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‘Dafne’ di Federico Bondi: il cinema che porta la luce

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«Io voglio piangere!», è l’urlo di ribellione di una giovane donna a cui viene chiesto di assumere “pasticche per non piangere”, una reazione forte contro le soluzioni semplicistiche e una lezione di vita che non si dimentica facilmente. Dafne di Federico Bondi, presentato alla 69esima Berlinale nella sezione Panorama e vincitore del premio FIPRESCI – riconoscimento dei critici internazionali – è questo: un film prezioso, un inno alla vita e al coraggio che raccoglie la sfida di mostrare il dolore della perdita, l’elaborazione di un lutto e la gioia di vivere da una prospettiva inedita.

Dafne (Carolina Raspanti) è una giovane donna forte e dinamica che ama ballare, porta abiti appariscenti e i capelli tinti di un rosso sgargiante. Si trova in campeggio con i genitori durante una giornata di fine estate quando sua madre, colonna portante della famiglia, viene improvvisamente a mancare. Dafne si trova così travolta dal terribile avvenimento insieme all’anziano padre Luigi (Antonio Piovanelli), di indole introversa e terrorizzato dall’idea di lasciare prima o poi la figlia da sola. Dopo aver superato il devastante impatto iniziale, sarà tuttavia proprio lei a prendere in mano la situazione e a far transitare entrambi verso il ritorno alla normalità, gestendo la routine quotidiana con straordinaria fermezza.

Dafne è una ragazza con sindrome di Down, ma la sua condizione viene menzionata una sola volta, di sfuggita, quasi per far riferimento al fatto che nell’economia del racconto il riferimento appare superfluo, poiché questa giovane donna straordinaria è difficilmente classificabile secondo schemi, soprattutto quelli comunemente utilizzati per parlare di persone diversamente abili.

Il personaggio di Dafne, la cui vicenda biografica – ad eccezione del lutto – coincide con quella della sua straordinaria interprete Carolina Raspanti (che non ha mai letto la sceneggiatura), è tratteggiato con maestria attraverso uno sguardo puro, intenso ma delicato, del tutto privo di paternalismo o di qualsiasi banalizzazione. La protagonista viene osservata da vicino nella sua quotidianità (dal parrucchiere, in palestra, in pausa con i colleghi) e nei momenti più intimi e raccolti (la sera in cucina, a mangiare gli ultimi avanzi dal frigo). Una giovane donna mostrata con i suoi pregi – dolcezza, forza e determinazione fuori dal comune – ma anche con tutti i suoi limiti, dovuti a un carattere spigoloso che riesce a far perdere le staffe perfino al paziente genitore. Sempre circondata da parenti, amici e colleghi che la adorano, Dafne tiene molto alla sua indipendenza ed è del tutto autonoma (anche dal punto di vista sentimentale, tanto da definirsi “single convinta”); è una lavoratrice instancabile («Per me il lavoro è sacro!») ed entusiasta, che ama in particolare “creare cose”.

Sarà proprio la forza creatrice di Dafne a farla riuscire nell’intento di trascinare il padre in un viaggio on the road, una sorta di cammino iniziatico per entrare in contatto con la memoria della moglie e della madre defunta raggiungendo a piedi il suo paese natale attraverso le foreste dell’Umbria. Il viaggio è costellato di momenti commoventi, poetici, spiazzanti ed esilaranti (le riflessioni mistiche di Dafne di fronte alla luce in mezzo al bosco, l’incontro con le guardie forestali in cui si discute di flirt amorosi), fino ad arrivare alla meta di un cammino ancora incompiuto ma ormai avviato, e forse superato nella sua parte più difficile.

Il ritratto di un padre e di una figlia, di due “sopravvissuti”. Così il regista Federico Bondi definisce la prima suggestione da cui è nato il film, l’immagine – che lo aveva particolarmente colpito durante un viaggio – di un uomo anziano accanto alla figlia con sindrome di Down, in attesa alla fermata dell’autobus. Da qui il desiderio di narrare la storia che avrebbe potuto celarsi dietro l’immagine, quella di due persone estremamente fragili e potenzialmente ai margini della società, tuttavia in grado di sorreggersi a vicenda di fronte alla sorte avversa, con un equilibrio delicato ma perfetto.

Dafne è uscito nelle sale il 21 marzo, Giornata Mondiale delle Persone con Sindrome di Down, ed è patrocinato da AIPD – Associazione Italiana Persone Down e Comitato Siblings Onlus – Fratelli e Sorelle di Persone con Disabilità. La protagonista Carolina Raspanti vive e lavora in provincia di Ravenna e ha ben due libri all’attivo (Questa è la mia vita e Incontrare e conoscersi: ecco il mondo di Carolina).  È stata proprio la sua attività di scrittrice a consentire al regista Federico Bondi di intercettarla e di proporle il suo progetto.

Esuberante e perfezionista, Carolina non ha esitato a gettarsi a capofitto nella sfida di raccontare sé stessa e la sua vita, ma anche di misurarsi con la sofferenza narrata e immaginata. Il regista ha più volte sottolineato il fatto che durante le riprese è stato il film a plasmarsi su Carolina, che non ha letto la sceneggiatura ma si è adattata di volta in volta, con sorprendente risultato, alle scene girate.

L’infaticabile Dafne/Carolina è una persona di una vitalità contagiosa, in grado di portare la luce nella vita delle persone che la circondano. La sua interpretazione ci regala un ritratto difficilmente dimenticabile, dove le categorie e gli schemi comunemente attribuiti alle persone simili a Dafne scompaiono del tutto, per lasciare spazio all’individuo nel suo relazionarsi più puro e ancestrale con l’ambiente, le persone, i sentimenti.