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“In vacanza su Marte”: il cinepanettone gotico

Sostenere che In vacanza su Marte sia uno dei film italiani più significativi del 2020 sembra un bizzarro overstatement persino se a dirlo è uno che del cinepanettone ha scritto una dichiarazione d’amore. In realtà, con buona pace dei suoi detrattori, questo sotto-genere cinematografico resta tutt’oggi un prodotto fondamentale per intercettare i sentimenti del paese, prendendosi il centro di dibattiti apparentemente fuori dal suo dominio che intersecano estetica e morale. Basta pensare al recente Lockdown all’italiana, (2020), mediocre pellicola diretta da Enrico Vanzina, che ha scatenato accese discussioni su quanto sia moralmente accettabile ironizzare e lucrare (si fa per dire) su una tragedia di dimensioni globali – in verità, l’unica cosa davvero moralmente inaccettabile è aver sprecato per l’ennesima volta il talento di Ezio Greggio, ma questa è un’altra storia. Non deve dunque sorprendere che In vacanza su Marte, che segna il ritorno di Neri Parenti, a quindici anni dal crepuscolare Natale a Miami, alla direzione della coppia Boldi–De Sica, sia capace di dare un senso, per quanto cupo e sinistro, all’anno che sta volgendo al termine.

Siamo nel 2030. La razza umana ha portato a compimento le sue fantasie colonialiste, espandendo il proprio dominio al di fuori della sfera terrestre. Convertito in una meta turistica ambitissima (tra i ricchi), Marte è stato trasformato a immagine e somiglianza della terra attraverso la costruzione di cupole di cristallo capaci di contenere perfette riproduzioni dei suoi ‘luoghi più incantevoli’ – tra cui, non sorprendentemente, Roma. Ed è proprio qui che si intrecciano le due vicende principali del racconto. Fabio (Christian De Sica) è il solito marito poco incline alla fedeltà coniugale, avendo fatto perdere le proprie tracce alla moglie Elena (Paola Minaccioni) e al figlio Giulio (Alessandro Bisegna) da ormai quattro anni per iniziare una relazione con la nuova compagna, Bea (Lucia Mascino). Quando scopre che la mamma di lei, Tina (Milena Vukotic), sta per ereditare una fortuna, decide di sposare la donna, optando naturalmente per Marte, pianeta nel quale non vige la giurisdizione italiana, ideale per maritarsi senza dover rendere conto alla prima moglie. Arrivato su pianeta rosso, però, Fabio ritrova il figlio con la ragazza al seguito (Denise Tantucci), blogger decisa a smascherare la rispettiva infedeltà della più famosa coppia di influencer italiani (Fiammetta Cicogna e Francesco Bruni), pilotata dal promoter Pippo Anselmi (Herbert Ballerina). Allo scopo di liberarsene per qualche ora, Fabio convince Giulio a partecipare a un’escursione spaziale che, tuttavia, non va secondo i piani. Il ragazzo viene catapultato in un buco nero e viaggia 50 anni nel futuro, ripresentandosi su Marte con le fattezze di un anziano di 67 anni (Massimo Boldi, che in realtà ne ha 75).

La trama è puro delirio e la prima mezz’ora di film è qualcosa di spaesante. De Sica, che da anni ha smesso di muoversi «come Rummenigge nell’area della Cavese», come diceva di se stesso nel primo straordinario Yuppies (1986) di Carlo Vanzina, appare ormai stanco, farfugliante e profondamente a disagio nel dialogare con un gruppo di attori che Giacomo Poretti definirebbe «presi dalla strada». La performance dei ragazzi più giovani è specialmente sconcertante persino se si tiene conto dei tradizionalmente bassissimi livelli del cinema italiano. Anche i più navigati Minaccioni e Mascino sembrano aver recentemente ottenuto il diploma presso l’Accademia Nazionale di Arte Drammatica Alberto Tomba, mentre Herbert Ballerina fallisce miseramente nel rivitalizzare il ruolo che Enzo Salvi aveva fatto suo in Natale sul Nilo (2002), svuotandone l’essenza cafona ed esuberante. La storyline dei due influencer – una brutta copia di Fedez e Chiara Ferragni – non ha mordente e mostra una volta di più l’incapacità del cinepanettone post-1995 di produrre una coerente satira di costume.

Al minuto 29, però, succede improvvisamente qualcosa. E quel qualcosa, come frequentemente accade nei film di Parenti, si chiama Massimo Boldi. Quando il volto distorto, gigantesco e grottescamente ghignante di Boldi appare nella tuta spaziale precedentemente appartenuta al capelluto diciassettenne, un film orrendo si trasforma in un film sull’orrendo. E in questo 2020 c’è forse poco di più sistematicamente demonizzato e ‘alterizzato’ della vecchiaia umana. Viviamo un momento storico caratterizzato dal dilemma ‘distruggiamo l’economia o salviamo gli anziani’, in cui il discorso eugenetico è tornato prepotentemente alla ribalta nel dibattito pubblico e le vite di coloro che sono ormai ‘improduttivi’, come ha lasciato intendere il governatore della Liguria qualche settimana fa, valgono inevitabilmente meno di altre. In vacanza su Marte è, coerentemente, una terrificante meditazione sull’ageismo. Il settantenne Parenti utilizza i corpi e i volti di due dei più importanti interpreti della commedia italiana dell’ultimo Novecento (De Sica e Boldi, che di anni ne hanno rispettivamente 69 e 75) per riflettere sulla mostruosità del processo d’invecchiamento umano e le sue implicazioni nelle dinamiche socio-politiche: la reazione alla trasformazione di Giulio non è quella della sorpresa ma dell’orrore; più che colpito dall’assurdità farsesca dell’evento, Fabio è ripugnato dalle disgustose fattezze del figlio, descritto come «una palla da biliardo sopra una vescica». Invecchiare è qualcosa da cui ci si nasconde e di cui ci si vergogna: «copriti, ma che è sto schifo», ripete spesso De Sica a Boldi dopo averlo osservato in mutande. Lo spettatore, costantemente esposto alle deformità e alle escrescenze di un corpo in stato di deterioramento, si trova suo malgrado scaraventato in un immaginario stridente dove cinepanettone e gotico si nutrono a vicenda. Boldi è una sorta di non-morto, un essere immorale e vampiresco che infetta la vita e l’ordine dell’universo; ed è attraverso le sue caratteristiche distintive (difficoltà deambulatoria, sudore eccessivo, alito pestilenziale, ventre pronunciato) che si definisce, per contrasto, la normalità. Una normalità che implica necessariamente giovinezza e produttività. Non è un caso che invece di andare incontro alla morte, come in Natale sul Nilo o Natale a Miami, entrambi i protagonisti decidano volontariamente di rintanarsi nel buco nero e fare ritorno su Marte ringiovaniti. Al tempo stesso, è significativo che Giulio, a cui viene chiesto di smascherare i due influencer immortalandoli in atteggiamenti amorosi con altri partner, finisca per fotografare goffamente se stesso, producendo una serie di smorfie mostruose a cui la giovane fidanzata reagisce con spavento e malcelata indignazione.

Nel cinepanettone del 2020 non ci sono più Loredana e Moana (anche qui, Yuppies) o le mandrille di Porto Recanati (che non ha, mi auguro, bisogno di presentazioni). Non ci sono né vitalità né prorompenza. I corpi, lungi dal liberarsi delle costrizioni societarie e culturali, vengono castigati e stigmatizzati come prodotti di una modernità malata. Non sorprende, in questo senso, che l’unico corpo femminile su cui ci si focalizza è quello di Tina, ritratta come un’anziana ninfomane vittima di innaturali pulsioni erotiche. Attraverso le parole di De Sica, che spende gran parte del film a reprimere volgarmente i desideri di Tina di intraprendere una relazione di tipo carnale con altri uomini della sua stessa età, il film rimuove la sessualità (femminile) tra gli anziani dalla sfera dell’accettabile, la rende deviante e la relega nelle gabbie del ridicolo e perciò del proibito.

I cinepanettoni, lungi dall’aver ‘dipinto’ la realtà, hanno invece sempre studiato il suo lento e graduale evolversi. E questo film immagina, letteralmente, un’Italia sempre più aspra, cattiva, sessista, xenofoba, conservatrice nei costumi e tecnologicamente inadeguata ­– siamo nel 2030 eppure ci sono i blogger, i telefonini, i droni; e basta una corda che si stacca per lasciar precipitare una persona in un buco nero. Lontano dall’essere il trionfo dell’operazione nostalgica, come molti hanno sostenuto, In vacanza su Marte è in realtà uno dei film più terrificanti, in tutti i sensi, dell’anno. Non sembrano esserci speranze di redenzione per l’umanità e la colonizzazione di Marte, frutto di un sogno morbosamente imperialista ed eticamente ripugnante, non rappresenta certo una via d’uscita all’auto-distruzione. Anzi, come ci dice Parenti attraverso la voce narrante a inizio film, sulla terra «le cose vanno sempre peggio». Ed è difficile trovare qualcosa di più appropriato per concludere questo 2020.