Sono oramai molti anni che il Sundance Film Festival non è più identificabile esclusivamente con un certo cinema hipster alla Little Miss Sunshine – tenero e grazioso ma inesorabilmente stucchevole e superficiale – e recentemente ha ospitato film come The Raid: Redemption o The Witch, dimostrando così di volersi aprire al genere. Hereditary (uscito nelle sale italiane il 25 luglio) viene presentato al Sundance a gennaio di quest’anno, e già dai primi commenti si intuisce di essere davanti a un’opera particolare, un film che non capita di vedere tutti i giorni, soprattutto considerando che si tratta di un horror puro. Certo, di horror a cui hanno appioppato ridicole etichette come “più spaventoso de L’esorcista” o “non vi lascerà dormire per giorni” se ne sono visti a bizzeffe, ma stavolta la sensazione è che il film possa essere all’altezza delle attese generate, e l’oscuro passaparola dei pochi fortunati ad averlo visto fa montare l’esaltazione tra gli appassionati.

Sono dunque entrato nella sala in cui veniva proiettato Hereditary totalmente vergine della trama, non del tutto sicuro del tipo di film che mi stavo accingendo a vedere, ma curiosamente fiducioso e anzi sottilmente eccitato. Il film dell’esordiente Ari Aster non è stato all’altezza delle aspettative: le ha letteralmente schiantate.

Hereditary comincia con un funerale. Annie sta seppellendo la madre Ellen, matriarca della famiglia Graham, con la quale non ha mai avuto un grande rapporto al contrario della figlia Charlie, legata invece alla nonna in modo quasi morboso. Per uno spettatore attento viene immediatamente naturale intuire un collegamento con il titolo del film stesso: se la matriarca è morta, allora ci deve essere qualcosa di – per l’appunto – ereditario che è stato passato, trasmesso, alle generazioni successive. Ma cosa? E perché si ha subito l’impressione che questo qualcosa sia ad appannaggio interamente femminile, e che gli uomini non solo ne siano esclusi, ma che anzi ne siano inesorabilmente minacciati? Inoltre, inizia a farsi largo una sottile sensazione di morte e disastro incombenti, per quanto vaga e confusa: “ereditario” infatti è un termine sovente usato in ambito medico, e viene naturale accostarlo a qualcosa di malsano, di malato. E se questo qualcosa di malsano e malato è da molto tempo latente nella famiglia Graham, sarà necessaria una nuova tragedia per farlo deflagrare una volta per tutte.

 

Vale la pena fermarmi qui nel racconto della trama. Hereditary è uno di quei film da vedere conoscendone il meno possibile per poter godere fino in fondo delle numerose sorprese che ha in serbo, esattamente come è stato per The Witch e Babadook, i due colossi a cui, giustamente, è stato associato. In comune con Babadook non c’è solamente il tentativo di raccontare tramite il genere qualcosa di profondo come i legami famigliari di fronte alla morte, ma anche la memorabile performance dei suoi interpreti, elemento spesso sottovalutato negli horror, indispensabile invece per dare piena sostanza al risvolto orrorifico della vicenda. Gli attori sono tutti eccezionali: Gabriel Byrne, nel ruolo del padre scettico e razionale vittima di forze molto più grandi di lui; Alex Wolff, teenager giustamente interessato per lo più ad erba e ragazze, inconsapevole del destino parimenti sublime e atroce che il Male ha in serbo per lui; la splendida Milly Shapiro, che pare nata per interpretare questo ruolo, a cui Aster ha regalato un segno distintivo destinato a rimanere nella storia del cinema horror (quel suono…). Ma, naturalmente, è Toni Collette che svetta sopra tutto e tutti in quella che è destinata a restare l’interpretazione della vita, viscerale, estrema, emotivamente potentissima. Il suo personaggio di madre distrutta rivaleggia con quello di Essie Davis in Babadook e con i più grandi personaggi della storia del cinema horror, un genere peraltro da sempre prodigo di ruoli femminili.

Un altro dei motivi per cui Hereditary svetta tra gli horror contemporanei è il meccanismo con cui genera il terrore. Al giorno d’oggi, un indicatore molto credibile sulla qualità di un horror è la presenza o meno di jumpscare: più il film ne è infarcito, maggiori sono le possibilità che il film si riveli una sola. In Hereditary ci sono un paio di jumpscare al massimo, e mai nelle scene madri: Aster si affida a una grammatica dell’orrore completamente diversa, ben più raffinata e complessa, fatta di campi lunghi, attese, effetti sonori dall’effetto straniante (l’eccezionale partitura è composta dal sassofonista Colin Stetson, che esclude quasi completamente gli strumenti a corde, tipici dell’horror, in favore di sonorità più inusuali e aliene). Anche la scelta di come filmare le “apparizioni” raremente ricade sulle linee laterali che tagliano orizzontamente i bordi dell’inquadratura (un trucco efficace ma inesorabilmente facilone per sorprendere lo spettatore), prediligendo invece un lavoro sulla profondità: la minaccia emerge cosi lentamente dalle tenebre, e l’inquadratura simula il punto di vista del personaggio, creando una sovrapposizione tra quest’ultimo e lo spettatore.

Hereditary è inoltre quello che in gergo si definisce uno slow burner, cioè un’opera che fa della lentezza la sua forza e che richiede allo spettatore pazienza e attenzione, carica com’è di simboli, dettagli e prefigurazioni di quanto accadrà in futuro (è il classico film da rivedere per godersi tutte le chicche disseminate qua e là). Per metà film quasi dubitiamo di essere davanti a un horror, quanto a un dramma su una famiglia in disfacimento dinnanzi a una tragedia troppo grande da sopportare. Lentamente, ma inesorabilmente, il Male inizia però a filtrare nelle pieghe della realtà, il soprannaturale cresce di intensità e l’orrore più puro prende il sopravvento, regalandoci venti minuti finali che non dimenticheremo tanto facilmente (come dimostra la divertente trovata promozionale di A24, distributore del film: durante un’anteprima è stata registrata l’evoluzione del battito cardiaco dei partecipanti, con il risultato che potete vedere qui).

Purtroppo, film come questo di Ari Aaster sono ancora mosche bianche nel panorama odierno del genere. Per meglio comprendere il momento che sta passando il cinema horror contemporaneo è interessante condurre un semplice esperimento e andare a curiosare il rating ottenuto da Hereditary su Rottentomatoes: nel momento in cui scrivo il film sta vantando 89% da parte della critica e solo 59% da parte del pubblico (The Witch e Babadook, gli altri capisaldi moderni del genere, hanno rapporti di percentuali simili). Al contrario, uno dei peggiori horror degli ultimi anni come Insidious: the Last Key ottiene rispettivamente 32%  e 57%. Come è possibile un tale sproporzione? In realtà non sorprende eccessivamente che un film come questo abbia fatto impazzire la critica e gli appassionati ma abbia deluso il pubblico generalista, abituato com’è al solito canovaccio e incapace di aprirsi a un nuovo modo di fare horror. In Hereditary i jumpscare sono assenti, gli snodi narrativi richedono una maggiore attenzione per essere compresi, i personaggi sono complessi nel relazionarsi tra loro e il finale è qualcosa che raramente si vede in sala, disperato ma liberatorio al tempo stesso, in cui il terrore trascolora nel sublime. Capolavori moderni come The Witch e Hereditary potranno non conquistare il cuore del grande pubblico, ma di sicuro hanno fatto breccia in quello di noi appassionati e potranno, chissà, fare da apripista per un nuovo modo, più cupo e maturo, di concepire il genere. Già sarebbe qualcosa.