

Esecuzione dell’ultimo giorno è uscito a febbraio 2020. È un libro importante, la cui eco è stata fortemente ostacolata dagli eventi. Forse che la letteratura abbia bisogno, oggi più che mai, di una riappropriazione del tragico, e con esso di una tensione verso il potere cultuale dell’arte? Che il romanzo abbia bisogno di eroi?

Per fortuna ci sono scrittori che continuano a porsi le domande che hanno fatto grande la letteratura.


[1] Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica, in Walter Benjamin, Aura e choc – Saggi sulla teoria dei media, Einaudi, Torino 2012.

[2] Informazioni tratte dall’intervista fatta a Chiuchiù da Roberto Contu in occasione di UmbriaLibri, l’11 ottobre 2020: https://www.youtube.com/watch?v=ujLq6xphsuw

[3] https://www.facebook.com/scrittoriadomicilio2020/videos/466917841107451/


L. Chiuchiù, Esecuzione dell’ultimo giorno, Perugia, Aguaplano, pp. 64, € 12.