La_scuola_di_Atene1

di Paolo Caloni

L’Italia delle eccellenze è ovunque. Un Paese in crisi, fra mille problemi che si trascinano da decenni: un Paese che ne contiene (almeno) un altro assetato di risorse economiche e diritti; un Paese che vanta record poco invidiabili in molti campi, rimane un Paese che ha offerto alle proprie eccellenze un’isola eccellente, abitata da persone eccellenti e lì le ha lasciate. Sono principalmente santi, poeti e navigatori ma da qualche anno si sono aggiunti anche i filosofi, da sempre in crisi d’identità: i filosofi eccellenti che esercitano i loro sforzi intellettivi nelle università d’eccellenza (di solito private).

La loro eccellenza si manifesta al volgo con la pubblicazione quasi settimanale di ponderosi testi sui massimi problemi dell’esistenza. Testi talmente fondamentali per le sorti del pensiero contemporaneo che potete trovarli per abbeverarvi alla loro fonte inesauribile anche nei più forniti autogrill delle autostrade italiche.

Vale la pena di fornire una breve rassegna di questi uomini e donne eccellenti che istruiscono le masse con la luce del loro eccellente intelletto.
Vorrei partire da un caso clamoroso che seppur di giovane età può vantare una quantità di pubblicazioni prossima al numero di manoscritti inediti dell’Archivio Husserl a Lovanio. D. Sarofu comincia la sua carriera universitaria ancora prima di aver emesso i primi vagiti: il primo incarico degno di nota è la chiamata dal Cremlino per dare finalmente una degna chiusura e sepoltura alla MEGA, l’edizione completa delle opere di Marx ed Engels. Dopo pochi mesi cominciano le conferenze, poi, i primi scritti, già sorprendentemente maturi, pubblicati da una nota casa editrice: ne consegue l’immediata ele(va)zione, a furor di popolo, al comitato direttivo delle collane filosofiche della medesima, in barba a tutti i ricercatori che agonizzano nei dipartimenti. Marx, Heidegger, Marx (MHM) diventa il nuovo mantra per milioni di italiani e migliaia di giovani studenti; nelle librerie i volumi si moltiplicano – anche se non è chiaro se vadano venduti – ma il punto è che si impone un nuovo intellettuale, il volto umano e pulito di una disciplina che da tempo – e forse con ragione – aveva fatto del ribrezzo nei confronti dell’umanità il proprio perno. Il suo ultimo libro, che è allo stesso tempo tesi di dottorato, abilitazione all’insegnamento, analisi severa delle storture del liberal-nazismo (come ora va di moda fare, alla faccia di Salvemini ed Einaudi), panacea per i mali del mondo e direttiva ministeriale, è intitolato Marx vive in me. La Legge del capitale e la Grazia del vecchio barbuto adattato ai tempi che corrono e riprende il formato inossidabile della confessione agostiniana.
Ma questo è solo un esempio e, come tutti gli esempi, lascia il tempo che trova, come le sue opere sugli scaffali.

Passiamo ad autori accademicamente già affermati. M. Na’Do completa la propria formazione filosofica suonando la dilruba (antico strumento indiano) in un gruppo di jazzisti in cerca di fortuna. Da uomo di pensiero pubblica profonde opere sul senso della musica, su Hegel, su cose-mezze-cristiane-ma-non-troppo, su amenità rassicuranti con una spruzzata di Heidegger qua e là. Insieme al complesso di cui fa parte, propone invece conferenze e dischi (di cui l’apprezzamento è ignoto) durante i quali i suoi immensi pensieri sono soffocati dai compagni musicisti, che pieni di pietà, suonano per lo più riff trash metal. Ricordiamo per dovere di cronaca un paio di titoli: l’apparentemente modesto La verità del tempo. Riflessione sulla recente moda di personificare i fenomeni atmosferici. Ritorno al paganesimo? e il più fortunato Magia, serenità e filosofia. Uno sguardo frivolo e superficiale.

Ancora più notevole è il caso di M. Rarrisfe. Poiché noto e apprezzato filosofo di fama, collabora con numeri giornali e settimanali dove espone in modo easy friendly le proprie speculazioni filosofiche, riuscendo nella difficile impresa di rendere banali, e quindi errati – ma godibili e divertenti – filosofemi millenari. Abbandonate le riviste specializzate, il nostro ha trovato nelle rubriche settimanali delle principali riviste femminili la propria koiné ideale. Fra i problemi di educazione dei figli, lo stress causato dal cambio di stagione e sotto raffinatissime immagini tratte dalla vita comune, abilmente Rarrisfe insegna ed enuncia grandi verità: le cose esistono indipendentemente da noi, quindi la bolletta la devi pagare anche se non ti va; la realtà è ciò che lascia tracce scritte,ma se perdi la password ti arrangi; e contro la vulgata imperante, Heidegger non era nazista, anche se era abbonato a Frau, celeberrimo settimanale per donne ariane durante il Reich. Ricordiamo l’ultimo libro che sta già scatenando una mole di dibattiti a livello provinciale: Cosa fa la dif-ferenza? Perché prendere appuntamento dal parrucchiere al sabato resiste alle nostre categorie interpretative ovvero perché il registro non mente mai preceduto dall’altrettanto discusso, seppur più rigoroso nell’analisi filosofica, Derrida esiste. Tu mandami una cartolina che raccoglie anni di attente e illuminanti risposte tratte dal settimanale ELLA.

Non lontano si situa un altro decano della filosofia italiana, che davvero gode di fama internazionale soprattutto grazie alla fornitura di libri per le sale d’attesa dei dentisti di tutto il mondo. G. Mottiva vanta una carriera di tutto rispetto: dai giovanili interessi per Nietzsche e Heidegger è approdato a profonde elucubrazioni su Heidegger e Nietzsche passando attraverso il rigoroso viatico del Partito (indovine quale?) e del Cristianesimo. Teorico del cosiddetto «Nun ze pò fà Pensiero», Mottiva ha dato l’avvio a un filone di pensatori che hanno fatto del vituperio della filosofia il loro vessillo comune. Il suo costante impegno scientifico ha trovato anche un’importante realizzazione nell’esercizio pubblico in partiti nazionali (di quelli che hanno visto nel rinnovamento culturale o nel lustro della lingua italiana la loro battaglia) e a livello europeo, dove si è distinto per l’anonimia del suo operato. Ma d’altronde sappiamo che la politica europea, per gli italiani, è il cimitero degli elefanti e forse le premesse del pensiero fiacco non sono poi così adatte allo svolgimento di un’azione politica di lungo corso. Per i possibili interessati ricordiamo le opere decisive: Disavventure differenti. Le mie vacanze in Thailandia; Il comunismo crocifisso. Nietzsche al Parlamento europeo; L’albero di Porfirio e il pensiero debilitato. Riflessioni sul giardinaggio.

Il decano dei decani, il professore dei professori, ille Philosophus come in passato sarebbe stato nominato è però E. Nirovese. Dal primo dopoguerra all’ultimo articolo dell’altro ieri su un quotidiano, Nirovese ha perfettamente delineato quale sia il problema della nostra parte di mondo (ovviamente l’unica che ascende a problema filosofico) e soprattutto quale sia il difetto della soluzione che è stata data a questo problema. L’unica soluzione vera e definitiva è quella che il filosofo ci propone: l’essere è, il non essere non è. E siamo folli a credere che le cose divengano: in realtà esse emergono dall’eterno e scompaiono nell’eterno mentre eternamente stanno in fila alle poste – come tutti gli altri. Una vita accademica travagliata, allontanato da importanti istituzioni per l’incompatibilità del suo pensiero con la percezione del mondo secondo il DNS, Nirovese oggi è una delle voci filosofiche più studiate e amate. Paragoni altisonanti lo equiparano a Heidegger per l’importanza, dobbiamo dirlo, epocale del suo pensiero, tanto da trovare grande spazio in iniziative culturali di ogni genere e specie. Il suo pensiero è celebrato da uscite settimanali che vanno indifferentemente dalle trenta alle settecento pagine per le più avanguardistiche e raffinate case editrici. Infatti, la sua prosa tesa ed esatta insieme al suo linguaggio crepuscolare riescono a tenere insieme una potente teoria che va da Sofocle a Heidegger, passando per Platone, Aristotele, Cartesio, Kant, Fichte, Hegel, Nietzsche (insomma, i soliti) giungendo ad un unico risultato: solo Leopardi aveva capito come stessero davvero le cose. Quel che stupisce è la costanza del suo pensiero che, non trovando oppositori altrettanto geniali, può riproporsi identico in tutte le occasioni di intervento: la disputa sul confine fra Uzbekistan e Kirghizistan, la seconda guerra mondiale, l’uscita del nuovo gadget tecnologico (ah tecnica, quanti brutti scherzi!), l’ennesimo intervento inconcludente del Papa, la pubblicazione della nuova guida ai vini d’Italia. Dopo decenni di ascesa filosofica e nonostante la profonda critica al principio d’identità, il nostro pubblica ancora il suo testo del 1960 cambiandogli il titolo nei suggestivi: Glorificazione; La Trinità ed io (autobiografia); Prima e dopo Nietzsche ci sono sempre io; Il destino dell’Occidente è Varazze; Glosse marginali al Cristianesimo. Ovvero, non ci vuole un genio per capire che si è venduto a Mammona.

Insomma, l’Italia delle eccellenze non fa mancare il suo apporto alla lenta ripresa culturale, sociale ed economica del Paese. Libri e libri, edizioni eccellenti, articoli rari ma acutissimi che infilano la loro lama affilata là dove c’è la carne viva del pensiero a vantaggio di una sempre più elevata consapevolezza di tutti noi: portare avanti il gravoso ma glorioso pensiero della vecchia Europa senza alcun beneficio per la disastrosa istituzione universitaria italiana, dev’essere una responsabilità che solo in pochi possono sopportare. L’Occidente tramonta in tutti i sensi, la storia si muove verso altri lidi, l’Italia degli eccellenti ce lo dice da diverso tempo, a noi che forse viviamo più di ogni altro la crisi dell’emisfero libero proprio grazie a loro. In questo oceano di mestizia un po’ rancorosa e di brillante prosa decostruzionistica, un dato rimane costante: non ci libereremo presto di Heidegger finché continuerà a far vendere.

Là dove aumenta la crisi (del pensiero), Heidegger salva.