Sono passati quattordici anni dalla nascita della Tempesta Dischi, l’etichetta indipendente più chiacchierata e seguita d’Italia, sicuramente una delle poche a essersi ritagliata un ruolo importante in questi anni di progressiva estinzione dell’imprenditoria musicale «fai-da-te» dal mondo del visibile. Sabato 6 dicembre, per il quarto anno consecutivo, la Tempesta è arrivata al Rivolta di Marghera (Venezia) per la consueta epifania invernale e, per l’occasione, ha sfoggiato orgogliosamente parte degli artisti che hanno segnato questo suo 2014 in un concertone di otto ore.

La Tempesta è stata fondata nel 2000 per volontà di Enrico Molteni, bassista dei Tre Allegri Ragazzi Morti, e proprio loro cominciarono a pubblicare con questa nuova etichetta (a partire dall’album Principe in bicicletta). La prima collaborazione esterna è del 2004 (Giorgio Canali & Rossofuoco), e da allora la Tempesta si è rapidamente affermata come uno dei punti di riferimento nazionale per il panorama musicale nostrano. In principio, la scuderia era composta da artisti che cantavano esclusivamente in italiano, che quindi non solo avevano accettato l’idea di doversi confrontare con i limiti geografici di una scelta artistica di questo tipo, ma che si erano contraddistinti per una personale cifra stilistica e contenutistica distante anni luce dal mondo patinato del mainstream. Successivamente, nel 2010, la Tempesta ha inaugurato la propria sezione International, con l’obiettivo di esportare all’estero musica italiana senza limiti di genere e di lingua, rispolverando il catalogo dei seminali One Dimensional Man e pubblicando i lavori di realtà più internazionali come Aucan, Mellow Mood, Universal Sex Arena e Beatrice Antolini.

Nel giro di un decennio abbondante dal primo vagito, il catalogo di questo collettivo di artisti, come ama definirsi l’etichetta stessa, vanta più di ottanta pubblicazioni, tra cui quelle del Pan del Diavolo, Zen Circus, Le Luci della Centrale Elettrica, Massimo Volume, Fine Before You Came, oltre ovviamente ai Tre Allegri Ragazzi Morti. Alcuni di questi artisti erano presenti al Festival. E non è un caso che la Tempesta abbia deciso, per la quarta volta, di festeggiare al  Centro Sociale Rivolta, storico luogo di opposizione politica e culturale, sempre attento a ospitare eventi che non troverebbero spazi adeguati nella città diffusa veneta. Del resto, l’etichetta nasce nei meandri della provincia e sicuramente conosce l’ennui e la frustrazione delle persone che devono per forza prendere la macchina e macinare strada per assistere a un evento simile. E così, nell’atmosfera post-industriale di Marghera, che la fa sembrare distante molto più di qualche chilometro da Venezia, prende avvio questa festa a cui è accorso un pubblico numeroso – già alle 18 c’era coda in entrata per assicurarsi i biglietti, malgrado la pioggia battente.

Purtroppo non siamo riusciti a vedere tutti i concerti: ci perdiamo, tra gli altri, i padroni di casa, i Tre Allegri Ragazzi Morti, accompagnati per l’occasione da Abbeytown Jazzorchesta – era impossibile entrare nella sala; Beatrice Antolini, la talentuosa cantante marchigiana alle prese con la promozione del suo nuovo disco, Beatitude; i Cosmetic, i Dadamatto, il dj set di Brunori… Un vero peccato – i palchi erano quattro e non avevamo il dono dell’ubiquità. Ci ha pensato Pierpaolo Capovilla a darci il benvenuto, lui che è cresciuto e vive a Venezia e che ha da poco pubblicato il suo primo disco solista, Obtorto Collo, che lo vede in una versione crooner, meno rumorosa e più recitata. Accompagnato da una validissima schiera di musicisti, l’artista, sempre coraggioso e onesto, riesce ad accompagnare il pubblico verso territori poco festaioli e spensierati grazie a una performance intensa in cui i passaggi teatrali e rumorosi si sono alternati a silenzi che suonavano come domande.

La sorpresa più grande arriva poco dopo, con l’incredibile esibizione degli Universal Sex Arena, uno dei gruppi più energici e divertenti d’Italia. Il gruppo veneto mescola il rock di Detroit – chitarre acide alla Stooges – con un’ incredibile e danzereccia sezione ritmica. Dimostrano di essere dei musicisti con personalità e tengono il palco benissimo, conquistando, come se fossero in una personale battaglia con il pubblico, gli spettatori uno a uno. C’era molta attesa per Il Pan del Diavolo che quest’anno hanno pubblicato Folkrockaboom, e tantissime persone si sono lanciate sotto il palco principale per ascoltarli. Per chi li ha visti in spazi più piccoli, come noi, è sembrato un live un po’ meno coinvolgente, più freddino, anche se il duo siciliano batte forte il piede sulla cassa e presenta una scaletta equilibrata con alcuni dei pezzi migliori.

Un’ora dopo tocca all’ottimo reggae dei Mellow Mood che porta un po’ di esotismo in sala, a testimonianza dell’eterogeneità dei gruppi della Tempesta,  riuscendo a coinvolgere e a far ballare il pubblico in festa per loro. I Fine Before You Came sconquassano il pubblico con un set rabbioso e d’impatto che ripercorre tutto il loro percorso, dal fortunato esordio Sfortuna all’ultimo Quassù c’è quasi tutto. Un’esibizione perfetta che ha supplito le carenze dell’acustica con un’ intensità ipnotica e catartica – mai visti così tanti stage diving in un concerto, era letteralmente impossibile non pogare. Infine, gli Zen Circus ci augurano la buona notte con un altro ottimo live, cosa non tanto eccezionale per chi conosce il trio pisano.

Tornando a casa abbiamo avuto la netta impressione che questa Tempesta sia stata un successo. Certo, se per successo intendessimo il numero di vendite di dischi, paradigma ormai anacronistico per un’industria stagnante in una crisi ormai sistematica, è difficile che i numeri possano essere troppo significativi, malgrado l’ultimo album delle Luci della Centrale Elettrica, Costellazioni, abbia avuto un buon numero di vendite piazzandosi direttamente al secondo posto della classifica italiana così come Canzoni Contro la Natura degli Zen Circus. La bontà dell’esperienza della Tempesta non può e non deve essere letta alla luce di quest’argomento, pensiamo piuttosto alle tantissime persone che sono venute a Marghera per una maratona di musica italiana. Se la Tempesta, dopo quattordici anni, continua a soffiare, organizzando eventi simili, significa che gode di buona salute. Le ragioni del suo successo vanno ricercate nelle persone che l’hanno pensata e costruita, musicisti con esperienze rilevanti alle spalle, poco inclini a compromessi e allergici alla grandi major. La Tempesta, infatti, è una struttura leggera, talmente sburocratizzata che, a quanto pare, non firma contratti ma impegna i contraenti con l’onore delle parole. Certo, questo è possibile solamente in una realtà di fiducia e non è un caso che, come affermato dallo stesso Molteni in questa intervista, la Tempesta non abbia mai pubblicato nessun disco tra le migliaia di demo che le arrivano ogni anno. Ultimo fattore da tenere in considerazione è che non si tratta di un’etichetta uniforme, cioè ci troviamo di fronte a una casa discografica che non si è mai specializzata nella promozione di un genere, concentrandosi piuttosto su di una musica in cui il minimo comune denominatore sembra essere la qualità, sia essa di natura tematica o puramente musicale. Ed è proprio questo fattore che ha reso la serata particolarmente riuscita perché sui palchi si sono intervallate realtà diverse, che si sono amalgamate bene l’un l’altra e sono riuscite a riflettere il microcosmo sonoro di quest’etichetta.