Dopo Storie di uomini e di libri (2014), minimum fax torna a dedicare l’ultima uscita della sua serie ‘Filigrana’ al racconto dei retroscena di alcune delle collane più celebri del Novecento italiano. In Numeri Uno. Vent’anni di collane in otto libri (minimum fax, 2020) Gabriele Sabatini passa in rassegna alcune serie di narrativa nate tra anni Quaranta e Cinquanta, adottando un taglio decisamente originale. Viene infatti considerata di ogni collana la sola prima uscita, seguendo tutti i passaggi che hanno portato il manoscritto dalla scrivania dell’autore allo scaffale della libreria. I romanzi considerati – che vanno da Paesi tuoi a Menzogna e sortilegio, dal Deserto dei Tartari al Prete bello– sono infatti casi studio perfetti per evidenziare le dinamiche di un mondo editoriale in rapida evoluzione dopo le difficoltà vissute durante il fascismo.

Come siano stati scelti gli otto ‘numeri primi’ viene chiarito nelle primissime pagine del volume: “La linea generale seguita in questo libro”, scrive Sabatini, “è quella di occuparsi di romanzi che abbiano inaugurato prestigiose collane editoriali e che siano ancora oggi facilmente rintracciabili in libreria” (p. 22). Non si può che condividere la scelta di ricostruire la storia editoriale di romanzi che, diventati in breve tempo dei classici del Novecento, hanno saputo dimostrare una grande longevità, essendo tutt’oggi amati da moltissimi lettori. Al contrario, alcune delle più importanti serie avviate nello stesso giro d’anni furono inaugurate da autori oggi molto spesso dimenticati e da titoli reperibili solamente nel mercato antiquario: un esempio su tutti è quello della serie mondadoriana ‘Lo specchio’, che nel 1940 iniziò le sue pubblicazioni con Vecchie storie d’oltremare dell’ormai ignoto esploratore fascista Guelfo Civinini.

Numeri Uno comincia ricostruendo le vicissitudini editoriali del Deserto dei Tartari di Dino Buzzati, che apre ‘Il sofà delle muse’ di Rizzoli nel 1940, e termina la rassegna con Il soldato di Carlo Cassola, scelto nel 1958 per inaugurare la breve ‘Biblioteca di letteratura’ di Feltrinelli; collana che, solo pochi mesi più tardi, ospiterà Il gattopardo – primo vero bestseller dell’editoria italiana. Tra questi due estremi cronologici, in compagnia del Quaderno proibito di Alba De Céspedes (primo dei ‘Grandi narratori italiani’ di Mondadori) e del Prete bello di Parise (che segna un nuovo inizio per i ‘Romanzi moderni’ di Garzanti), trovano inevitabilmente grande spazio le collane einaudiane, oltre che per la loro enorme importanza e prestigio storico anche per il ruolo determinante che ebbero nel ridefinire l’intero panorama italiano. Sebbene Giulio Einaudi non sia il solo editore a rivoluzionare il mercato nazionale negli anni Quaranta, Sabatini sottolinea come “quel lasso di tempo ha significato per Einaudi un punto di svolta; il consolidamento […] della casa editrice nel mondo della narrativa italiana” (p. 21).

Come in un racconto a puntate, in moltissimi capitoli di Numeri Uno ritroviamo spesso i personaggi che abitavano gli uffici einaudiani entrare gli uni nelle storie degli altri, ora nelle vesti di scrittori o editor, ora in quelle di direttori di collana, quando non persino di amici e consulenti. Ripercorrendo gli intrecci di relazioni attraverso gli scambi di lettere e di telegrammi, i verbali delle riunioni di redazione o le recensioni, seguiamo in parallelo l’avvicendarsi delle collane che hanno fatto la storia del marchio. Sabatini ci guida attraverso il periodo che va dalla nascita nel 1941 della ‘Biblioteca dello struzzo’ con Paesi tuoi di Cesare Pavese fino ai ‘Coralli’ e ‘Supercoralli’, tenuti rispettivamente a battesimo da È stato così (1947) di Natalia Ginzburg e a Menzogna e sortilegio (1948) di Elsa Morante. Il decennio si chiude infine nel 1951 con la pubblicazione del primo dei ‘Gettoni’, I compagni sconosciuti di Franco Lucentini.

Oltre ai vari Pavese, Ginzburg o Vittorini, tra le pagine di Numeri Uno troviamo anche altrove scrittori vestire i panni degli impiegati di casa editrice o di consulenti – spesso con magri stipendi da operaio –, come accade nei casi di Alba De Céspedes, che riorganizzò la sede romana di Mondadori, e di Goffredo Parise, trasferitosi a Milano nel 1953 per lavorare sotto Livio Garzanti (ritratto impietosamente una dozzina di anni più tardi come il Dottor Max del Padrone). E, infine, impossibile non incappare nel tuttofare e talent scout dell’editoria di quegli anni, Leo Longanesi: è proprio dal nome della rubrica letteraria della sua rivista Omnibus, ricorda Sabatini, che Rizzoli deciderà di intitolare la sua nuova collana di narrativa ‘Il sofà delle Muse’; ed è sempre su una delle riviste da lui dirette, Il Borghese, che Goffredo Parise pubblicherà il racconto L’aceto sulle ferite, incunabolo del Prete bello.

Pur presentandosi, più che come una storia, come un racconto dei retroscena che hanno preceduto la stampa di otto prime uscite, Numeri Uno ricostruisce sempre in modo attento le condizioni in cui vennero scritti, riscritti e rivisti i romanzi. E lo fa facendo costante riferimento a documenti, lettere, diari privati, interviste e dichiarazioni dei protagonisti, che aiutano a rivelare un aspetto dei libri che, da lettori, spesso non solo non vediamo, ma non siamo nemmeno abituati a concepire. Così Sabatini ci fa fare la spola tra l’ufficio dell’editore e la scrivania degli scrittori, ricostruendo dei romanzi i processi redazionali e le vicissitudini editoriali. Sfogliando l’epistolario buzzatiano, veniamo a sapere di come la revisione del Deserto dei Tartari sia stata condotta dall’autore addirittura dall’Etiopia, dove si trovava come corrispondente di guerra, e affidata all’amico latinista Arturo Brambilla. Ancora più accidentato il percorso del manoscritto di Menzogna e sortilegio, cominciato da Elsa Morante nel 1943 e lasciato a Roma all’amico regista Carlo Ludovico Bragaglia mentre la scrittrice si rifugiava nella campagna vicino a Fondi insieme ad Alberto Moravia. Pur avendo ritrovato intatti i quaderni neri su cui aveva cominciato a stendere il romanzo prima della fuga, saranno ancora necessari quattro lunghi anni di lavoro per completare la sua opera d’esordio, che fu poi molto celebrata da György Lukács e riconosciuta in breve tempo come uno dei capolavori del Novecento italiano.

Ma ciò che più di tutto emerge dal volume di Sabatini è quanto nel panorama culturale dell’Italia repubblicana le collane abbiano giocato un ruolo fondamentale. Pur richiedendo un ingente sforzo di pianificazione delle uscite, furono in quegli anni il principale punto di forza delle case editrici, che si volevano presentare ai lettori con collezioni organiche e fortemente connotate. Questo atteggiamento comportò spesso rischi e perdite consistenti da parte degli editori, spesso disposti a scommettere molto anche su collane di esordienti, ma è riuscito senza dubbio a presentare cataloghi di enorme valore e interesse al numero sempre crescente di lettori.  Come ricorda Sabatini nella breve conclusione, fatta eccezione per alcune serie di testi sperimentali o d’avanguardia, questo aspetto si andrà in gran parte perdendo dopo gli anni del boom economico, quando le scelte dei titoli da includere nelle collane seguiranno prevalentemente logiche di mercato e gli editori si orienteranno in massa verso la caccia al bestseller.

Ci potremmo chiedere, in conclusione, perché Sabatini scelga di raccontare questi decenni e questi libri in particolare. Il criterio di scelta dei ‘numeri uno’ permette senza dubbio all’autore di selezionare romanzi noti e da tempo accolti nel canone del secondo Novecento, dalla critica come dal pubblico dei lettori. Similmente si può dire dell’arco temporale, che resta senza dubbio un periodo piuttosto storicizzato e documentato della storia dell’editoria italiana. Ma a questo proposito va anche detto che, rispetto al suo precedente Visto si stampi. Nove vicende dell’editoria italiana (Italosvevo, 2018), limitare la narrazione ai soli anni Quaranta e Cinquanta e insistere sulla dimensione della collana fa guadagnare a Numeri Uno in coerenza e leggibilità. Qualche incertezza resta sul significato dell’operazione di Sabatini. La ricostruzione delle vicende dei ‘Gettoni’, dei ‘Coralli’ o dei ‘Narratori italiani’ pone senza dubbio al centro la questione della concorrenza reale (e leale) in vigore in quegli anni tra i vari editori e del significato diverso che aveva il fare libri. Si può allora leggere in Numeri Uno una traccia di nostalgia per un’epoca mitica, ma sicuramente si può vedere la ricostruzione di Sabatini anche come un omaggio ai metodi di lavoro e alle politiche delle case editrici negli anni del secondo dopoguerra; metodi e idee che la crescente trasformazione del settore in industria culturale a partire dagli anni del boom ha visto tramontare per sempre, perlomeno nella grande maggioranza delle major che l’autore considera.


G. Sabatini, Numeri uno. Vent’anni di collane in otto libri, Roma, minimum fax, 2020, 192 pp., € 14.