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di Massimo Cotugno

Non credo riusciremo mai a spiegare fino in fondo l’attrazione irresistibile delle arti per il mito del vampiro. Al giorno d’oggi sarebbe semplicistico liquidarla come una moda, alimentata da bestseller da supermercato e conseguenti produzioni televisive per teenager.
La realtà è ben diversa, in particolare per quanto riguarda il cinema.
Si può dire, infatti, che il vampiro, per come lo immaginiamo, nasca in coincidenza con l’avvento stesso della settima arte; all’inizio era una creatura muta che proiettava la sua ombra terrificante su muri in bianco e nero, col tempo ha assunto tutte le tonalità della notte e finalmente il sangue è diventato color rubino.

Film sui vampiri ce ne sono sempre stati, il tema ricompare in ogni momento della storia del cinema, cambiamenti di gusto o nuove correnti artistiche non hanno mai cancellato la loro presenza in cartellone. Registi tra i più importanti della storia del cinema ed estranei al genere horror si sono cimentati nell’impresa di far rivivere il mito, quasi a dover pagare dazio o rendere omaggio a questa creatura della notte legata indissolubilmente e paradossalmente all’arte della luce e dell’immagine.
Nosferatu di Werner Herzog, Dracula di Francis Ford Coppola, The Addiction di Abel Ferrara, Intervista col Vampiro di Neil Jordan, questi i casi più eclatanti di prove d’autore sul tema vampiresco, dove l’incontro della materia con la personalissima visione del cineasta ha spesso generato interessanti riletture dell’antica figura folcloristica.

Non deve quindi stupire la scelta di Jim Jarmusch di addentrarsi nel buio e di affrontare anch’esso il mostro, nonostante il più che concreto rischio di girare a vuoto, di incappare nella banalità, nell’errore, o peggio ancora nel ridicolo.
La notte del resto è un tema caro al regista americano, ad essa e alle sue creature ha persino dedicato un film come Night on Earth, storie di tassisti all’ultima corsa e dei loro passeggeri, e ha sempre avuto a cuore la sorte dei solitari, degli altri, di chi posa uno sguardo diverso e alieno sul mondo.

Only Lovers Left Alive è la storia di una coppia di vampiri, Adam e Eve, amanti secolari che conducono una relazione a distanza. Adam (Tom Hiddleston) vive a Detroit e si dedica unicamente alla sua musica, uscendo raramente dalla casa-studio di registrazione. Eve (Tilda Swinton) vive a Tangeri sommersa letteralmente dai libri e in compagnia del fedele amico Marlowe (John Hurt), il celebre poeta e drammaturgo inglese, vampiro a sua volta, con il quale si intrattiene in conversazioni sulla paternità delle opere shakespeariane. Quando Eve avverte che il suo adorato Adam si trova nel pieno di una delle sue cicliche crisi depressive, attraversa l’oceano per raggiungerlo e scacciare i demoni insieme. Tutto sembra risolversi per il meglio, la presenza dell’amata si conferma una cura ai dolori dell’artista-vampiro, fino a quando non entra in scena Ava (Mia Wasikowska), la selvaggia e incontrollabile sorella di Eve, che ricorderà loro quanto sia difficile sfuggire al richiamo del mondo e alla sete inestinguibile.

I vampiri di Jarmusch sono diversi dai loro predecessori cinematografici, si direbbe quasi che non siano dei nosferatu, se non fosse per quel bisogno incessante di sangue, che gestiscono per giunta con molta discrezione. Essi si parlano tramite video chat, possiedono iPhone, si spostano con macchine e aerei. Essi conoscono tutti i nomi latini delle piante, costruiscono impianti elettrici senza cavi secondo gli studi di Tesla, sono insomma dei sapienti ed eruditi, cultori della conoscenza e della bellezza del mondo, quasi a volerla preservare dall’azione erosiva e dall’incuria di quelli che Adam chiama sprezzante gli zombie, ovvero gli umani stessi.

Only-loversAl contrario dei mortali, infatti, che subiscono passivamente l’esistenza senza afferrarla o comprenderla, i vampiri esercitano una sorta di superiorità percettiva; essi sono ancora in grado di apprezzare ciò che i mortali non riescono più nemmeno a sentire: la bellezza malinconica di una corsa notturna in macchina tra i quartieri fatiscenti della periferia di Detroit, l’atmosfera di un teatro abbandonato, la perfezione del legno di una chitarra. La sensibilità dunque risulta essere il loro autentico potere, quella dote che rivela il meraviglioso in ogni piccolo tassello dell’esistente. Jarmusch li descrive infatti come instancabili collezionisti: Adam raccoglie strumenti musicali di ogni epoca, Eve conserva e divora libri da ogni parte del mondo. Chi colleziona, del resto, lo fa per ricostruire una storia, per ricostruire un dialogo con gli oggetti stessi, come in un discorso amoroso dove il possesso è un mezzo per la conoscenza. Non è quindi il sangue a tenerli in vita, esso è solo il sostentamento, la reificazione di ciò che davvero li rende più vivi dei mortali: la passione per il mondo.

Pellicola dalla struttura semplice e lineare, Only Lovers Left Alive è un film sostenuto perfettamente dal talento degli attori (in particolare la diafana e magnetica Tilda Swinton), da un’eccellente fotografia in grado di dare calore e densità alla notte, e da una ricca e sorprendente colonna sonora in cui si spazia dal rockabilly di Wanda Jackson al noise rock più distorto e ipnotico, passando per le conturbanti sonorità libanesi di Yasmin Hamdan: dopo aver ospitato musicisti del calibro di Tom Waits, Neil Young e Mulatu Astatke, le colonne sonore dei film di Jarmusch non smettono di sorprendere.

Il regista americano supera così la prova del vampiro, con grande personalità e senza perdere il proprio stile, riuscendo nell’impresa di dare nuovo respiro a una creatura vecchia quanto il cinema stesso.

Chi sarà il prossimo?

Only Lovers Left Alive (Germania, Regno Unito 2013, horror / drammatico 123′) di Jim Jarmusch; con Jeffrey Wright, John Hurt, Anton Yelchin, Mia Wasikowska, Tilda Swinton, Tom Hiddleston