de Falco

di Lorenzo Cardilli

Il soffio delle radici di Carla de Falco è un libro incalzante e pieno di colore. È la prima raccolta poetica pubblicata dall’autrice, per i tipi di Laura Capone Editore, con la prefazione di Simone Camassa: comprende una settantina di testi organizzati in quattro sezioni “tematiche” più un’appendice. Il primo impatto con la poesia della de Falco rivela una voce compatta e irruente, che senza timore s’impegna nella resa lirica di un’emotività variegata. Questa spregiudicatezza permette all’autrice di muoversi attraverso tecniche e stili diversi senza perdere il suo accento personale. La spinta verso il valore assoluto poetica, proclamato a gran voce con l’ingenuità tipica d’ogni esordio, s’incarna in testi che trasfigurano oggetti, paesaggi o situazioni, per fonderli nella fiamma del canto (è il titolo della terza sezione, dedicata alla poesia). «io intingo il pennello nell’essenza | nell’istante perfetto | senza vuoto. | e lo schizzo di significato | con dito fermo | come in una foto.» (nessuno pseudonimo ammesso, p. 63). L’entusiasmo per la poesia si percepisce nell’uso di stilemi letterari un po’ manierati, specialmente quando l’autrice si propone di descrivere lo stupore per il paesaggio (in genere la prima sezione, il soffio delle radici) o i paradossi del motivo erotico (come in promessa o restiamo amanti).

I risultati più interessanti si hanno invece quando la de Falco evita i passaggi obbligati, e asciuga i testi rendendoli più rapidi ed essenziali, costruiti con immagini «vispe come un graffio», per prendere in prestito una sua bella espressione (il graffio, p. 69). Vediamo ad esempio scatole da trasloco:

mi dicesti

lascerò che i tuoi tumulti
entrino nella mia vita
per fare quiete nella tua

così impacchettasti il mio tormento
in grandi scatoloni da trasloco.

per amare serve fare spazio.

(p. 50)

Il testo si distingue anche per l’originale intuizione tematica, sviluppata con uno stile sicuro e al riparo dagli eccessi dell’enfasi. Un altro interessante componimento breve è alla madre assente: in pochi versi concentra il dolore della scomparsa, la sofferenza della malattia e l’accenno a una maternità difficile, non solo in senso fisiologico. In genere l’autrice dà il meglio quando indaga i lati oscuri dell’esistenza, la condanna a «un eterno frontale con la sorte» (pressoché il nulla, p. 95). Per questo la sezione più riuscita è abissi per versi, che chiude il libro sulle note amare del disagio esistenziale e civile. Anche in questo caso i testi più interessanti sono quelli dove l’intuizione tematica conduce a un risultato compatto e poco convenzionale, come in il senso dell’attesa, in cui s’affronta la crudeltà del meccanismo psichico dell’attesa e il metodo per affrancarsi dal suo giogo. «ferocemente ho odiato | il deserto dell’attesa. | […] poi d’improvviso ho cominciato | a solcare il senso di vuoto | censurato dalla muraglia dell’io aspetto. | perché ho sbagliato e contraddetto il passo | perché al varo della bottiglia non ho franto | perché ho sfidato delle spume il salto | e sono andata sotto.» (p. 84). La sfida proposta è trasformare il «tumulto d’ansia» in «semplice orizzonte». L’orizzonte è un concetto chiave per la de Falco: è la garanzia di una direzione, di un approccio costruttivo all’esistenza. In verso il sole, dedicata a immaginare il futuro di una relazione amorosa, si augura di non smarrire l’orizzonte nel rimpianto del passato: «e non celebreremo i giorni delle fotografie | sempre troppo più luminosi nel ricordo. || guarderemo avanti insieme | dritto verso il sole» (p. 48).

Nei testi più riusciti emerge un tono sussiegoso e leggermente perentorio: è il segno di un’ironia amara, che favorisce il distacco e la riflessione (si vedano ad esempio pressoché il nulla, il cadavere di europa o la passante).

Il soffio delle radici è un esordio poetico che apre degli “orizzonti”: quando l’autrice neutralizza la maniera e costruisce testi seguendo spunti tematici originali, mostra d’avere il dono di una vena poetica ricca e spigliata. Coltivando una musicalità a tratti ancora acerba e calibrando il dosaggio degli ingredienti, potrà concepire testi di grande forza. Come la poesia dedicata ad Artabano, il quarto re magio che manca l’appuntamento di Betlemme per essersi fermato lungo la strada ad aiutare i bisognosi. In essa l’emozione poetica brucia completamente e viene assorbita nell’immagine: attraverso questa “alchimia” dello stile si ottiene un’amplificazione imponderabile delle possibilità creative.

E mi piace immaginare
fossero stati in quattro
a rompere l’incanto
di quel numero perfetto.

E che nel suo cammino
egli si sia fermato
stanco, distratto
e forse un po’ svogliato.

Che non abbia puntato
dritto al suo traguardo
ma lo sguardo abbia voltato
sull’uomo indietro e a lato.
Che al cammino della stella
nel silenzio indicato
abbia scelto di abiurare.

Rimanendo ultimo forse.
Certo, il solo a non tradire.

(p. 106)

C. de Falco, Il soffio delle radici, Milano, Laura Capone Editore, 2012, 10.