Quali sono i cinque film più interessanti dell’anno?
Il 2017 non si può dire sia stato un anno entusiasmante per il cinema, ma non segna neanche il tanto profetizzato sorpasso della serialità televisiva. La rivelazione infatti arriva da una forza (artistica) del passato, che mette proprio in discussione questa contrapposizione. Ma andiamo per ordine. Ho voluto selezionare i cinque film non in base a una mera classifica di valore, ma alla loro rilevanza, in base cioè a quanto hanno incarnato lo spirito di una stagione, facendo affiorare due temi in particolare: il tempo e lo spazio.

Twin Peaks The Return

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25 anni dopo e non sentirli. Anzi, cancellarli con un colpo di spugna, rimescolando il dna di tutte le serie televisive. Il nuovo capitolo di Twin Peaks sbaraglia la concorrenza perché semplicemente gioca in un’altra categoria estetica. David Lynch riesce per la seconda volta a dissolvere i confini di genere, umiliando la “scandalosa” contemporaneità di un prodotto come Game of Thrones, andato in onda nello stesso periodo. Assistere ai due show a breve distanza temporale produceva lo stesso effetto di passare dalla lettura dell’Ulisse di Joyce a quella di Ivanhoe. Secoli di sperimentazione e di audacia li separano, eppure l’opera incendiaria è di un simpatico settantenne del Missoula. Lo scenario di Twin Peaks esplode in mille pezzi, rifrangendo la propria misteriosa luce su uno scacchiere più grande: Las vegas, New York, Nuovo Messico, Odessa. Il tempo si fa elastico e ci porta alle origini del Bene e del Male: Bob, la Loggia Nera e Bianca, tutto condensato in quell’ineffabile ottavo episodio da ustione della retina. L’agente Cooper si sdoppia, sviluppando due storie parallele che solo dopo un tortuoso disegno torneranno a ricongiungersi, come in un viaggio omerico. Un film di 18 ore da rivedere all’infinito.

The Square

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Il vincitore della Palma d’Oro all’ultima edizione del festival di Cannes è una vera sorpresa. La storia è quella del curatore di un nuovo museo di arte contemporanea a Stoccolma. Tra pose da elegante filantropo e velleità radical chic, allestisce una mostra che intende scardinare le barriere di classe e l’incomunicabilità tra gli uomini. The Square è il simbolo della mostra: un quadrato posto nella piazza antistante il museo, un ideale luogo in cui si è liberi da pregiudizi e dove ognuno ha uguali diritti e doveri. Il progetto si rivela, come previsto, l’ennesimo innocuo esercizio di stile di un sistema culturale del tutto incapace di comprendere la realtà. Quando gli spazi verranno veramente invasi – il furto di un portafoglio o un artista-scimpanzé che scatena il panico alla festa di apertura – gli schemi salteranno e nulla sarà come prima. Il film sembra girato da un Haneke addolcito dagli anni: una cavalcata cinica verso la catastrofe, ma proprio quando gli angeli sterminatori stanno per entrare, tutto si quieta. Opera non senza difetti, ma di certo una delle più ispirate, in particolare nella sequenza dell’artista/scimpanzé: minuti da brivido.

Dunkirk

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Folgorato fin dalle prime sequenze, scrissi che questo film consacrava definitivamente Nolan come cineasta più influente del ventunesimo secolo. A mesi di distanza dalla visione ne sono ancora convinto. Non solo per l’indiscutibile qualità delle immagini, ma per la scelta rischiosa di cimentarsi con un genere, quello bellico, che altri grandi registi hanno affrontato rovinando miseramente nel fallimento. Si trattava di un vero esame, e lo ha superato con sicurezza e personalità, scivolando forse solo in un perdonabile eccesso di retorica. La seconda guerra mondiale si trasforma in un laboratorio cinematografico per riscoprire i suoi elementi fondativi: tempo e movimento. I dialoghi sono ridotti all’essenziale, la scena è una lanterna magica che immerge lo spettatore nel vivo dell’azione meglio di qualunque supporto virtuale. Hans Zimmer confeziona il tutto con la sua musica a orologeria. Capolavoro.

IT

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Chiariamo subito un punto: il film diretto da Andrés Muschietti non meriterebbe di entrare nella cinquina. Ma si tratta di uno dei rari casi in cui una trasposizione cinematografica di un’opera di Stephen King funzioni. E quando questo accade, è blockbuster assicurato, fenomeno istantaneo. E dire che l’operazione aveva avuto alcuni pesanti intoppi, come la decisione di Cary Fukunaga, di abbandonare la regia e, trattandosi di una delle opere di King più iconiche ma anche tra le più delicate da trasporre in immagini, ci si attendeva un tremendo tonfo. Aggiungiamoci pure lo sterile – e insensato – confronto con la versione televisiva degli anni novanta con l’istrionico Tim Curry e il progetto IT sembrava non avere speranze. Invece Muschietti trova in Bill Skarsgård un clown omicida che sorprende per sinistre movenze alla Nosferatu e si rivela un regista con una sua ben definita cifra stilistica. L’horror puro viene contaminato dal genere avventura, sterzando verso atmosfere da Stranger Things ma senza facili scimmiottamenti. Alcune trovate sorprendono per originalità e nulla sembra forzato. L’attesa per il secondo episodio, con i protagonisti 30 anni dopo, è ora alle stelle. Nel frattempo Bill Skarsgård è finito per essere il quinto attore più ricercato su Google a livello globale. Hanno vinto tutti.

A ghost story

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David Lowery è un giovane regista nato negli anni 80. Rooney Mara e Casey Affleck due tra i più talentuosi attori di Hollywood. La pellicola si candida per essere un cult indie per gli anni a venire, ma oltre la patina da film stiloso c’è molto altro. Questa storia di fantasmi che prende le mosse da A Haunted House di Virginia Woolf non è affatto un film dell’orrore, bensì una riflessione sul tempo, sull’evanescenza dei ricordi e sull’illusione che le cose persistano. Una coppia vive in una casa nell’infinita periferia americana. Lei vorrebbe trasferirsi, lui invece sente che qualcosa lo lega a quelle quattro mura. L’uomo muore in un incidente e torna a casa da fantasma, con tanto di lenzuolo e buchi per gli occhi. Assistiamo così al passare del tempo, osservatori impotenti come il fantasma del dolore inconsolabile della donna. La osserviamo scavare col cucchiaio la torta lasciatale da un’amica, trangugiarla tutta a fatica e vomitarla in bagno: una sequenza infinita che racchiude in senso della pellicola. Il tempo poi accelera, sono passati mesi, forse anni, lei mette tutto nelle scatole e lascia la casa. Il fantasma invece resta, legato a quello spazio e a un tempo che non c’è più, nell’attesa infinita di lei. Ci sono forti richiami al cinema di Terrence Malick, in particolare in un certo afflato cosmico che ricorda The Tree of Life. Morale del film? Nessuno vuole essere dimenticato.