Un fotografo in crisi riceve una telefonata dall’anziana sorella. Lui è Thomas, lei Caterina: hanno quattordici anni di differenza e si conoscono appena, dal momento che quando lui aveva solo quattro anni, lei, diciottenne, già usciva di casa. Ad accomunarli una «complicità un po’ comica», lettere e biglietti ogni tanto, qualche telefonata; un rapporto «intatto» (p. 9), costruito su un comune legame di sangue: l’aver condiviso il vuoto di un padre pianista «altero e insensibile» (p. 36) e di una madre malata e assente. Anche Caterina adesso è malata, e invita Thomas a renderle visita prima che muoia. Da questa telefonata prende avvio Come cani (Milano, Effigie), terzo romanzo dello scrittore e poeta ticinese – ma residente da decenni a Losanna – Pierre Lepori; un romanzo di cui l’autore, bilingue, ha dato alle stampe anche una versione francese (Comme un chien, Losanna, en bas), autotraducendosi.

La telefonata spinge dunque Thomas a lasciare Barcellona e recarsi al capezzale della sorella, nel paesino svizzero di montagna dove questa si è ritirata a vivere dopo la morte del marito. Natale è passato da poco e il paesaggio che accoglie Thomas è congelato nell’immobilità dell’inverno; vita spiata dietro gli scuri e neve sporca e «illuridita» (p. 9). Thomas finirà per fermarsi al fianco di Caterina più del previsto, specchiando la sua solitudine in quella della sorella ma soprattutto in quella di altri personaggi di cui ben presto fa la conoscenza: Mork, un ragazzo un po’ strambo che in paese vive con la nonna e consegna lettere e pacchi, Marc, il medico della valle, di cui non si capisce la ragione della poca vita sociale in paese, e infine Elena, maestra di disegno; le uniche tre persone con cui Caterina abbia contatti. E mentre la sorella scompare dalla scena, inghiottita pian piano dalla malattia, saranno questi nuovi amici, ma soprattutto l’omicidio inatteso di una liceale, a mettere Thomas con le spalle al muro e anzi a dargli una chiave per elaborare il proprio passato.

Come cani segue i precedenti Grisù (2007) e Sessualità (2011), entrambi editi a Bellinzona da Casagrande, e con questi presenta alcune analogie: tratti che dopo tre romanzi possiamo definire caratteristici della scrittura e delle ambientazioni di Pierre Lepori. Per prima cosa, la corporeità della scrittura, onnipresente. Poi, un grande spazio accordato ai personaggi e alla loro introspezione, con un’attenzione quasi ossessiva ai rapporti famigliari. Una ricerca in se stessi condotta senza alcuna fuga in avanti, diluita anzi con precisione millimetrica nello svolgersi della trama. Infine, l’intercambiabilità dei luoghi. I personaggi di Lepori abitano più luoghi e al tempo stesso non abitano nessun luogo, in un nomadismo che da geografico si fa esistenziale. Thomas ad esempio ha vissuto a Ginevra, a Napoli, a Firenze e a Barcellona, tutti luoghi descritti e chiamati per nome, eppure ha sempre abitato queste città «distrattamente, più per la forza dei legami che per convinzione geografica» (p. 8). A rovescio, l’unico luogo di cui mai si faccia il nome è il piccolo paese di montagna dove si svolge quasi tutto il romanzo.

A prima vista, Come cani potrebbe sembrare un libro senza tempo, come i due precedenti romanzi di Lepori, ma non è così: la Storia questa volta è ben presente, e – si scoprirà – pesa sul protagonista come un macigno. Proprio la presenza della Storia, con l’ingombrante ombra della guerra dei Balcani e del massacro di Srebrenica, è forse la novità maggiore, in un libro tutto costruito sulla forza della fotografia, lavoro e credo del protagonista Thomas: «fotografare è pur sempre un modo di proteggersi», dice a un certo punto, «di sapere che gli istanti non sono il nulla, anche se corrono verso il nulla» (p. 10).

La fotografia accompagna d’altra parte tutto il romanzo, che porta in copertina uno scatto del 1968 di Duane Michals. Ne ritma addirittura gli snodi narrativi principali. Se all’inizio infatti Thomas, appena atterrato in Svizzera, decide di lasciare la sua macchina fotografica in un armadietto della stazione di Ginevra, come a significare che sta prendendosi una pausa dal lavoro e che d’ora in avanti le immagini le descriverà a parole, la fotografia ritorna prepotentemente nella sua vita alla fine della prima parte, quando Mork regala al suo nuovo amico un piccolo apparecchio trovato per casa; e soprattutto ritorna alla fine, incarnandosi nel gesto liberatorio con il quale Thomas lascia cadere nel lago un rullino che – il lettore saprà perché – non ha alcuna voglia di sviluppare. È probabile che questo gesto equivalga al cosciente addio del protagonista alla fotografia, l’arte di cui ha vissuto e con cui ha creduto per anni di poter contribuire a redimere il mondo, soprattutto da giovane, quando svolgeva l’attività di reporter di guerra e quando, fermo nel suo pacifismo senza cedimenti, ancora credeva che «ogni volto salvato dall’oblio fosse una definitiva sconfitta della barbarie» (p. 94). La Storia ha dimostrato che non è così, erodendo le certezze di Thomas e dell’amico Alex, personaggio in realtà assente dal libro e ispirato dalla figura del pacifista sud-tirolese Alexander Langer (1946-1995), morto suicida proprio negli anni della guerra dei Balcani. Sotto questo aspetto, mescolando la finzione romanzesca alla Storia, il libro pone un grande interrogativo sul reale potere salvifico dell’arte in generale. Un interrogativo che ci concerne tutti, destinato a visitarci ancora dopo la lettura del libro.

 

Pierre Lepori, Come cani, Milano, Effigie, 2015, € 15.