Una copertina rossa, il nome dell’autrice, il titolo del libro. Subito sotto, una vignetta che raffigura una ragazza la cui età è difficile da indovinare, per via del maglione nero a collo alto che indossa, e per un’ombra di tristezza che le modella l’espressione degli occhi e delle labbra. Si presenta così Memoria di ragazza di Annie Ernaux (L’Orma editore, trad. L. Flabbi), ultimo tassello di quell’indagine autobiografica che contraddistingue l’intera opera della scrittrice francese.

Fin dal suo primo libro, Les armoires vides (1974), che ha come protagonista e narratrice una ragazza universitaria che deve affrontare il trauma di un aborto e che cerca soccorso nei ricordi d’infanzia, Annie Ernaux svela a pieno il proprio intento narrativo: parlare della propria vita, scavare nei ricordi per una fame di domande che oltrepassano il proprio vissuto e giungono a interrogare l’intera società. I suoi romanzi successivi La place (1983; L’Orma 2014, trad. L. Flabbi), Une femme (1987), La honte (1996) descrivono la propria famiglia concentrando il racconto sulla condizione sociale umile dei genitori, con le conseguenze che lei ha avvertito su di sé. Nel libro L’autre fille (2011; L’Orma 2016, trad. L. Flabbi) parla di quando, ascoltando di nascosto una discussione tra suo padre e sua madre, ha scoperto di avere avuto una sorella, morta prima che lei nascesse. Passion simple (1991) racconta di una storia d’amore con un uomo che ha dovuto perdere; in L’évenement (2000) torna a parlare dell’aborto, compiuto all’età di 23 anni. Con Les années (2008; L’Orma 2015, trad. L. Flabbi), il suo libro più conosciuto, Annie Ernaux percorre tutto l’arco della propria vita, riuscendo a incastonare il proprio vissuto in una cronaca collettiva in cui tutti riescano a riconoscersi. Ma in questa radiografia delle emozioni e dei ricordi era rimasto un vuoto, una pagina bianca della memoria, come se l’evento che dovesse descrivere fosse irriducibile.

Il giovane volto dallo sguardo malinconico che introduce Memoria di ragazza appartiene a quella che Ernaux definisce «un’estranea che mi ha lasciato la sua memoria in eredità», l’adolescente che lei è stata cinquantanove anni prima. Chi è quella ragazza? E quale rivolgimento traumatico, nell’estate del 1958, ha fatto sì che per tutto il tempo a venire la donna che lei è diventata sia stata ossessionata dai ricordi di quel breve periodo? Dopo così tanti anni passati ad annotare ogni minima reminiscenza sulla ragazza del ‘58, Annie Ernaux ha infine portato a termine il suo testo mancante, quello che più di ogni altro avrebbe voluto scrivere e che ha iniziato e interrotto continuamente nel corso degli anni, per il dolore che provoca dare forma ai ricordi e trasformarli in memoria da condividere.

Nell’intervista fattale da François Busnel durante una puntata della trasmissione televisiva La Grande Librairie, Ernaux precisa con forza che il suo non è un romanzo, che nulla di quello che ha scritto appartiene all’universo della finzione e che quello che lei cerca nella scrittura è di avvicinarsi il più possibile alla realtà degli eventi, a una verità che riesca a dare un senso alla propria esistenza. Per far sì che ciò avvenga, e che il proprio vissuto riesca a confluire in un universo esperienziale collettivo, la Ernaux sostituisce all’«io» topico del mémoir il «lei» dell’inchiesta, estraniandosi da se stessa, declinando in terza persona la ragazza che era, diventando l’occhio dell’Altro che si osserva, o meglio, si spia: «E il più crudelmente possibile, come coloro che ascoltiamo da dietro una porta mentre parlano di noi dicendo “lei” o “lui” e in quel momento ci sentiamo morire». È soltanto grazie a questo taglio paradossale di identità, a questo sdoppiamento in cui la scrittrice di oggi assume la se stessa diciottenne come oggetto di uno sguardo voyeurisitco, che un trauma personale diventa storia condivisa, inscrivendo Memoria di ragazza in quel genere che l’autrice stessa ha definito auto-socio-biografico[1]. Annie Ernaux mette in scena la «grande memoria della vergogna, più minuziosa, più irremovibile di tutte le altre. Quella memoria che, insomma, della vergogna è lo specifico dono». Affronta il proprio passato come se si trattasse di un’indagine storica, prende ogni ricordo e lo decostruisce, spogliandolo dai grumi soggettivi rimasti inspiegati per la paura di affrontarli, e di affrontarsi. Dalla sua posizione privilegiata, spesso sottolineata nel testo con asserzioni quali «non li invidio, sono io che scrivo», Annie Ernaux riesce a liberare la se stessa diciottenne dalla morsa morale in cui l’aveva reclusa, rappacificandosi finalmente con il proprio passato.

Complici nell’infrazione di questa memoria spaventosamente intima, seguiamo la ragazza di provincia nella sua prima esperienza lontano da casa e dalla famiglia. La vediamo salutare la madre apprensiva, riusciamo a leggere nei suoi occhi l’eccitazione per la nuova libertà acquisita. Entriamo con lei nella colonia di S., dove i giovani che non potevano permettersi delle vere vacanze andavano a fare gli educatori durante la stagione estiva. La accompagniamo nella sua nuova stanza, condivisa con un’altra ragazza, e quasi sentiamo la sua voce canticchiare i versi di una canzone, Mon histoire c’est l’histoire d’un amour di Dalida, vera colonna sonora del libro e chiave delle aspettative di una qualsiasi ragazza della sua età: avere una storia d’amore, come quelle dei libri e dei film in cui si immerge appena gli impegni di scuola glielo permettono.  Ed ecco l’incontro, durante il suo primo party. Ha i capelli sciolti sulle spalle, ha tolto gli occhiali spessi che di solito le pesano sul viso. Un ragazzo che le ricorda Marlon Brando e che prenderà a chiamare l’Arcangelo le chiede di ballare; mentre sono stretti l’uno all’altra lui la fissa con insistenza, poi la bacia e le dice di seguirlo, una richiesta che lei sente come un ordine, a cui non può, né vorrebbe mai, disubbidire. Li vediamo insieme nel letto e assistiamo alla brutalità con cui lui giunge a soddisfare i propri istinti, al terrore e alla remissività di lei. Non la costringe. Lei potrebbe andare via quando vuole ma non riesce, «come se non avesse il diritto di abbandonare quell’uomo nello stato che lei provoca in lui. Di abbandonarlo con quel furioso desiderio di lei. Non può immaginare che non l’abbia scelta – eletta – tra tutte le altre». Nonostante l’antinomia tra le proprie rêveries romantiche e l’atto sessuale con cui, nella notte tra il 16 e il 17 agosto 1958, la ragazza che Annie Ernaux è stata diventa donna, secondo la significazione comune, noi la vediamo, il giorno seguente, in piedi accanto al letto in cui lui è disteso, ancora preda di quel giogo che si è autoimposta. Spera che finalmente il suo sogno d’amore si avveri. Ma l’Arcangelo rifiuta il ruolo che lei vorrebbe fargli assumere e la lascia sola nella stanza ad affrontare il crollo della propria infanzia. Siamo poi spettatori della derisione che la giovane Annie deve subire dagli altri educatori per la reazione infantile che ha a seguito di quel rifiuto, della sua solitudine e del senso di vuoto che inizia a insinuarsi in lei senza riuscire a prendere forma in una razionalizzazione degli eventi.

Se il racconto terminasse qui, la giovane Annie Duchesne e la scrittrice Annie Ernaux resterebbero estranee l’una all’altra, e il libro che abbiamo tra le mani non sarebbe che la storia di una remissione alla propria impotenza. Ma così non è. Continuiamo a seguire la ragazza per altri due anni. La vediamo abbandonare la colonia, trasferirsi a Rouen per terminare il liceo, andare a Londra per lavorare come ragazza alla pari. Veniamo a sapere che la vergogna provata a S. non l’ha lasciata e che, repressa, ha trovato altre strade per manifestarsi: la bulimia, l’amenorrea. Scopriamo infine quali parole di sorella maggiore sono state in grado di spiegarle il senso sotteso al proprio dolore: quelle di Simone de Beauvoir, che con Il secondo sesso le ha fatto capire che, celato nell’amore per un ragazzo che conosceva appena, nel desiderio di essere sua come uno schiavo appartiene al suo padrone, vi è tutta l’imposizione di una società che fino allora aveva considerato la donna nella sola condizione di oggetto di una volontà maschile. E non è un caso, forse, che il titolo del libro richiami quello del primo capitolo dell’autobiografia della filosofa francese, Mémoires d’une jeune fille rangée. La vediamo infine cercare un equilibrio tra la costruzione della propria identità e il desiderio di piacere.

Si potrebbe pensare che Memoria di ragazza tratti di un’epoca scomparsa, di paure e situazioni che oggi non sussistono. Ragazzi e ragazze vanno a scuola insieme, crescono insieme. L’identità sessuale è sempre più fluida, meno marcata socialmente, forse.

Eppure questo libro, che parla di una ragazza che deve affrontare la vita e del suo corpo, esposto allo sguardo del mondo, perché sembra proprio stia parlando di noi?

[1] Annie Ernaux, L’écrriture comme un couteau – Entretien avec Frédéric-Yves Jeannet, Gallimard folio 2011, p. 23


ernauxAnnie Ernaux, Memoria di ragazza, L’Orma editore, Roma 2017, 256 pp. 18€