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Geometrie del desiderio: su “Romanzetto estivo” di Gherardo Bortolotti

«Sotto quelle geometrie mi tocca attraversare il futuro, scontare i giorni, il desiderio, i film di Rohmer, e i responsi a cui mi affido li decidono quelle costellazioni». La scelta di questi versi per iniziare il mio discorso su Romanzetto estivo di Gherardo Bortolotti (Tic edizioni, 2021) non è casuale: ogni libro ha le sue soglie, e decidere quali attraversare per prime significa scegliere l’ordine in cui procederà il discorso. I versi che ho riportato brillano più di altri perché rivelano, trasversalmente, l’architettura del Romanzetto, ovvero l’intenzione di Bortolotti di sondare le geometrie del desiderio che scaturiscono dal rapporto tra maschile e femminile, e di mostrarne la proiezione plastica all’interno di cornici narrative da lui predisposte e arredate. Il processo di dissezione del desiderio è già intrinseco al paratesto, grazie al quale vengono estratti tre piani: il desiderio letterario, che trova spazio nell’epigrafe di Hölderlin e nella scelta, come vedremo, del titolo di Romanzetto; il desiderio reale, accaduto ed esperito nell’estate del 2019, suggerito dalla nota di apertura dell’autore; il desiderio nella sua natura entropica dalla quale, tuttavia, emerge una direttrice incarnata dalle figure femminili che popolano il libro, non a caso ritratte in copertina e connesse attraverso una linea nera, un legame grafico da cui l’uomo, con il cuore esposto, rimane esiliato.

Appare chiaro da subito, dunque, che la prospettiva dell’io poetico si frantuma e si ricompone nell’incontro/scontro con queste donne, all’interno di un inesauribile gioco di specchi; si ha l’illusione di risalire all’origine del desiderio, della sua immagine, ma ogni volta è un inganno, un gioco di luci. Il femminile incarna l’essenza dell’altro da sé ed è nominato secondo un pattern letterario caro all’autore, ovvero Le città invisibili di Italo Calvino. E proprio Bauci è uno dei primi nomi a fare la sua comparsa, Bauci, straniante metafora dell’alterità, invisibile eppure presente, una città oltre la terra, ma che giace sulla terra. Il paradosso di Bauci è il paradosso del desiderio, l’eredità diretta dell’amor de lonh e dell’epica cavalleresca, la cui dinamica erotico-amorosa scorre sotterranea alle pagine del Romanzetto: l’assenza dell’oggetto del desiderio (Irene, Bauci, Armilla, Eufemia, Getullia, Odile, Eufrasia), nella sua ferocia, trasmuta in presenza, sottraendosi allo sguardo si rende visibile come fantasma, come ossessione, come mitologia. Dunque diventa impossibile, per chi narra e per chi ascolta, negarne l’esistenza.

Anche la struttura della raccolta risponde allo schema del desiderio. Se nei lavori precedenti di Bortolotti, come Tecniche di basso livello o Quando arrivano gli alieni, la giustapposizione dei frammenti narrativi è più randomica e maggiormente incline a mimare il caos della realtà, proponendo una vera e proprio ottica ricombinatoria; nel caso di Romanzetto estivo credo si possa asserire che siamo di fronte a un “intreccio”, un flusso organico che assorbe ognuna di queste micro-storie in un’unica dimensione temporale. La prosa 49 è emblema delle connessioni che il desiderio restituisce, ripete, impedisce di sciogliere: durante una giornata di luglio, in piscina con Bauci, l’io narrante intreccia i capelli della ragazza, ed è il gesto di chi crea, di chi dà alle singole parti una forma significante. Eppure i capelli non sono i suoi, non gli appartengono, e quel ricordo è diventato sogno di giovinezza o illusione svelata (o entrambe) perché è impossibile da confinare nel passato. Irene, Bauci, Armilla, Eufemia e le altre non possono essere ridotte a proiezioni del desiderio dell’io (anche se il desiderio maschile è protagonista), perché loro sono i punti di origine, da loro emanano quei desideri lunghi e sottili come capelli che costituiscono la trama dell’Estate, archetipica, di Bortolotti. Un’estate che, tuttavia, non è solo sublimazione ma anche contrasto con le zone morte dell’esistenza dell’individuo, con l’infraordinario a volte percepito e a volte obliterato dalla nostra mente, dove convivono «miti maggiori e minori», i «romanzetti» e le leggende, gli «orrori che promette la giornata» e le stanze segrete del sogno. Quei capelli raccolgono presente, passato e futuro. Tutti i fantasmi del desiderio.

Il titolo della raccolta, Romanzetto estivo, tuttavia, suggerisce anche un conflitto con l’idea stessa dell’amore. L’ironia della diminutio incrina la leggenda, insinua già sulla soglia il dubbio che l’illusione raccontata non sia più credibile né idolatrabile. Ed è in questa crepa che entra in gioco l’istanza conoscitiva del sentimento.

Sentimento e desiderio non condividono la medesima vocazione. Dunque, siamo di fronte a due porte, esse possiedono due diverse serrature e conducono a due possibilità di azione: laddove il desiderio costringe l’io lirico a separarsi, da sé e dagli altri, e ad abitare i non-luoghi dei suoi fantasmi, al contrario il sentimento lo spinge a entrare in contatto con gli oggetti, con la realtà, con l’esperienza («Non fidarti dei desideri, fidati dei sentimenti», mentre i desideri mi infestano con le loro leggende e i desideri non hanno parole ma solo una durata sorda che sa di roccia e di sopravvivenza», p. 49). Perché il sentimento di cui Bortolotti scrive non è il sentimentalismo moderno ma è il processo relazionale che implica attraversare il mondo senza rifiutarlo, come accade nel Viaggio sentimentale e nel Tristram Shandy di Laurence Sterne, mentre «gli unici oggetti che restano sempre desiderabili sono gli oggetti inaccessibili, quelli che sono indicati da modelli troppo potenti per essere sconfitti» (Geometrie del desiderio, René Girard, Raffello Cortina editore, 2012, p. 54). Ma solo perché il desiderio pretende dal soggetto un voto di fallimento ciò non implica che il sentimento sia garanzia di successo: la «sopravvivenza» non è, per l’appunto, vita. Ne conserva la sembianza e può anche trarre in inganno. «Il fatto è che non ho sempre una via d’uscita e lo dimostra il senso di mesta astrazione che mi abita la sera» (p. 23): la prima domanda che un lettore si pone di fronte a questo e ad altri versi simili è per quale motivo l’io, così lucido nell’esplorare l’inganno, non si sottragga al gioco, non smetta di agitarsi nell’intercapedine che separa (e unisce) la leggenda e il romanzetto. In questa cornice, Bortolotti introduce la questione del «sortilegio» d’amore (p. 23). Prestando attenzione all’etimologia del termine – composto di sors, “sorte”, tessera di legno per la divinazione, e dal verbo lègere, “raccogliere” – diventa chiaro quanto l’amore sia intimamente legato alla profezia, alla necessità che l’essere umano avverte di credere che quel futuro, di desiderio e di sentimento, sia destinato a lui/lei. Questa possibilità, espressa linguisticamente attraverso l’uso del condizionale e del congiuntivo, come sottolinea Chiara Decaprio nel suo articolo, «crea lo spazio per ciò che non è, ma potrebbe accadere o sarebbe potuto accadere» e, soprattutto, forgia una dipendenza, un’attesa. Uno spazio non singolo ma plurale: si tratta infatti delle stanze costruite dalle singole prose, arredate dall’io secondo l’esorcismo del desiderio, non-luoghi in cui l’incontro con il femminile assurge a esperienza perturbante.

In questo consiste, sembra dire Bortolotti, la circolarità inscalfibile della storia d’amore che si racconta: entrare nella medesima stanza illudendosi sempre che sia diversa.


Gherardo Bortolotti, Romanzetto estivo, Tic edizioni, Roma 2021.