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di Liea

Un fantomatico paese della Brianza, come ce ne sono tanti, nel quale la natura è stata progressivamente fagocitata dai villoni kitsch dei ricchi che fanno da contrasto al centro città invece ancora molto “borgo antico”: questo lo sfondo di una commedia amara come raramente se ne vedono in Italia. Virzì è uno di quei pochi registi che oggi sanno dosare il tragicomico sfumandolo con quella vena grottesca che sullo schermo pare esagerata, ma in realtà è pane quotidiano della nostra Italia alla deriva.

Così come già era successo in Caterina va in città anche ne Il capitale umano abbiamo a che fare con la pochezza umana dei ricchi di portafoglio: due famiglie più che benestanti sono “unite” dalla relazione, ben poco solida, dei figli adolescenti; uno dei due padri (Bentivoglio) cerca di sfruttare questo legame per entrare in società con l’altro (Gifuni), tipico emblema di quegli imprenditori furbetti che speculano sulle crisi economiche per gonfiarsi le tasche e che, come “sentenzia” il personaggio di Valeria Bruni-Tedeschi – che sta avendo una meritatissima primavera cinematografica – è uno di quei soggetti che scommette sulla rovina di un paese e vince. Perché quello che di tragicamente dis-umano emerge da questo film è la sicurezza di chi esce sempre in piedi e sempre vittorioso da qualsiasi misfatto e meschinità, a discapito dei “poveri cristi” che pagano per tutti: vuoi il cameriere che viene ucciso dal SUV e “sostituito” da un risarcimento calibrato sulla base del suo capitale umano, vuoi il giovane “drogato” che per questa ingiusta tara sociale paga una responsabilità relativamente ingiusta.

Virzì padroneggia con grande maestria la trama da thriller ispirata al testo di Amidon, soprattutto grazie ad un cast stellare: fatta eccezione per i due giovani protagonisti – che sembrano troppo spesso sopra le righe – erano necessari nomi quali Gigio Alberti, Lo Cascio, Golino, Fracassi e Bebo Storti per non rischiare il caricaturale e per gestire al meglio la delicata struttura che ricostruisce la trama attraverso spezzoni progressivi e passaggi incatenati.

Ci troviamo spaesati di fronte ad una storia nella quale non s’identificano chiaramente le vittime e i carnefici: tutti sembrano altro rispetto alle premesse iniziali, tranne i due padri, Gifuni e Bentivoglio, irritantemente bravi nell’interpretare la pruriginosa inflessione e l’urticante viscidume di quella certa Lombardia spocchiosa e arrivista.

Come diceva Kundera ne L’insostenibile leggerezza dell’essere la parola kitsch nasce nel romanticismo tedesco per significare letteralmente «la negazione assoluta della merda»: questi personaggi sono totalmente kitsch nella misura in cui navigano e sguazzano profondamente immersi in essa ma fanno di tutto per non vederla.

Il capitale umano
Un film di Paolo Virzì
Con: Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Gifuni, Valeria Golino, Fabrizio Bentivoglio, Luigi Lo Cascio, Giovanni Anzaldo, Gigio Alberti, Bebo Storti, Matilde Gioli, Guglielmo Pinelli, Pia Engleberth
Fotografia: Simon Beaufils
Sceneggiatura: Francesco Bruni
Musiche: Carlo Virzì
Durata 109 min
Produzione: italo-francese