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                                                                                                                                                                                                            di Massimo Cotugno

Non so molto di musica folk. Quel poco che so lo devo a Bob Dylan; è grazie alla sua voce strafottente e alla sua armonica che ho imparato a cogliere la fragile e scarna bellezza di quelle canzoni fatte di pochi accordi e dei soliti giri di chitarra, così apparentemente simili tra loro da farti pensare: “Questa l’ho già sentita”. E senza accorgertene, con questa affermazione finisci col cogliere nel segno, perché “Se non è mai stata nuova e non invecchia mai, allora è una canzone folk”.  A ricordarcelo è Lewinn Davis, cantautore di talento in cerca di fortuna nella freddissima New York del ’61, protagonista dell’ultima pellicola dei fratelli Coen.

Davis fa parte di quell’esercito di menestrelli giunti nella Grande Mela dagli angoli più sperduti degli Stati Uniti, rispondendo al richiamo di quella Beat Generation in procinto di manifestarsi  in tutto il suo magnetico fascino. Questi ragazzi hanno pochi soldi nelle tasche, una chitarra e tanta fede in una musica senza tempo, nata per raccontare storie non di eroi e nemmeno di condottieri, bensì di gente semplice che fa cose semplici, come lavorare, vivere e morire. Perché il folk è come una base, un foglio sonoro per chi è in grado di scriverci sopra la sofferenza dell’uomo con onestà e intensità, senza troppe “spezie” o virtuosismi; è insomma il corrispettivo musicale del buon pane caldo su una tavola. Lewinn Davis lo sa bene, il suo folk sincero e struggente punta dritto al cuore, ma il successo stenta ad arrivare e la vita corre più veloce di lui, ha un ritmo così diverso da quello confortante e cadenzato delle sue ballate. Così Davis comincia a girare a vuoto, nel disperato tentativo di rimettere insieme i pezzi della sua vita, tra amori stonati, gravidanze inattese, un viaggio grottesco e pauroso verso Chicago e mistici gatti che compaiono e riappaiono, quasi a volergli indicare la strada da percorrere.

Come il Larry Gopnik di A serious man, l’Ed Tom Bell di Non è un paese per vecchi o la Mattie de Il Grinta, i Coen descrivono la storia di un uomo nell’ora del disincanto, alla disperata ricerca di una chiave di lettura del misterioso disegno della vita, prima che il mondo con il suo carico di caos non lo travolga definitivamente.

Cold

Con questo film dalla struttura circolare e ricco di simboli ed epifanie, i fratelli Coen riescono ad ottenere il massimo senza mai calcare la mano, lasciando spesso alla musica il ruolo di condurci verso il senso profondo dell’opera, in particolare alle emozionanti ballate di Dave Van Ronk (di cui Lewinn Davis è l’alter ego cinematografico) interpretate con grande sensibilità dall’attore Oscar Isaac, a suo agio nel ruolo di protagonista. Senza dimenticare le eccellenti prove di Carey Mulligan (Jean), finalmente in una parte che le permette di discostarsi dal suo solito ruolo di donna delicata e vulnerabile, e di John Goodman (Roland Turner), attore feticcio dei Coen, in grande spolvero nei panni dell’oscuro e malandato poeta Beat.

Alla fine di un film dei Coen ci si aspetta sempre un riscatto, un lieto fine, forse la redenzione; l’errore si ripete ogni volta, dimentichiamo sempre che il senso di una loro pellicola è disseminato lungo tutto il percorso o in un solo fotogramma. Forse in questo caso era negli occhi di un gatto di nome Ulisse.

Inside Lewinn Davis (Stati Uniti 2013, Drammatico / Musicale 105′) di Ethan e Joel Coen con Oscar IsaacCarey MulliganJustin TimberlakeGarrett HedlundJohn GoodmanF. Murray AbrahamAdam DriverMax CasellaEthan PhillipsAlex KarpovskyStark Sands