di Francesca Salamino

A vederlo potrebbe quasi sembrare un manualetto per gli amanti della scrittura creativa. O meglio, per gli apprendisti scrittori creativi. Eppure, già nel titolo, quest’ultimo libro dello scrittore e traduttore Francesco Pacifico, Seminario sui luoghi comuni. Imparare a scrivere (e a leggere) con i classici, c’è quella parentesi che racchiude quasi tutto il significato del suo insegnamento.
Con questo saggio dallo stile agile, l’autore ha dato una risposta, a suo modo definitiva, a dubbi che erroneamente spesso si considerano irrisolti e irrisolvibili, e che si potrebbero riassumere in una unica, ma tutt’altro che semplice, domanda: si può imparare a scrivere? 

In effetti, non è immediato nutrire fiducia in quei corsi estivi creati apposta per insegnare a sviluppare la propria potenzialità artistica. Nemmeno quando tali corsi diventano annuali e portano la firma di Baricco.
Ma non per chissà quale presunzione o convinzione, tali per cui la capacità di fornire un punto di vista sul mondo tramite la propria penna sia data da un dono puramente innato e bene per chi lo possiede, poco male per tutti gli altri. Anzi, questi insegnamenti hanno un’utilità forse considerata secondaria: quella di dichiarare che una determinata inclinazione artistica, affinché diventi proficua, va coltivata. Il punto è che quasi mai si comprende come.

Pertanto, l’arte dello scrivere è sì, data da un dono, ma questo dono necessita di una preparazione non tanto rivolta alle tecniche di scrittura, quando all’utilizzo di tali tecniche: qualsiasi esse siano. È una piccola sfumatura ed è esattamente qui che l’autore del Seminario innesca il proprio meccanismo.

«[…] mi sono fatto l’idea che la scrittura non sia una disciplina di cui si apprendono le regole; che insomma non esista lo «storytelling» o la «struttura del racconto». Sono ovviamente due affermazioni ridicole, false e soprattutto molto retoriche. Le tengo per buone perché mi portano un vantaggio: mi fanno concentrare sulle cose espresse bene invece che sulle regole dell’espressione» (pag. 12).

Anche l’autore, quindi, mentre sembra affermare la non necessità di regole o linee-guida per la buona scrittura, riconosce l’inevitabile confronto con esse, anche solo per distanziarsene. E distanziarsene sarà utile, quanto meno, a non farsi rapire dalla costruzione razionale a tutti i costi.

La soluzione migliore sarà allora, più che andare alla ricerca di segreti epifanici, considerare la scrittura «come uno strumento musicale di legno. […] Devi fabbricarti lo strumento da solo, con il legno giusto, andandotelo a cercare nei boschi della grande letteratura» (pag. 12): ecco la risposta.
Ed ecco che, leggendo il libro, si compie un itinerario nei luoghi anche meno noti della più buona letteratura. Buona in tutti i sensi: letteratura di qualità (abbiamo un Gogol presentato, a pagina 16, come l’autore del «miglior incipit del mondo», quello di “Prospettiva Nevskij” dei Racconti di Pietroburgo); letteratura dei personaggi irresistibili (come il Pnin di Nabokov: non forzatamente originale ma «a un passo dai luoghi comuni» di cui sfrutta «l’aura senza farsi sopraffare», pag. 25); letteratura responsabile («[…] la prosa si fa con le parole e le parole sembrano sempre portare con sé un bisogno di responsabilità, un qualcosa di terra terra che non ammette eccessivi voli pindarici», pag. 60).

Non si vorrebbe fare qui ciò che già si evita nel saggio: dare delle dritte. Per questo motivo sarà superfluo riportare i passi illustri, con gli illustri commenti di Pacifico, che nel testo si possono godere. Basti avere presente che per imparare a scrivere bisogna prima imparare a leggere.
Un tema oggi particolarmente caldo, vista l’inarrestabile urgenza di scrivere tutta contemporanea, e la tanto lamentata assenza del leggere: quell’essere disposti a decretare col proprio insindacabile giudizio l’orientamento culturale di un tempo storico. Questo libro ci insegna, se ancora non fosse pacifico (si perdoni il gioco di parole), che leggere è il primo passo verso la padronanza delle tanto agognate tecniche di scrittura.

Cosa leggere? La risposta è sicura: i classici, perché «un classico è un libro che non smette mai di lasciarsi saccheggiare» (pag. 12). E l’invito a leggere questo saggio si fa qui ancor più caldo: i classici di cui si parla sono tutt’altro che prevedibili.
L’autore racconta della sua passione per la copiatura di passi di romanzi particolarmente amati e che, anche da questa, sia poi nata la rubrica «Seminario sui luoghi comuni» all’interno di minima & moralia, il blog di Minimum Fax. Si tratta di uno tra i modi possibili per tenere con sé qualcosa che appartiene a un grande scrittore il quale, senza alcun dubbio, ci lascerà così qualcosa della sua arte.

Allora, prima di tentare in ogni modo il superamento del blocco dello scrittore di fronte alla pagina bianca, sarà necessario conquistare lo spazio del buon lettore, in un rapporto con i grandi che si consumi il più possibile, poiché:

«Il rischio di un rapporto con i grandi maestri in cui non si approfitta delle continue riletture per misurare le nostre penose insufficienza intellettuali e creative è che invece di semplici scrittori inesperti finiamo col diventare come giocatori di Guitar Hero che si dimenano con la finta chitarra elettrica semiconvinti che dalle loro dita venga la magia della chitarra di Keith Richards» (pag. 51-52).

F. Pacifico, Seminario sui luoghi comuni. Imparare a scrivere (e a leggere) con i classici, Roma, Minimum Fax, 2012, p. 233, € 10