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Tessiture di sogno: un’intervista a Ada Vigliani

[Ada Vigliani ha studiato filosofia e letteratura tedesca alle università di Torino e di Salisburgo. Dal 1982 traduce autori classici e contemporanei, fra i quali Johann Wolfgang Goethe, Arthur Schopenhauer, Robert Musil, Hermann Broch, Elias Canetti, Jan Assmann, Katja Petrowskaja, Jenny Erpenbeck.

Per la casa editrice Adelphi ha curato le traduzioni di tutti i testi di W.G. Sebald finora pubblicati in italiano, tra i quali ricordiamo Austerlitz, Gli anelli di Saturno, Gli emigrati, Storia naturale della distruzione, Secondo natura.

Tessiture di sogno è l’ultimo volume di Sebald tradotto in italiano e pubblicato da Adelphi nel 2022. Vi sono raccolti diciotto testi divisi in due sezioni: Prosa e Saggi. Nella prima sezione si trovano alcuni scritti frutto di un viaggio in Corsica, mentre la seconda parte accoglie scritti su testi letterari.

Questa intervista è a cura di Rachele Cinerari]


D: Tessiture di sogno, uscito da poco per Adelphi, è la traduzione di un volume curato da Sven Meyer e pubblicato in tedesco da Fischer con il titolo Campo Santo, un termine italiano. Credo che le riflessioni che motivano la decisione sul titolo per l’edizione italiana possano dare la misura di quanto il lavoro traduttivo – fin dalle scelte dei titoli, appunto – sia complesso e di quanto sia importante il confronto e la collaborazione con chi si occupa della revisione e con la casa editrice. Le chiederei di raccontarci in che modo avete scelto il titolo per l’edizione italiana.

R: La traduzione dei titoli rappresenta talvolta una difficoltà per il traduttore, e una difficoltà non da poco perché il titolo è o dovrebbe essere una sorta di “quintessenza” del libro, una chiave di lettura. Nel caso ad esempio di termini polisemici contenuti in un titolo, non sempre, anzi quasi mai, è possibile trovare un termine italiano dotato della stessa polisemia. Si è costretti a lasciar perdere alcuni dei significati dell’originale e limitarsi a quelli contenuti anche nel termine italiano, oppure – ed è quello che tendenzialmente faccio – cercare nel testo un’espressione altrettanto pregnante, incisiva, capace di costituire la chiave di lettura del libro. Se si traduce un autore vivente e se l’autore ha la giusta sensibilità per i problemi della traduzione, questa variazione può essere concordata e in certi casi addirittura suggerita dall’autore.

Ma veniamo al titolo del volume di Sebald. Si tratta di un volume postumo, una miscellanea di prose narrative e di riflessioni di genere autobiografico o su scrittori amati dall’autore. Una delle prose narrative, che hanno per oggetto un viaggio in Corsica compiuto da Sebald, si intitola per l’appunto Campo Santo e riguarda la visita al cimitero di Piana. Il curatore della miscellanea decise di utilizzarlo per l’intero volume, con una scelta giustificata dal punto di vista del contenuto: l’allusione ai morti, al luogo dove riposano i morti da parte di uno scrittore che fa della “salvezza dei morti” un caposaldo della sua estetica.

Avremmo potuto intitolare anche noi così la miscellanea? Forse sì, ma l’effetto del titolo sul lettore italiano sarebbe stato molto diverso da quello che si produce sul lettore tedesco. Per un tedesco e per qualsiasi straniero la parola italiana ha ovviamente un suono esotico, evocativo, come evocativi sono – se presi singolarmente e all’orecchio di chi magari conosce l’italiano – i due termini: “campo” e “santo”.

Per un lettore italiano il fascino più o meno esotico che l’espressione può avere per quello straniero ovviamente non c’è: “camposanto” è per noi il cimitero. E tutto il carico di suggestioni, che l’espressione racchiude per uno straniero, per gli italiani non esiste o è quanto meno ridotta.

Perché non cercare fra i testi di Sebald un altro titolo, un’altra espressione che riuscisse a essere evocativa, suggestiva e “chiave” adeguata del volume? Ho proposto il titolo del saggio su Nabokov, Tessiture di sogno. Nabokov è una pietra miliare per Sebald, e i lettori di Sebald lo hanno visto evocato spesso nelle pagine dei suoi libri, a partire dagli Emigrati. Senza contare che la metafora del tessuto per il processo creativo della scrittura (lo scrittore-sarto o tessitore di tappeti) è ribadita di continuo da Sebald.

Concludo dicendo che la decisione di utilizzare questo titolo è stata ben ponderata, non una “scelta furba” per attirare il lettore con un titolo evocativo. Evocativo/suggestivo era il titolo nell’edizione tedesca all’orecchio di un non-italiano, evocativo/suggestivo deve essere anche il titolo proposto al lettore italiano.

D: È interessante leggere questa raccolta in dialogo con gli altri testi sebaldiani. Sebald è un autore molto complesso, possiamo solo immaginare quanto sia arduo trasferirne in un’altra lingua lo stile, le digressioni, la predilezione per il dettaglio, i passaggi ad alto tasso simbolico, le spirali verbali vertiginose dei suoi periodi, quasi impossibili da rendere in italiano. Una scrittura che Sebald stesso definisce «una sorta di periscopio» in cui tutto è in relazione con i diversi punti di vista. Una scelta molto felice che lei compie nelle traduzioni dei suoi testi è quella di creare delle sorte di incisi digressivi utilizzando dei trattini, per non spezzare i periodi interrompendoli per esempio con dei punti che plasmerebbero il testo in modo troppo invasivo. Ci sono degli interventi particolari che ha dovuto effettuare per affrontare alcune zone di intraducibilità e rendere i testi di Sebald adatti alla lettura italiana?

R: Non ho trovato zone di intraducibilità nell’opera di Sebald, come quelle che si riscontrano ad esempio in scritture sperimentali oppure in quelle che giocano di continuo sulle ambiguità del linguaggio figurato. Al di là del «nucleo intraducibile che ogni organismo linguistico contiene», come diceva Broch, Sebald è dunque uno scrittore traducibile, anche se la resa al meglio del suo periodare (sia nella prosa sia nella poesia) richiede oltre alla cura, all’impegno, anche la capacità di entrare in un rapporto di empatia con lui, con il suo modo di scrivere. È questa la precondizione per salvare quel periodare labirintico e infinito senza cadere nella goffaggine. Tradurre Sebald ha significato per me piegare la mia lingua all’imitazione della sua. Tradurre è mimesis, forse con ogni scrittore, ma con Sebald in particolare. Il fascino innegabile del suo periodare invita all’imitazione, a farsi prendere per mano dall’autore.

Naturalmente non basta questo lasciarsi andare, seguire i passi dello scrittore, immedesimarsi in lui e nella sua scrittura. Bisogna anche controllare il risultato, prendendo le distanze da quanto si è scritto. E questo soprattutto là dove la semplice immedesimazione non ha dato i suoi frutti: quando ad esempio non si è riusciti a conferire la sonorità, il ritmo dell’originale. E la sonorità in Sebald è molto importante, è infatti uno degli elementi che caratterizzano la sua scrittura e le conferiscono il suo fascino. Una sonorità, un ritmo, che non solo nella poesia, ma anche nella prosa ha il suo metro: mi capita di contare sillabe di una frase in tedesco e nella corrispondente italiana, così come di controllare dove cadono gli accenti. E ricostruire su questa base il testo.

D: «Occuparsi del passato, il proprio e quello dei propri cari defunti, è ciò che fantasmi e scrittori hanno in comune», scrive Sebald nel testo dedicato a Nabokov e contenuto in Tessiture di sogno. Il tempo sebaldiano non è un tempo lineare e progressivo, ma piuttosto direi un tempo circolare, rapsodico, che mantiene una dialettica tra passato e presente. La forma dei testi sebaldiani incarna queste caratteristiche che si traducono in atomi di passato che improvvisamente si esprimono nel presente. Quanto questo aspetto ha rappresentato una sfida per la traduzione?

R: La concezione circolare del tempo, dunque non il tempo epico, quello tranquillizzante del “prima che” e del “dopo che”, secondo la definizione di Robert Musil, bensì il tempo labirintico in cui bisogna tener saldo in pugno il filo di Arianna per non smarrirsi, non mi è mai parsa una particolare sfida nel lavoro di traduzione. È egualmente sfida – se vogliamo definirla così – anche per il lettore, che deve appunto cercare di orientarsi «in quegli spazi differenti, incastrati gli uni sugli altri» che occupano il posto del “tempo inesistente”, secondo le parole di Austerlitz. Si tratta di una sfida che il traduttore incontra già nel momento in cui è semplice lettore del testo.

Il balzo da una narrazione al passato ad atomi espressi nel presente si può tranquillamente rendere anche nella lingua di arrivo. Se qualcosa stride, talvolta basta rigirare la frase, spostare un avverbio o un complemento e la naturalezza ritorna. Parlo di naturalezza perché questi giochi verbali non sono né mai vogliono essere urtanti.

Sono naturali come è naturale per Sebald andare avanti e indietro fra passato e presente, come accade nei sogni, e non solo: proprio per illustrare la sua poetica, la sua prosa che esclude la narrazione cronologicamente ordinata a favore di quella in cui tutto si svolge in una certa misura contemporaneamente, Sebald rimanda alla contemporaneità che ha la nostra stessa mente, dove ricordi, immagini  del passato oggetti, volti, si spostano dallo sfondo in primo piano e viceversa, ovvero – come dice espressamente lo scrittore–«nemmeno nelle nostre menti esiste quella successione cronologica, ma troviamo piuttosto sincronismo e continuità. Le cose sono vicine e il giorno dopo le ritroviamo in un’altra stanza, e poi, per qualche tempo le dimentichiamo, finiscono in solaio, finché un giorno non le riportiamo giù». La costruzione di Austerlitz ad esempio segue questo schema, c’è un continuo andirivieni nel tempo, c’è un farsi contemporaneo in uno stesso spazio mentale di eventi accaduti in tempi differenti e un convergere nello stesso spazio mentale di eventi spazialmente lontani, ma avvenuti contemporaneamente.

D: Un’altra peculiarità delle prose di Sebald è l’utilizzo delle immagini, che non vengono utilizzate a scopo descrittivo o decorativo, ma sono elementi testuali e fanno parte della prosa creando anche una tensione tra documento e finzione. Proprio Sebald, a questo proposito, in un’intervista con Eleanor Wachtel del 1997 affermò: «Credo che abbiano due scopi possibili nel testo. Il primo e più ovvio è quello della veridicità, poiché tendiamo a credere alle immagini molto più che alle parole […]. L’altra funzione che intravedo è forse quella di fermare il tempo. La narrazione è una forma d’arte che si muove nel tempo, dunque inclina verso la fine, poiché lavora su un gradiente negativo, ed è molto, molto difficile in quella particolare forma di racconto arrestare lo scorrere del tempo». In che modo il lavoro di traduzione si relaziona con la presenza di immagini intese e utilizzate in questo modo?

R: Molto significativa nella poetica di Sebald è la dialettica fra tempo (inesistente, come si accennava prima citando Austerlitz) e spazio (esistente) che si sviluppa nella corrispondente dialettica fra suono/parola e immagine.

«Il testo letterario» – dice lo scrittore – «si dispiega nel tempo, proprio come la musica, e il tempo è qualcosa che non si può trattenere. Rispetto a queste due arti quella figurativa ha l’enorme vantaggio di potersi affrancare dal tempo. Costituisce per così dire una barriera rispetto a ciò che noi vediamo continuamente andar perduto. L’arte figurativa è l’elemento statico, quella letteraria e musicale è invece l’elemento dinamico che corre verso la propria fine. E l’inserimento – sia di vere e proprie immagini sia di descrizioni di immagini – è anche il tentativo di opporre almeno per qualche istante quell’immagine o quella sua descrizione all’inevitabilità della fine».

L’immagine sembra dunque un baluardo contro la morte e l’oblio, sembra il mezzo con cui attuare quel riscatto dei morti, quella lotta contro il tempo che si autodistrugge portando via con sé anche il ricordo, la memoria, che è la molla dell’impulso a scrivere di Sebald.

Ma se l’immagine ha davvero questo primato, perché Sebald non ha pensato di diventare fotografo, di diventare pittore? A prescindere dal fatto che poteva non averne le capacità, teniamo presente che Sebald non parla di “immagine” ma di inserimento dell’immagine in un testo fatto di parole, dunque di una dialettica tra parola e immagine, anzi il punto cruciale in cui l’immagine si fa davvero salvifica non è tanto la sua mera fisicità, o non è soltanto la sua mera fisicità, bensì la sua descrizione.

Non è dunque un caso la scrittura ecfrastica di questo scrittore, le descrizioni dei dipinti, da Grünewald ad Altdorfer ad esempio, come ben sa chi ha letto Secondo natura. Qui – così come in tutte le descrizioni presenti nell’opera di Sebald, dai paesaggi urbani e naturalistici alle descrizioni di fiori, alberi, edifici, volti… – il traduttore deve stare molto attento a non prendere scorciatoie: a non descrivere per suo conto l’immagine di cui possiede una riproduzione, ma a seguire la descrizione che Sebald ne dà con la sua peculiare atmosfera e che, come ogni descrizione, accentua certi aspetti e ne tralascia altri.

Quanto alle immagini, alle fotografie presenti nell’opera, ogni volta di più lettore e traduttore devono essere consapevoli che non sono illustrazioni, ma esse stesse parti del testo, che con il testo scritto dialogano. Sono spesso le immagini che aiutano il lettore e il traduttore a cogliere l’atmosfera del testo scritto, la sua Stimmung.

D: La traduzione richiede sempre, oltre ovviamente a una grande conoscenza della lingua dalla quale si traduce, numerose competenze; nel caso di uno scrittore come Sebald penso che questo sia particolarmente vero. Solo soffermandoci sulla fitta tessitura di citazioni di altri testi che vengono inglobate nel testo, ci si rende conto della enorme conoscenza in materia letteraria necessaria a trasferire la prosa da una lingua all’altra. Ma il lessico che Sebald utilizza richiede competenze in campi vari, anche molto diversi tra loro. Ci sono delle letture che ha condotto parallelamente a questa ultima traduzione e che hanno nutrito in modo particolare il suo lavoro traduttivo?

R: Come sempre per tradurre uno scrittore, la precondizione è essersi documentati su di lui e, in particolare sulle sue letture. È attraverso la lettura che noi creiamo, affiniamo, trasformiamo la nostra lingua. E documentarsi sulle letture di Sebald vuol proprio dire leggere il più possibile di ciò che lui ha letto, in particolare gli autori preferiti, quelli per lui più formativi: Walser, Kafka, Nabokov, Bernhard e molti altri.

È abbastanza singolare – vogliate scusare questo inciso “profano” – che il compenso per una traduzione venga commisurato sulla “cartella”, quando gran parte del tempo che il traduttore dedica al suo lavoro si svolge prima di misurarsi sulla pagina o a latere!

Ho quindi letto gli scrittori amati e citati da Sebald per piegare la mia lingua a quella che Sebald si è creato assimilando la poetica, i temi e le peculiarità di quegli scrittori. Senza contare che i suoi testi presentano intarsi di citazioni, per lo più non virgolettate e senza quindi riferimento bibliografico. Occorre quindi andare alla ricerca delle fonti con la bacchetta del rabdomante. Queste cripto-citazioni – dice Sebald – sono il miglior omaggio che si può fare a uno scrittore amato e ammirato.

Quanto alle innumerevoli discipline con cui lo scrittore si è misurato, dalla botanica alla zoologia, dalla geografia alla storia militare, dall’apicultura alla medicina e non solo, sicuramente bisogna documentarsi su testi specialistici. Ricordo, in particolare in Austerlitz, le difficoltà con le farfalle, la necessità di risalire al nome latino dal nome tedesco, e poi dal nome latino a quello italiano (operazione non sempre così automatica) tenendo presente che bisogna sincerarsi del luogo in cui vivono generalmente le farfalle in questione, dal momento che le pagine ad esse  relative sono ambientate in Inghilterra e sarebbe stato imperdonabile introdurre ad esempio il nome di una farfalla il cui habitat naturale fosse la Germania o la Grecia. Anche se talora si ha l’impressione che lo stesso Sebald mescoli le farfalle della sua infanzia bavarese con quelle del suo soggiorno di emigrato in Inghilterra.

Altre difficoltà sono i giochi di parole, magari proprio con quelli tratti dalla zoologia. In tessiture di sogno il brano su Scomber scombrus, ad esempio. Si tratta del nostro sgombro, in tedesco Makrele, termine quest’ultimo che permette il gioco con il francese mère maquerelle, (ossia la tenutaria di un bordello), che è funzionale al racconto. Per un vero colpo di fortuna anche in italiano il sinonimo di sgombro è “maccarello”, di modo che i rimandi incrociati impiegati da Sebald possono restare invariati anche nella traduzione.

A differenza di scrittori come, ad esempio, Jenny Erpenbeck, che usa far interagire linguaggi specialistici per creare contrasti anche piuttosto stranianti (penso alle pagine di Voci del verbo andare, dove brani del bugiardino di un farmaco dialogano con i versi di una cantata di Bach), Sebald segue la propria scrittura senza strappi analoghi, introducendo soltanto all’interno di essa i termini dei vari linguaggi specialistici là dove è necessario. E naturalmente bisogna documentarsi, ma – come dicevo – proprio in queste letture e ricerche consiste una parte consistente del nostro lavoro di traduttori.

In fondo anche per gli scrittori, e quindi nel nostro caso particolare per Sebald, è così. Come ci ha ripetutamente raccontato lui, scrivere non vuol dire sedersi a tavolino, mettersi di fronte a un foglio bianco e “creare”, rovesciando sulla carta il proprio bagaglio di emozioni. Il melodrammatico, il kitsch che potrebbe scaturire da questa scrittura soggettiva, emotiva è qualcosa che lo scrittore aborre e da cui rifugge. Scrivere necessita di preparazione, raccolta di materiali vari, documenti storici, fotografici, ricostruzioni di eventi, dialoghi con vari interlocutori, viaggi, vagabondaggi, grazie ai quali lasciando molto alla casualità degli “incontri” si riesce ad avere una sorta di deposito da far reagire con uno o più personaggi, i cui tratti sono spesso un collagetra vari lineamenti, ricavati da diverse persone realmente conosciute, così come collage sono le storie. È dunque un paziente lavoro di montaggio, di bricolage.

Anche il traduttore non si mette di fronte alla pagina bianca sullo schermo del suo computer in attesa dell’ispirazione, ma prima deve aver già lavorato molto sul testo: lettura ad alta voce, documentazione, letture di altri testi dell’autore e di scrittori da lui amati e “imitati”, accumulo di un tesoretto di brevi frasi (o versi) per i quali si ha la sensazione che la sintonia con lo scrittore sia avvenuta. E tutto questo al fine di creare le condizioni ottimali per tradurre l’intero libro.


W.G. Sebald, Tessiture di sogno, a cura di S. Meyer, tr. it. di A. Vigliani, Adelphi, Milano 2022, 243 pp., € 19,00.