La letteratura ci insegna spesso che molte situazioni che incrociamo nel nostro presente sono indagabili e talvolta comprensibili attraverso uno sguardo al passato, ricercando come situazioni simili abbiano impattato nel tempo trascorso. Un caso emblematico è certo quello dei supplizi e dei roghi che hanno ucciso donne accusate di stregoneria: non si tratta di una questione semplice da riassumere, ma in questo caso ci si accontenterà di ridurre questi omicidi a tre fattori, l’ignoranza che segna il pregiudizio, lo squilibrio nell’esercizio del potere e la ricorrente persecuzione dei più deboli. Ovviamente la situazione odierna è radicalmente mutata rispetto alle condanne per eresia o per stregoneria, ma già dal semplice elencare alcuni dei fattori che hanno portato a simili occorrenze emerge come si tratti di questioni che continuano ad avere molto da dire, in quanto è tuttora operante quel meccanismo che porta alla continua ricerca di capri espiatori.

Scrivendo in La strega e il capitano di uno dei più famosi tra questi procedimenti contro le streghe, quello a Caterina De Medici, Sciascia ha notato un meccanismo inquietante, ma purtroppo operante in tutti questi casi, ovvero che spesso è lo stesso potere a crearsi questo tipo di nemico, con l’obiettivo «di indicarlo, di accusarlo di tutti quegli effetti che invece esso stesso produce di ingiustizia, di miseria, di infelicità tra gli assoggettati».

Anche per questo motivo il recente libro della giornalista Ilaria Simeone, Streghe. Eroine dello scandalo (pubblicato da Neri Pozza) è interessante, perché continua a gettare la luce su fenomeni del passato che possono aiutarci anche a comprendere fatti del presente ma, soprattutto, ha l’indubbio merito di continuare a tramandare alcune vicende esemplari. Il libro di Simeone ruota attorno a tre date, il 1616, il 1587 e il 1716, accomunate dal fatto che in ognuna di queste si sono tenuti dei processi che hanno condannato donne accusate di stregoneria. Nel 1616, nel ducato di Milano, si tenne il processo a Caterina De Medici, accusata di aver praticato un maleficio al senatore Luigi Melzi; nel 1587 a Triora, oggi in provincia di Imperia, un processo dalle dimensioni impressionanti e della durata di tre anni, dove a essere imputate erano ben trentacinque presunte streghe e infine, nel 1716, a Bretonico, in Trentino, uno degli ultimi procedimenti per stregoneria, questa volta nei confronti di Maria Bertoletti, detta la Toldina.

Il primo caso è certamente quello più noto, esemplare all’interno di questo campo di studi, a cui Alessandro Manzoni farà un accenno nei Promessi Sposi (il capitolo XXXI, dedicato alla descrizione della peste a Milano, nel quale Manzoni indica Caterina De Medici come «una povera infelice sventurata» bruciata sul rogo come presunta strega) e al quale Leonardo Sciascia dedicherà invece, documenti alla mano, una riscrittura commentata (La strega e il capitano, pubblicato da Adelphi). Gli altri due invece sono un po’ meno conosciuti, ma altrettanto feroci: impressiona particolarmente la vicenda delle trentacinque donne imputate a Triora per l’ampiezza della persecuzione e per come si replichi sempre, con poche sfumature, lo stesso meccanismo persecutorio: dal problema della carestia si passa subito a identificare la terra come «maledetta» e da lì si trova un capro espiatorio, le streghe, responsabili secondo il popolo di aver creato una simile situazione. La prima prigioniera è Isotta Stella, poi seguiranno altre donne, tra cui pure delle bambine, che saranno il banco di prova per la ferocia e la violenza degli inquisitori. La vicenda che chiude il volume, quella di Maria Bertoletti Toldini, prima decapitata e poi bruciata, è quella che inizia a segnare anche la fine delle persecuzioni, la stanchezza e la noia colpevole di un tribunale che condanna ormai senza neanche considerare le prove: «questa storia è fatta di niente» dice all’autrice il giudice Carlo Ancona, «erano accuse da quattro soldi, fatte di sciocchezze, mormorii, mezze parole». Tanto è clamorosa questa condanna che nel 2015 il comune di Brentonico ha chiesto la riapertura del procedimento, una possibilità per dare la giustizia che è mancata trecento anni fa alla Toldina, vittima di un processo gratuito, ma anche a tante altre vittime il cui nome si è perso tra le fiamme di un rogo.

«Caterina, Toldina, Isotta e le altre sono eroine dello scandalo, nel significato greco del termine: insidia, ostacolo, inciampo» scrive Simeone al termine della sua trattazione ed è condensato anche in queste parole l’impegno che questo libro sottende: operando una precisa analisi tra ciò che la storia ha tramandato di queste vicende e la realtà dei fatti, Simeone mostra al lettore l’impressionante facilità con cui queste donne furono condannate, con processi che si basavano, e si concludevano, su testimonianze tralasciate e indizi che non tornavano. Scriverà Sciascia, facendo riferimento nello specifico alla vicenda di Caterina De Medici, ma in realtà fotografando tutte quelle situazioni in cui lo squilibrio del potere genera ingiustizia, che «terrificante è sempre stata l’amministrazione della giustizia, e dovunque. Specialmente quando fedi, credenze, superstizioni, ragion di Stato o ragion di fazione la dominano o vi si insinuano». Ecco quindi un altro monito che le vicende di questi tre processi suggeriscono, la necessità di vedere le cose per quello che sono, senza farsi distogliere dall’oggetto: una lezione che non perde mai la sua validità, forse ancora di più oggi quando l’abbondanza di informazioni e commenti rischia di far smarrire uno sguardo coscienzioso.

Simeone riesce in questo libro a unire a una ricostruzione storica minuziosa, garantita da una consultazione attenta e onesta degli atti giudiziari, uno spirito argomentativo che continuamente porta il lettore a interrogarsi su come sia stato possibile un simile esercizio della giustizia. Il racconto è lineare e dalla disarmante durezza delle  vicende emerge naturalmente la violenza di queste storie: ripensando ai casi di Caterina De Medici, di Maria Bertoletti, di Isotta Stella e delle tante altre vittime di cui non conserviamo nemmeno un nome, tornano alla mente alcune parole di I sommersi e i salvati di Primo Levi, un monito che è giusto risuoni ogni volta che si incontrano vicende come queste: «l’uomo, il genere umano, noi insomma, eravamo parzialmente capaci di costruire una mole infinita di dolore», una creazione pericolosa e che non può essere disciplinata perché, come aggiunge lo scrittore, «il dolore è la sola forza che si crei dal nulla, senza spesa e senza fatica».


Streghe. Le eroine dello scandaloIlaria Simeone, Streghe. Le eroine dello scandalo, Vicenza, Neri Pozza, 2019, 188 p., € 13,50.

Immagine in evidenza: David Teniers (1610-1690), The Witches’ Sabbath, Oil on wood.