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Ontogenesi della melancolia. Note su “Melancolia” di Mircea Cărtărescu

Spesso, quando un grande autore porta a termine un lavoro di ampie dimensioni letterarie, si rimane con una domanda inevitabile su quale possa essere il suo prossimo progetto. Per i lettori di Mircea Cărtărescu tale sensazione è sicuramente nota. Dopo la pubblicazione della traduzione italiana di Solenoide per i tipi de Il Saggiatore nel 2021, in molti si domandarono cosa sarebbe venuto dopo un romanzo di tale vastità onnicomprensiva. Giunti all’autunno del 2022, la domanda trova finalmente una risposta con la pubblicazione per La Nave di Teseo di Melancolia nella traduzione di Bruno Mazzoni, storica voce italiana di Cărtărescu.

Melancolia è un libro profondamente diverso rispetto a Solenoide. Innanzitutto nella forma complessiva dell’opera, trattandosi di una raccolta di racconti, nonché di un lavoro di dimensioni relativamente ridotte, quando invece Solenoide si configurava come un enorme romanzo-mostro, denso e universale, di oltre novecento pagine. Se è vero che i contenuti di Melancolia hanno molti punti in comune sia con il romanzo precedente, sia in generale con la poetica di Cărtărescu, va detto subito che anche dal punto di vista stilistico l’autore sembra voler evitare l’esplosività e l’onnicomprensività del libro precedente, scegliendo un tono del discorso più intimistico e soffuso, senza tuttavia precludere quella visionarietà sognante che è tra i tratti più caratteristici della sua scrittura.

La struttura della raccolta si fonda su un gruppo centrale di tre racconti lunghi, intitolati rispettivamente I ponti, Le volpi e Le pelli. Questo trittico, altamente coerente per aspetti formali e contenutistici, è incorniciato da un Prologo, intitolato La danza, e un Epilogo, La prigione. Melancolia è un libro sottilmente complesso, molto articolato nelle sue tematiche. Per riuscire ad analizzarlo, si rende necessario trovare dei punti focali, dei temi fondanti ai quali ricondurre i vari elementi che compaiono intrecciati nella narrazione di Cărtărescu. Nel nostro caso ci muoveremo sulla base di tre serie semantiche, ognuna a sua volta composta da tre termini. Tre fili conduttori, che abbracciano vari elementi ricorrenti non solo all’interno dei racconti di Melancolia ma addirittura nell’intera produzione dell’autore.

I. Visione – Sogno – Poesia

La prima serie semantica ci dà l’occasione di introdurre l’argomento dei racconti principali di Melancolia. Il primo di essi (I ponti) ha per protagonista un bambino di cinque anni. Quando viene lasciato da solo a casa dalla madre, uscita a fare la spesa, il tempo si dilata. Giorni e notti, mesi e stagioni sembrano succedersi rapidamente, mentre il bimbo esplora la casa e comincia a sentirsi sempre più abbandonato. Finché di notte non scopre l’esistenza dei ponti, che dai balconi di casa lo conducono in posti lontani della città.

Protagonista del secondo racconto (Le volpi) è invece Marcel, bambino di otto anni che vive in un rapporto di simbiosi con la sorellina più piccola, Isabel. I due condividono un mondo di giochi e di storie. Tra questi giochi, il preferito è quello delle volpi: i due bambini di notte si fingono due coniglietti, nascosti in una tana di lenzuola al riparo dalle temibili volpi che li circondano e contro cui Marcel finge di battersi. La simbiosi dei due fratelli tuttavia si spezza quando Isabel si ammala gravemente. A quel punto, il gioco delle volpi diviene terribilmente serio, poiché nell’immaginazione di Marcel la salvezza della sorella dipenderà proprio dalla lotta impari con l’enigmatica e terrificante visione della volpe, figura con le fattezze di un ragazzino ma con gli occhi «che non erano occhi di un essere umano».

Il terzo racconto (Le pelli) è il più lungo della raccolta. Ha per protagonista Ivan, ragazzino di quindici anni, che come tutti i ragazzi e gli uomini del suo mondo fa la muta della propria pelle quando essa è diventata vecchia. Le pelli del passato lui le conserva in un armadio, appese, così come suo padre le nasconde in una valigia. Nessun maschio tuttavia ha mai sentito di una donna che cambi pelle. Oltre a questo, Ivan si sente l’uomo più solo del mondo. Percorre ogni giorno la stessa strada per andare da casa al liceo, passando davanti alla statua del poeta Vasile Singurătate. È proprio su questa strada che vede per la prima volta Dora. Lentamente i due si conoscono e si innamorano, fino a quando lei chiede a Ivan di vedere una delle sue pelli.

La realtà e la visione costituiscono un binomio perenne non soltanto in Melancolia, ma in tutta l’opera di Mircea Cărtărescu. In tutti e tre i racconti centrali, elementi onirici e visionari sono costantemente presenti a dialogare con la realtà. Nel primo la visione trova la sua concretizzazione proprio nell’idea stessa dei “ponti” che danno il titolo al racconto. Architetture aeree, i ponti si manifestano di notte come vie che collegano la casa del bambino con luoghi conosciuti – la fabbrica viene vista quotidianamente dal protagonista dalle finestre di casa, mentre i magazzini Concordia sono oggetto di piacevoli ricordi con la madre – che tuttavia nelle visioni del bambino diventano altamente simbolici. I ponti sono vie di fuga dalla realtà della casa, a cui invece sono dedicati i lunghi paragrafi iniziali in cui il bambino esplora l’ambiente circostante. L’elemento della visione è inoltre presente anche nel secondo racconto, il più enigmatico forse proprio per la lettura fantastica che il protagonista Marcel dà di tutto il reale.

Ma è soprattutto in Le pelli che vediamo l’allucinazione cărtăreschiana al suo stato più puro. Il lungo episodio onirico del viaggio di Ivan negli abissi sottostanti alla statua di Vasile Singurătate, alla scoperta delle tombe dei poeti, costituisce uno dei punti di svolta del racconto, così come la visione finale della metamorfosi di Dora costituirà il momento cardine del passaggio dall’infanzia alla vita adulta del protagonista. La visione ha un ruolo sempre fondamentale nell’estetica di Cărtărescu. Essa è primariamente una fuga dalla prigione della realtà, che non a caso sarà evocata nell’epilogo della raccolta, intitolato appunto La prigione. È inoltre parte di un ampio campo semantico che ha a che fare con la poesia e, in ultima istanza, col ruolo stesso della letteratura. Ruolo espresso magistralmente in un periodo, altamente poetico esso stesso, in cui l’anonima voce narrante dell’epilogo condensa quello che è per lui il senso di ogni attività letteraria:

«(…) poiché non siamo forse altro che questo: un dito che esce dalla notte per indicare in direzione della notte».


II: Separazione – Abbandono – Solitudine

Osservando dall’alto la struttura generale di Melancolia ci si accorge subito di come il trittico centrale di racconti scandisca l’ontogenesi di un particolare sentimento lungo tre momenti dell’infanzia e della prima adolescenza. Tale sentimento è ovviamente quello della melancolia, che non a caso è usata come titolo dell’intera raccolta. La melancolia cărtăreschiana è un sentimento difficilmente definibile. È sicuramente un sentimento che ha a che fare con una solitudine radicata nell’infanzia. Una solitudine che è a sua volta abbandono e, soprattutto, separazione.

«È nell’infanzia che ha inizio la melancolia, quel sentimento che ci accompagna per tutta la vita, quella sensazione che nessuno ci tiene più per mano».

L’esperienza della separazione può tuttavia essere declinata in maniere diverse, primariamente sulla base della persona da cui si viene separati. In Melancolia la dinamica su cui si strutturano i racconti centrali è quella di un protagonista maschile che sperimenta la separazione da una figura femminile, diversa per ciascuno dei tre racconti. In I ponti è la madre, che esce a fare la spesa lasciando a casa da solo il figlio. In Le volpi è la sorellina Isabel, che si ammala gravemente, separandosi da Marcel che con lei aveva un rapporto di totale condivisione. E infine nel terzo dei racconti centrali, Le pelli, la separazione è quella da Dora, ragazzina di cui Ivan si innamora e che tuttavia verso la fine del racconto lo lascia, interrompendo il loro incontrarsi «finché è ancora così bello». Tre abbandoni che sono, di conseguenza, tre profonde solitudini. Per il bambino di I ponti il tempo che intercorre prima del rientro della madre si dilata parossisticamente, e per tutto quel tempo è come se lei non dovesse più tornare. Per Marcel, ne Le volpi, la sorella è inizialmente l’unica persona reale, mentre i genitori sono figure opache, al limite dell’inesistenza ai suoi occhi.

Il caso di Ivan, protagonista del terzo dei racconti centrali (Le pelli), è forse il più significativo per quanto riguarda l’aspetto della solitudine. Per lui la solitudine era una realtà esistenziale totale prima di conoscere Dora, e diventa ancora più crudele quando Dora lo lascia.

«Le stanze della casa erano vuote, e da tutte le finestre si vedeva la luna. Gli era sempre piaciuto passeggiare di notte per la casa, alla luce della luna. Quella notte rimase fino all’alba, senza accendere una lampadina, sforzandosi di non ricordare nulla della sera che era passata, anche se era stata, gli tornava in continuazione in mente, l’unica reale, ancora meglio, l’unica vera. Non riusciva più a figurarsi come avesse visssuto prima d’incontrare Dora e non sapeva come avrebbe potuto vivere senza di lei».

La solitudine di Ivan si riflette inoltre nella solitudine del poeta, e non è casuale la presenza della statua di Vasile Singurătate (allusione al Vasile Voiculescu scrittore del Singurătatea, ossia appunto La Solitudine), più volte incontrata dal protagonista sul proprio cammino. È proprio grazie alla statua di Vasile Singurătate che Ivan avrà le visioni epifaniche che gli permetteranno di superare le sue paure e mostrare la propria pelle a Dora.

La solitudine è infine tema centrale anche dell’Epilogo della raccolta, il breve racconto La prigione, monologo che più di tutti sembra volersi espandere a grido e analisi della condizione umana. La coscienza narrante di questo racconto, di cui non conosciamo il nome, è incarcerata in una prigione che è il mondo stesso. I livelli di tale prigione, mura concentriche esplicitamente paragonate all’inferno dantesco, sono la coscienza, racchiusa dal claustrum all’interno del proprio cervello, il cervello stesso racchiuso dalla scatola cranica e il corpo imprigionato nella pelle. L’ultimo livello è il muro di infinito spessore che è la realtà stessa, sino alle profondità del cosmo e oltre. Una prigione in cui esiste solo l’io, destinato a creare passatempi, a inventarsi numeri e lingue all’infinito. Una prigione solitaria, in cui il tu non esiste.

«Che io sia per caso solo questo, una fiala di solitudine incastonata in una montagna sconfinata?»


III. Infanzia – Genitori – Crescita

Si è già detto che la melancolia cărtăreschiana non è facilmente definibile. Gli aspetti che la caratterizzano non si limitano infatti a solitudine, abbandono e separazione, e per poterla comprendere appieno è necessario analizzare il suo rapporto con l’infanzia e, specularmente, col il suo abbandono, ossia la crescita. Che l’infanzia sia uno dei temi principali del libro è chiaro sin dalle età dei protagonisti dei tre racconti principali. Il mondo infantile è inoltre uno degli oggetti di indagine prediletti dell’autore: si vedano come esempio le profondissime pagine di Solenoide riguardanti il rapporto del figlio con la menzogna della madre. In Melancolia vediamo lo sviluppo di tre fasi della crescita. Nel primo racconto abbiamo il punto di vista del bambino di cinque anni. Dilatante, atemporale, ma anche profondamente percettivo: lunghi passaggi di I ponti sono dedicati all’esplorazione sensoriale dell’ambiente circostante della casa. Nel secondo, il protagonista di otto anni ci immerge nel suo mondo simbolico di giochi e di finzioni. Nel terzo è significativo come molte delle azioni di Ivan, che di anni ne ha già quindici, dimostrino una certa riluttanza ad abbandonare il mondo infantile. Infine non è un caso che il Prologo della raccolta, La danza, sia stilisticamente e formalmente assimilabile ad una fiaba. Metafisico e visionario, se non quasi borgesiano, tale breve racconto introduttivo ci riporta a una atemporalità fantastica e a un esotismo privo di reale geografia, elementi fiabeschi che sembrano appartenere a un mondo atavico, significativamente posto all’inizio della raccolta, sia “prima” che “fuori” rispetto al trittico centrale. Simmetricamente, l’Epilogo sarà ugualmente collocato in un’eternità temporale, ma stavolta adulta e solitaria.

Insieme all’infanzia, diventa oggetto di indagine anche il rapporto coi genitori. I genitori assumono tre ruoli fondamentali e distinti nei racconti centrali di Melancolia. Sono gli idoli misteriosi che appaiono agli occhi del protagonista del primo racconto, statue (quella del padre di caucciù, insondabile, quella della madre di cioccolata, un calco nel quale il bambino si addentra fino ad addormentarvisi) che divinificano in absentia le figure genitoriali. Ma sono allo stesso tempo anche le figure flebili e incorporee dei genitori di Marcel e Isabel nel racconto centrale, Le volpi, e che tuttavia acquisiscono colore quando il dolore per la malattia della bambina li rende improvvisamente reali, concreti, materializzandoli agli occhi di Marcel. I genitori sono infine «gli dei della (…) lontana infanzia», Amaya e Apaya, come vengono menzionati nel terzo racconto Le pelli. Due divinità superate, visto che Ivan ormai si accinge a diventare grande. Significativamente, quelle immagini dei genitori che nel primo racconto erano idoli eterni ora sono lontani ricordi, mentre le figure reali della madre e del padre si manifestano come esseri reali, di carne, come dimostra infatti la valigia di pelli di quest’ultimo.

Nel libro diventa presto chiaro che è la crescita, ossia l’abbandono dell’infanzia, ad essere il processo nel quale si instaurano i semi della melancolia. Ne I ponti si osserva un esempio fondamentale. Dei tre viaggi onirici sui “ponti” il terzo è quello più significativo. Se nei primi due, infatti, la destinazione raggiunta è un luogo fisico della città, ri-sognato dal bambino, il terzo ponte si staglia verticale, collegando la casa del protagonista con un altrove celeste e indefinito. L’unico modo per attraversarlo è crescere: ecco che quindi il bambino avrà una visione del suo futuro, della sua crescita e invecchiamento sino all’anzianità e alla morte. Ma il momento di crescita più importante è probabilmente quello che conclude il terzo racconto. La visione della metamorfosi di Dora in una donna adulta sarà rito di un passaggio definitivo dall’infanzia alla maturità di Ivan, dalla felicità alla solitudine della melancolia.

«La bambina ora non gli stringeva più le dita, e Ivan le staccò dalla sua manina. Si chinò e la baciò sul capo, là dove la scriminatura separava i suoi capelli rossi. Poi, divenuto di colpo maturo e rassegnato – il che gli parve sul momento la stessa cosa – uscì a testa bassa dalla stanza».

La rassegnazione di Ivan, insieme al pessimismo dell’epilogo La prigione, donano inevitabilmente un sapore amaro a questa raccolta. E tuttavia, l’ultima immagine di Le pelli è quella di Ivan che prende sottobraccio la statua, mutila e spezzata, di Vasile Singurătate, allontanandosi con lui. «L’uomo di pietra l’avrebbe accompagnato d’ora in avanti per tutta la vita». Fino alla fine, Cărtărescu ci ricorda che la solitudine può essere trasformata in poesia.