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Fra straniamento e “Teoria della prosa”

Federica Arnoldi, Anna Di Gioia, Luca Mignola e Alfredo Zucchi, della redazione di Wojtek Edizioni, rispondono ad alcune domande relative alla collana di recente varo “Ostranenie” e al primo volume da questa ospitato, Teoria della prosa di Ricardo Piglia. Ringraziamo gli autori per l’introduzione a un contenitore che è sia spazio digitale che collana di saggistica letteraria, e per l’invito alla lettura dell’importante saggio di Piglia, che raduna il ciclo di conferenze del 1995 tenuto all’Università di Buenos Aires.


1) Partiamo da una parola brutta, dal “contenitore”, cioè dalla collana. Una collana però, nella realtà, non è mai un banale contenitore quando è un dispositivo editoriale che funziona. Per voi cosa significa progettare una collana? Come e quando nasce la collana Ostranenie di Wojtek edizioni e perché l’idea di partire proprio con Ricardo Piglia?

Il termine “contenitore”, in realtà, nel caso della collana Ostranenie, si presta bene a spiegarne la genesi. Wojtek Edizioni è stata costruita su due binari: Orso Bruno (narrativa italiana contemporanea) e Orso Nero (straniera). La casa editrice disponeva anche di un contenitore digitale, inizialmente pensato per accogliere narrazioni, ma che non ci soddisfaceva del tutto. Ci siamo posti l’obiettivo di ripensare questo contenitore, trasformandolo in uno spazio che accogliesse riflessioni critiche intorno alla creazione letteraria. I nostri interessi di studio in quel periodo avevano una direzione ben precisa: il formalismo russo e Šklovskij ci offrivano degli strumenti di osservazione e valutazione che ritenevamo assolutamente validi. Partendo da queste premesse comuni (noi di Ostranenie siamo una redazione parallela rispetto a Wojtek, di cui Anna Di Gioia e Alfredo Zucchi sono soci) e ispirandoci a collane coraggiose (come Le forme del discorso di Pratiche Editrice), abbiamo deciso di provare a dare uno spazio editoriale alle riflessioni che informavano quello digitale. Una riunione Wojtek, nell’estate del 2020, appena usciti dalla prima ondata, ha sancito, in un clima di entusiasmo brillo, con l’appoggio di tutti i soci di Wojtek (Lucio Leone e Ciro Marino in primis), che Ostranenie sarebbe stata spazio digitale (ceci n’est pas une rivista) e collana di saggistica letteraria.

Ostranenie è il nome di una storia appassionante, in cui teoria e pratica, idee e vicende biografiche, s’intrecciano, si alimentano e si scontrano: «Vivere una vita non è attraversare un campo», scrive Šklovskij nelle sue Lettere non d’amore; «lei gli proibisce di scrivere sull’amore. Egli vi si rassegna e comincia a parlarle della letteratura russa».

Cominciare con Teoria della prosa di Piglia è il coronamento di lungo percorso: Alfredo Zucchi, Anna Di Gioia e Luca Mignola, come redattori della rivista “CrapulaClub”, hanno pubblicato, nel 2014, una traduzione del suo saggio Tesi sul racconto; l’incontro con Federica Arnoldi, e con Loris Tassi, è stato facilitato dai testi di Piglia – oggetto di studio comune, mediatore di infinite querelles narratologico-politico-esistenziali, etc.

2) Il titolo da cui partite, Teoria della prosa, ha un precedente ingombrante nel libro con lo stesso titolo di Šklovskij (il precedente di Boris Ejchenbaum che citate è un altro). In cosa si assomigliano questi due casi di omonimia libraria?

L’opera di Šklovskij, così come quella di Ejchenbaum, rientravano in un progetto più ampio, che si concretizzò nell’OPOJAZ (Società per lo studio del linguaggio poetico). Non deve sembrare strano che per lo studio della prosa si partì da quello della poesia, poiché è proprio dalla trasformazione di questi due linguaggi, dal passaggio di testimone tra le due forme artistiche, che i formalisti russi giunsero alle loro formulazioni teoriche. Quindi, il suo carattere principale è l’individuazione di princìpi (ma in fondo di un principio fondamentale: ostranenie, straniamento) e leggi (poiché la letteratura è un sistema, come sosteneva Tynjanov) a partire dai quali osservare le strutture narrative, analizzare i livelli dell’intreccio, distinguere i materiali, che servono alla stesura dell’opera.

La storia della ricezione del formalismo non è lineare: la fuga di Jakobson dall’Unione Sovietica, mentre Šklovskij e Ejchenbaum vi rimasero, contribuì alla diffusione delle loro idee in Francia. Piglia vi approda attraverso lo strutturalismo francese, la psicoanalisi e la teoria della ricezione.

Prima di Piglia, però, va ricordato Nabokov: è sua la differenziazione dei modi di leggere un’opera (Buoni lettori e bravi scrittori in Lezioni di letteratura). Tra le varie tipologie di lettore, egli predilige “il lettore ammirevole”, colui che maggiormente si avvicina al punto di vista dello scrittore, poiché attraverso questa lettura egli si pone questioni riguardanti le scelte di forma, struttura e stile che lo scrittore intraprende, legge l’opera come se questa non fosse mai finita. E non assomiglia questa al principio di una teoria della prosa? Arriviamo così a Piglia. Una delle sue opere si intitola L’ultimo lettore e prende le mosse proprio dal punto di vista nabokoviano. All’interno di L’ultimo lettore troviamo un saggio il cui titolo richiama il formalismo russo: Com’è fatto l’Ulysses (Ejchenbaum aveva scritto Com’è fatto Il cappotto di Gogol’ e Šklovskij Com’è fatto il Don Chisciotte, in Teoria della prosa). Teoria della prosa di Piglia coniuga il lavoro di analisi formalista a quello del punto di vista del lettore ammirevole nabokoviano.


3) Abbiamo nominato Šklovskij. Volete dirci, da un punto di vista di progetto editoriale, perché la scelta del nome della collana è caduta su Ostranenie?

Il termine ostranenie compare per la prima volta nel saggio L’arte come procedimento Šklovskij (il saggio si trova nella raccolta I Formalisti russi, edita Einaudi del ’68 con la curatela di Todorov). Ostranenie è una categoria estetica e narratologica insieme, che intende ribaltare l’ordine simbolico di un’epoca. Scopo dell’arte, dice Šklovskij, è sottrarre l’oggetto dello sguardo all’automatismo della percezione. Si tratta in definitiva di cercare un punto di vista a partire dal quale osservare le cose e grazie al quale le cose si lasciano esperire in un modo del tutto inedito. Continuiamo a cercarlo.

4) Il libro di Piglia è anche un grande invito alla lettura di alcune opere di autori ispanoamericani: Onetti, sopra tutti, ma anche Roberto Arlt o Macedonio Fernández. (Chiaramente sono frequenti i confronti con capisaldi quali Henry James, Jorge Luis Borges o Gustave Flaubert, ma la letteratura protagonista ricade nell’area sudamericana). Ora che grazie a iniziative editoriali di pregio questa letteratura è sempre più accessibile, vorrei chiedervi di dire in un modo beffardamente sintetico – se non addirittura ellittico – qual è, secondo voi, la parte di questa letteratura che irrimediabilmente manca alla letteratura europea o anche a quella nordamericana. Anche a costo di usare una parola soltanto.

La gioia dell’inganno: la gloriosa ambiguità della finzione. [Maneggiare lo stereotipo con cautela].

5) Perché Piglia appare – almeno teoricamente – ossessionato dalla nouvelle? E perché il segreto è così centrale?

La forma nouvelle  – un certo modo di scrivere nouvelle, che è quello, secondo Ricardo Piglia, dell’autore uruguaiano Juan Carlos Onetti (1909-1994) – e la figura del segreto sono intimamente legate. Per Piglia, che legge Onetti dopo avere interrogato le pagine di Henry James, la nouvelle è la forma narrativa ideale per la costruzione di un narrato attraverso la messa in trama della figura del segreto, che presuppone l’occhio di chi spia e l’orecchio di chi origlia. Qualcosa che si è visto o che si è ascoltato di nascosto, o solo per metà, eternamente sfugge e «capire è raccontare di nuovo», vale a dire cercare di sbrogliare ciò che non è possibile sbrogliare, quindi aperto e confutabile, perché sempre parziale. Così intesa, vale a dire allacciata anch’essa al segreto, la lettura è la possibilità di ricostruzione di un nuovo testo mediante la ricostruzione dello stesso, seguendo le vie che il lettore intraprende attraverso scelte dettate dallo sforzo interpretativo e dalla volontà di trattenere qualcosa per dimenticare qualcos’altro. Il qui e ora della lettura marca le possibilità e i limiti dell’interpretazione del testo. Il lettore è quindi il soggetto cui il narratore affida tanto la rimodulazione costante della realtà letteraria, quanto la tematizzazione della contingenza e della finitezza: il lettore si fa carico del segreto.

6) Un grande portato di queste nove lezioni di Piglia risalenti al 1995 è, ancora una volta, il contributo alla definizione dello statuto di narratore. Mai doma, la definizione del narratore è continuamente oggetto dei più articolati e appassionati contributi teorici sulla prosa narrativa. Qual è la luce nuova di Piglia o il suo peculiare contributo alla definizione del narratore?

Nelle lezioni di Piglia, il narratore è la figura che rende possibile la sovrapposizione dello sguardo del lettore a quello dell’autore ed entrambi a quello di chi nasconde perché è colpevole, o è colpevole perché nasconde. Il narratore, quindi, si insinua tra i due obbligandoli a promettere l’impossibile, vale a dire l’accesso – dalla porta di servizio, quella che non si riapre se non facendo il giro – nella dimensione del segreto, dove il killer e il detective, giocando a carte, raddoppiano la posta proprio quando uno dei due si accorge che l’altro sta barando.


7) Una domanda di metodo: come vi siete divisi il lavoro a tre, Loris Tassi nella traduzione, Federica Arnoldi e Alfredo Zucchi nella curatela?

Il testo presentava difficoltà su tre livelli. Alla lettera: le condizioni in base alle quali è stato messo per iscritto nell’edizione argentina; lacune, formule orali, citazioni dubbie: testo postumo, in definitiva, parzialmente rivisto dall’autore negli ultimi anni di vita.
Sul piano propriamente ermeneutico: varietà di rimandi a discipline complesse, ognuna col proprio codice: epistemologia, psicoanalisi, narratologia, teoria dell’informazione.

Sul piano tematico, infine: l’opera di Onetti, che è l’oggetto dell’analisi di Piglia, ed è parzialmente inedita in Italia. La conoscenza approfondita, da parte del traduttore, Loris Tassi, del corpus dello scrittore uruguaiano, ci ha aiutato a districare vari nodi. E la figura di Onetti: uno scrittore ambiguo, la cui irriducibilità richiedeva uno sforzo, da parte nostra, di contestualizzazione e di precisione – lo spazio vuoto del segreto, così come la fuga nell’altrove, sono figure del desiderio e non della rassegnazione.

Il traduttore ha fatto un primo passaggio, i curatori un secondo, di inquadramento concettuale e di messa a punto linguistica e stilistica; insieme abbiamo fatto un terzo e ultimo intervento di lima.

8) Per finire torniamo da dove eravamo partiti, all’orbita della collana: potete anticipare qualcosa sui prossimi volumi a cui state lavorando?

In questi mesi stiamo lavorando a L’ultimo bastione del buon senso di Danilo Kiš, una raccolta di saggi in gran parte inediti in Italia. La traduzione di questo volume è di Anita Vuco e la curatela è di Alfredo Zucchi, Federica Arnoldi e Luca Mignola. In queste pagine, sulla traccia del formalismo, Kiš s’interroga sulla duplice funzione della scrittura: come arte (l’insieme dei procedimenti che definiscono lo stile) e come responsabilità (la posizione del soggetto di fronte alla Storia).

Al libro di Kiš farà seguito Por favor, ¡plágienme! di Alberto Laiseca, scrittore argentino che mescola nella sua opera narrativa la finzione e la critica in modo sistematico (e delirante). A completare il primo ciclo di pubblicazioni della collana ci sarà Viktor Šklovskij con Rozanov. L’intreccio come fenomeno di stile. In quest’opera Šklovskij, come nel saggio Verso una tecnica della prosa senza intreccio, ragiona intorno ai limiti dell’invenzione letteraria. Il modo in cui abbiamo trovato quest’opera, tra le righe di Viaggio sentimentale, è una storia a sé, che racconteremo in un’altra occasione – è la storia di chi insiste a fare dei propri limiti il tema e l’oggetto della propria ricerca. L’incontro con Maria Zalambani, slavista e traduttrice di Zoo, ci ha permesso di spingerci ancora più a Est.


Ricardo Piglia, Teoria della prosa, Napoli, Wojtek, 2021, pp. 201, € 20.