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Chi ricorda le tracce fantasma?

Chi sa comporre scrive dischi di successo: le recensioni sono ciò che resta a chi non ne è capace. Di Valerio Scordìa, critico musicale trentottenne e alcolizzato quanto basta, non si può dire che non sia in grado di suonare: solo, è un altro il suo posto nel mondo. Il che non sarebbe un problema, se non fosse che Giacomo Irrera, ex-migliore amico di Scordìa ed ex-frontman della band che insieme avevano creato, ha intrapreso – da solista –  una carriera invidiabile. E che il primo ad essere travolto dal livore per il successo di Giacomo (in arte “Irrera”) sia proprio Valerio, adulto rancoroso perché talmente ingenuo, da ragazzo, da essersi immaginato un avvenire del tutto diverso dalla realtà dei fatti.

Le tracce fantasma (minimum fax, 2022) è certo, in prima battuta, un romanzo che parla di musica: ma solo nella misura in cui questa è lo strumento di cui Nicola H. Cosentino si serve, con la spaventosa consapevolezza dei (suoi) trent’anni, per dire tutt’altro. È dunque anche un romanzo sull’invidia: un’invidia plutarchea e al contempo figlia dei nostri tempi. È infine una storia di redenzione, o di auto-accettazione, volta a cogliere uno dei vantaggi più tangibili del passare del tempo, quale è l’opportunità di scoprirsi, ad ogni giro di boa, meno integralisti che in gioventù, attraverso l’abbandono del manicheismo tipico dei vent’anni in fatto di gusti, valori e persone del cuore. Cosentino non si arresta alla constatazione – strada altrove battutissima, perlomeno nel solco della tradizione britannica e irlandese che conduce da Nick Hornby a Joseph O’Connor – di come la musica fornisca colonne sonore per momenti significativi e riti di passaggio (per quello è sufficiente la trovata, riuscitissima, del QR code in fondo al libro, direttamente collegato a una playlist su Spotify), ma si concentra sulla possibilità che essa offre, a patto che se ne seguano l’evoluzione e le derive, di risolvere conflitti intergenerazionali tramite l’adozione di un linguaggio condiviso. Valerio si trasforma in un diplomatico in missione nei Novanta per conto del Duemilaventi, disposto a fare anche il percorso inverso pur di spiegare il concetto di ghost track – che al libro dà il titolo e genera voluta ambiguità con un gioco di slittamenti semantici – a chi, come suo nipote (in arte “Scordìa”), non abbia mai conosciuto vinili, cd o musicassette, ma sia “nativo digitale” e sguazzi tra X-Factor e Youtube (non possono mancare Her Majesty dei Beatles ed Endless, Nameless dei Nirvana; si aggiunga, per dovere di campanilismo, La cattura di Frankie Hi-Nrg). La chiave si ritrova nel personaggio di Mirella, giovane donna che smuove Valerio dalla stasi e dall’autocommiserazione, e nel suo brano preferito, Vent’anni di Massimo Ranieri: non si trattasse di un titolo ricorrente, perlomeno tra Måneskin e Max Pezzali, sembrerebbe evocare la poetica racchiusa nel canto popolare Su, su allegri beviam per cui «vent’anni son gemme dischiuse, / trent’anni un giardino di fior, / quaranta speranze deluse / per chi non conosce l’amor».

La caratterizzazione dei personaggi, magistrale, rivela – così come l’intreccio – una maturità scrittoria piena e indiscutibile: il vero storico, immerso nella contemporaneità, si alterna ad un verisimile perfettamente credibile. La cantante Arianna Lago, di cui Valerio curerà la biografia per gentile intercessione della più illustre collega Elisabetta Maffoni, è tratteggiata come una sorta di Cristina Donà che è riuscita ad imporsi oltre la nicchia (Elisa?): tra una collaborazione e un riconoscimento, ci è scappata pure una storiella con Daniele Silvestri; la domestica che ne amministra la casa e ne ha cresciuto il figlio, d’altra parte, una volta ha quasi picchiato Zucchero con un ombrello. La Maffoni, figura senza età, vanta l’esperienza di un decano da dopo-festival e una propensione all’aggiornamento che le permette di selezionare giovani talenti per reality show pronti a partire. Anacronistico resta Jimmy, il venditore di vinili, e non può essere altrimenti. Il trapper Polaretti è in sostanza uno Sfera Ebbasta di cui non si vuol dire il nome e attorno a cui si sviluppano riflessioni per nulla secondarie. Incarnando Polaretti una concezione della musica ormai distante dall’intrattenimento disinteressato e sempre più figlia di esigenze commerciali, ha un qualche peso il fatto che il cantante – sia pure all’interno della fiction – venga pubblicamente apprezzato da Matteo Salvini: tutte le implicazioni che il dato porta con sé paiono riconducibili, più che alla letterarietà, all’attuale stato dei rapporti tra la politica istituzionale e la canzone italiana adoperata “in rappresentanza di”. Risale al 2021 la lite – avvenuta durante il derby di Milano, ma sulla scia di una polemica più antica – tra lo stesso Salvini e Ghali; è ancora più recente la discussione sorta attorno all’uso “politicizzato” di Rino Gaetano – e della sua Il cielo è sempre più blu – in occasione delle ultime elezioni.

Sul piano del plot, l’universo di Le tracce fantasma si sovrappone – tangenzialmente e in maniera involontaria – ad alcuni immaginari con cui condivide qualcosa in termini di sfondo e cornice. Con i fantasmi della Terranova ha in comune, di fatto, il doversi scontrare con un passato di padri venuti a mancare e la  sicilianità (Scordìa è originario di Palermo, Ida è di Messina), mentre l’esperienza televisiva del nipote di Valerio ha un esito ben diverso dalla trovata orchestrata dal redivivo Gesù di John Niven (in A volte ritorno): del diciassettenne Alfredo, nemesi e redentore dello zio, si arriva in effetti solo a sapere che è ammesso alla fase successiva («con tre sì, tra cui quello di Polaretti»). Nel ripensare alla band e alla propria giovinezza, Scordìa ha un che del Kabra di Gianluca Morozzi (Despero e Confessioni di un povero imbecille), ma manca del piglio scanzonato che anima e smorza i toni delle avventure morozziane. Senza voler privare il romanzo del requisito del “respiro internazionale”, sia detto che Cosentino pare in continuità rispetto a una tradizione italiana per la quale la simbiosi rispetto al pop (nel senso più ampio possibile) ha una connotazione identitaria a sé stante. S’intende che pur rifacendosi a riferimenti quali Bob Dylan, David Bowie o George Harrison, l’ascoltatore-musicofilo di formazione italiana potrà difficilmente prescindere dall’influsso di personaggi come Giovanni Lindo Ferretti o Manuel Agnelli, ma anche dal peso di Gianni Morandi o De Andrè. Tale caratteristica, come detto, non è un limite, ma piuttosto un tratto distintivo (e non estraneo, per esempio, a La straniera di Claudia Durastanti).

Ciò non toglie che la musica, con l’utilizzo che se ne fa, sia l’elemento che permette all’opera di Cosentino di differenziarsi da tutto il resto. In primo luogo è evidente, benché entro un contesto spesso derisorio rispetto al citazionismo, la presenza di mirati rimandi allusivi inseriti quasi come ghost quotations: ciò vale certamente per la dedica che Valerio riceve da Mattia Irrera, fratello di Giacomo, in cui si invoca «un occhio di riguardo per il nostro chitarrista» (e Ivan Graziani è colonna portante del racconto, come l’autore dichiara in chiusura nella Dichiarazione d’irresponsabilità). Può valere, anche se in modo diverso, per il brano di Stormi di Iosonouncane, su cui la voce narrante si sofferma esplicitamente solo in un secondo momento rispetto al passo in cui il testo viene riportato. Molto altro è funzionale a delineare la personalità del protagonista: degne di un boomer – e di ogni critico musicale nato prima della caduta del Muro – sono le precisazioni non richieste a proposito di artisti della sfera hip hop, tra cui il purista Valerio menziona prima Fritz Da Cat e i Cor Veleno, per poi dare spazio – in ambito internazionale – a Snoop Dogg; struggente è invece uno dei primi ricordi sulla potenza delle canzoni, che si lega (è un colpo di scena) a Sulla porta di Federico Salvatore. Non è tutto: da rappresentante di una categoria professionale e di una certa élite intellettuale, Scordìa trova il tempo di prendere posizione su neologismi e traduttismi, divertendosi a ironizzare sul «fuori ora» con cui in molti pretendono di rendere l’inglese «out now». Come risultato di un simile background, lo snobismo di Valerio è un tratto necessario. Tuttavia, passato un certo segno, la spocchia si esaurisce: grazie ad Alfredo, che con violenza pone lo zio di fronte alla questione della paternità, e grazie a Mirella, che rende finalmente inoffensivo il ricordo di Anna, fidanzata “storica” e causa prima di ogni nostalgia paralizzante. Il quasi quarantenne Scordìa giunge in questo modo a un bivio decisivo: rispetto a un futuro da hater, sceglie senza esitazioni di diventare adulto.


Nicola H. Cosentino, Le tracce fantasma, minimum fax, Roma 2022, 391 pp., 18€