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Costruirsi, punto per punto: “La confezionista”, di Mariana Leky

«A volte quello che pensiamo noi […] non ha la minima rilevanza nel determinare se qualcosa debba infrangersi o meno.» La confezionista, Mariana Leky.

Katja e Jakob sono una pessima coppia, brutta da manuale: lei pianifica, lui spariglia; lei arreda casa, lui monta una tenda; lei sogna weekend fuori porta instagrammabili, lui la giungla, il ghiaccio perenne, la savana, avventure in fricassea. Katja fa la traduttrice per un’agenzia, Jakob esercita la più insospettabile delle professioni: il dentista. È sulla sua poltroncina reclinabile, bella incellofanata, che i due si conoscono. Preconizzazione del dolore, riflette Katja: l’unica cosa su cui puoi sperare, immobilizzata con quegli arpioni rotanti in bocca, è che finisca presto. In un certo senso, questo è universalmente vero. Katja, però, non sa ancora quanto.

Succede quando si sposa con Jakob, e l’amore, dopo un po’, si fa fiacco. Quando la stupida statua di un fenicottero rosa, dono di nozze della zia, smette di essere divertente e comincia a diventare minacciosa. Quando la razionalmente inspiegabile scomparsa di Jakob rende impossibile fare i conti con quello che il marito ha lasciato dietro di sé.

La confezionista di Mariana Leky, portato in Italia da Keller Editore nel 2022 e tradotto dal tedesco da Scilla Forti, è un libro che in mano cade proprio bene, che sobilla a prolungare la lettura oltre l’orario consentito. L’osservazione è di prima mano: mi ci metto in un pacifico post-pranzo natalizio, e trovarsi catapultati tra caramelle e studi dentistici immediatamente dopo il pasto più luculliano dell’anno, be’, è un’esperienza per cuori forti. Premonizioni infauste a parte, però, la scelta si è rivelata azzeccata. Sotto-sotto, credo di essere davanti a un tipico esempio di “Libro di Natale”. Potrebbe essere un condizionamento automatico, me ne rendo conto; anche se, credo, l’osservazione è meno estemporanea di quanto potrebbe sembrare. Alla fine, il film di Natale non è, in primis, quello che guardi a Natale? Che ne so, Alien? Seguitemi. Vediamo se riesco a spiegarmi meglio. Perché la storia di Katja è solo appena cominciata.

Per la precisione, gli sviluppi si diramano sulla linea di due apparizioni. La prima, quella del Professor Blank, ex-docente universitario sulla sessantina, vestito di tutto punto e dalle maniere impeccabili, il quale, però, è letteralmente il fantasma di sé stesso. Blank, infatti, è morto, e incontra Katja per caso, mentre cercava di fare visita alla moglie, questa ancora in vita, che abita proprio vicino alla protagonista. La seconda, quella di Armin, un ragazzone che afferma di essere un pompiere il quale, un giorno, bussa alla porta di Katja dicendo di aver ricevuto la segnalazione di un incendio proprio in quell’appartamento. Entrambe le presenze diventano presto una costante della quotidianità di Katja, che si ripopola dalla solitudine in cui era piombata, e per le pillole di dolce saggezza dispensate da Blank, e per la scomoda irruenza di Armin, che la inchioda per ore a parlare di karate e film di arti marziali, specie quelli in cui un certo attore americano, Ralph McQuincey, interpreta il protagonista.

Passo dopo passo, Leky conduce così dentro i confini di un mondo di fiaba, dove gli avvenimenti sono semplicemente accettati e la sospensione dell’incredulità è totale e indeterminata nel tempo, con buona pace di Samuel T. Coleridge. Fiaba che, non a caso, è sempre cara alla tradizione germanofona da cui l’autrice scrive: che si tratti di spaventosi coboldi giunti per insegnare una lezione ai piccoli birbanti o stati di presenza allucinati, in cui i piani del sogno e del reale si fondono senza soluzione di continuità, poco importa. Basta che, come già indicavano i teorici romantici della letteratura, tutto sia sotteso da un sottile velo di ironia, artificio retorico che spalanca mondi, li arricchisce, li compenetra, e che, in ultima analisi, permette al lettore, vero alieno della situazione, di accettare qualsiasi cosa gli venga parata davanti. E, attenzione, opinione controversa in arrivo: chi scrive crede fermamente che non ci sia lingua più adatta all’ironia del tedesco, pronunciata sempre a mezza voce ma con espressione intensa, pronta a cambiare il giro della frase con una particella alla fine del periodo. Nell’italiano, a volte – e questo va a merito della traduttrice –, sembra una commedia dell’assurdo, ma non quello sbracato, no, un assurdo silenzioso. Ed è con questo tono sottile che parla La confezionista, e che aggancia, senza possibilità di rescissione, alla scoperta di un modello di narrativa pop ma suadente, troppo spesso estraneo alla tradizione italiana contemporanea. È qui che sta, a conti fatti, tutto il senso del “confezionare”: punto dopo punto, attaccare i pezzi della stoffa, sì, ma farlo su misura. L’amore è il tessuto scelto da Leky, la manifestazione, l’urgenza dissimulata, quando il mondo sembra aver scelto queste spalle, già, proprio le nostre, per collassare, e il futuro si stende davanti come un lusso inutile, avete presente i vestiti haute couture? Ecco. Leky scrive per rompere la vetrina, arraffare il bottino e tornarsene a casa soddisfatti, almeno una volta, almeno dopo il pranzo di Natale, quando la digestione invoca la palingenesi del cosmo. Non tutto è perduto. Mai niente lo sarà.

Questo il senso, dunque, in cui La confezionista è un libro per le feste, o meglio, per come le feste dovrebbero essere: una gradita, e bisbigliata, pausa dal reale, per concedersi il lusso di ritrovare l’amore che si è perso di vista. O, perché no, decidere che il regalo brutto che la zia di terzo grado vi ha fatto quattro anni fa può anche essere cestinato. Fate finta che io non vi abbia detto nulla. Ma ora, come direbbero al termine di un servizio religioso, gli avvisi. La confezionista non è l’esordio di Leky. A quella funzione ha sopperito Quel che si vede da qui, uscito in Germania nel 2017 e rimasto per settimane ai primi posti della classifica dei libri più venduti (anche quello, peraltro, in catalogo a Keller per la versione italiana, anche quello tradotto da Scilla Forti). Ora, il primo romanzo di Leky è diventato un film, girato da Aaron Lehmann e di prossima distribuzione. Si promette realismo magico, un paese di squinternati, e un rapporto lugubre e dissacrante al punto giusto con la morte. C’è qualcosa che si potrebbe volere di più?


Mariana Leky, La confezionista, Keller 2022, €16,50.