Why You So Crazy dei Dandy Warhols ha il fascino sbarazzino e leggermente spiazzante di quegli album che sembrano essere il risultato di una spontanea ed immediata gioia creatrice. Un po’ come il video del loro primo single tratto dall’album, Be Alright, piano sequenza di 4 minuti e 31 secondi in soggettiva, girato in 360 VR, nel loro spazio privato, l’Odditorium, a Portland, nel quale si ha l’impressione di vagabondare a caso, seguendo una graziosa ragazza con un calice di vino in mano, attraverso cene affollate, salottini, fumo di sigarette, una sala da concerto vuota, per finire poi in una sorta di biblioteca/studio di registrazione dove sono raggruppati i quattro membri della band.

 

Perché, diciamo subito come stanno le cose, l’ultimo album del gruppo statunitense si configura come un disinvolto e piacevole cavanserraglio di stili, influenze e autocitazioni, dove l’eclettismo e l’eterogeneità non scadono mai in confusione o inconcludenza.

Il che è una buona notizia, perché i Dandy Warhols, dopo nove album dagli esiti non sempre all’altezza delle aspettative e dopo singoli di grande successo, come Bohemian like you del 2000, sembravano ormai soltanto un ricordo sbiadito del passato.

Per il venticinquennale di carriera della band, i quattro di Portland ci consegnano un mosaico di 12 pezzi ai cui estremi si situano Fred N Ginger, brevissimo omaggio retro al musical classico anni 30, con tanto di fruscii tipici dei vinili, e Ondine, composizione per pianoforte dagli accenti impressionisti e raveliani. Tra i due estremi, i pezzi si susseguono per contrasto o per analogia. Così, dopo le atmosfere da musical hollywodiano della prima traccia, ci ritroviamo persi nel beat sintetico e martellante, post-industriale di Terraform, dalle venature dark e dal testo laconico e desolante. Altra canzone, altro contrasto: Highlife, country rock sotto acido, danzante e scanzonato. E se, ad un primo ascolto, tutto sembra un po’ superficiale e improvvisato, è soltanto un’impressione che si dissipa nel corso degli ascolti successivi.

In Be Alright, per esempio, all’andamento rock indé, sostenuto da un basso ultra saturo e distorto, si sovrappone una melodia spettrale ed acuta che sembra suonata su un pianoforte giocattolo, conferendo così al pezzo una leggera nota onirica.

L’album procede allora secondo questo andamento, divertendosi e spiazzando l’ascoltatore: Thee Elegant Bum, che ricorda i ritmi cari alla brit-pop degli anni 90, seguito da un altro pezzo tra il country e la psichedelia, Sins Are Forgiven, che non sfigurerebbe nella colonna sonora di un film di Quentin Tarantino.

L’album si ripiega poi su atmosfere più intimiste e sperimentali con Next Thing I Know, dal canto quasi sussurrato e una strizzatina d’occhio ai Gorillaz. Sulla stessa lunghezza d’onda si situano altri due pezzi, l’ermetico To The Church e il liturgico Forever, dove l’electronic pop dei sintetizzatori si carica di sfumature dark e quasi apocalittiche. Il tutto inframezzato dall’ironico rock ‘n roll di Small Town Girls e da un altro gioiellino country psichedelico, Motor City Steel.

Non siamo certo di fronte ad un capolavoro indimenticabile. Tuttavia, la spregiudicata disinvoltura compositiva di cui fanno prova i Dandy Warhols, in Why You So Crazy, ha decisamente un non so che di seducente e di liberatorio. Forse può bastare, aspettando che il 2019 ci regali qualcosa di più entusiasmante e di più sostanzioso.


dandy warhols

The Dandy Warhols, Why You So Crazy (Dine Alone Records)