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“M” di Antonio Scurati: il Duce è nudo

1.

Che cosa è stato e cosa è oggi per gli italiani Benito Mussolini? Se, poniamo, un tale si mettesse in testa di porre una domanda di questo genere a un numero imprecisato di persone in una qualsiasi piazza del Paese, il panorama delle risposte apparirebbe senza dubbio variegato. Il fatto è che gli italiani, nel concreto, non hanno mai fatto del tutto i conti con il Duce: lo spettro del fascismo persiste sbiadito, tra sacche di resistenza politica e soprattutto persone che, più o meno consciamente, al fascismo si richiamano, o a cui silenziosamente inneggiano. Questo potrebbe essere un primo e valido motivo per spiegare l’uscita di M. Il figlio del secolo, romanzo di Antonio Scurati di cui s’è tanto parlato e tanto si parla, e un motivo per leggerlo. Si tratta difatti della storia verosimile, documentata e allo stesso tempo romanzata di Benito Mussolini, che per la prima volta viene narrata in prima persona, o meglio «ad altezza d’uomo», come assicura lo stesso autore. È peraltro il primo capitolo di quella che vuole essere una trilogia, dunque una vera e propria epopea del fascismo, e racconta nel particolare il periodo della faticosa ascesa al potere (1919-1925).

La domanda che salta subito in mente al potenziale lettore è stata solo in parte fugata, ed è giusto e ovvio che si presenti come interrogativo principale: perché scrivere un romanzo proprio su Mussolini? Ancora, scavando più in profondità: se parlare di fascismo (passato e presente) nel 2018 non è certo un’operazione folle, anzi, perché romanzare la vita di Mussolini? La risposta non è semplice; per poter anche soltanto intuire quale possa essere il ruolo di M nella nostra società e da un punto di vista prettamente critico-letterario è necessario andare per gradi, analizzando forma e contenuto di un congegno narrativo dal funzionamento non semplice.

 

2.

Li accusano di portare la violenza nella lotta politica. Lui lo ha detto chiaro e tondo: i fascisti sono violenti tutte le volte che è necessario esserlo. Punto. Non c’è altro da aggiungere. Loro sfasciano, distruggono, incendiano tutte le volte che sono costretti a farlo. Ecco tutto. A lui pare che sia una formula soddisfacente.

Ci si accusa di portare nella vita politica la violenza. Noi siamo violenti tutte le volte che è necessario esserlo… La nostra deve essere una violenza di masse, ispirata a dei criteri e dei principi ideali…
(B. Mussolini, “Ai fascisti della Lombardia”, Il popolo d’Italia, 22 feb. 1921)

Anzitutto è importante guardare al modo in cui Scurati ha raccontato Mussolini e la sua epoca, e cioè utilizzando simultaneamente la «libertà spregiudicata del romanziere» e una vasta base documentale. Per saldare due attitudini così lontane, per certi versi impossibili da riunire, l’autore ha dato una forma peculiare al libro: la narrazione è scandita da capitoletti piuttosto brevi in cui opera una “verosimile finzione”, intervallati da sezioni apposite che testimoniano indiscutibili citazioni storiche – provenienti da periodici, discorsi pubblici resocontati, diari, memorie d’ogni genere e fatta. Il lettore finisce così per pensare alla fine d’ogni capitoletto che, si perdoni il bisticcio, il filo della storia (del romanzo) è davvero il filo della storia (vera, attestata, “storica”). È questo un escamotage che riveste di una patina di veridicità la lunga narrazione (quasi 850 pagine) e rinfocola con un sottile gioco di rispondenze la voglia di andare avanti: quando si arriva alla conclusione d’ogni capitoletto ci si stupisce: il lettore scopre che sì, è andata proprio così, le parole e le azioni dei personaggi sono cavate di bocca alla storia. E tuttavia è necessario prendere le distanze dai proclami del risvolto di copertina che, con troppo entusiasmo, parla di M come di «un romanzo in cui d’inventato non c’è nulla».

Può esistere un romanzo di questo genere? Passare in rassegna le vicende legate alla querelle imbastita sulle pagine del «Corriere» tra l’autore e lo storico Galli della Loggia può fornire qualche spunto di riflessione a riguardo. La discordia nasce, a conti fatti, dalla scomoda (ancor più scomoda perché contemporaneissima nel contesto) natura anfibia del romanzo: genere letterario e pratica di scrittura storica possono incontrarsi, ma non amalgamarsi. Un romanzo storico non è un testo storico, per definizione tra le carte del mazzo si confondono la veridicità documentale, e cioè i numeri della storia effettiva, e la finzione romanzesca, e cioè i jolly calati dal romanziere. Ciò fa di M un ordigno davvero pericoloso: se da una parte si tratta di un’opera che permette di rivivere con verosimiglianza l’epoca del fascismo e consente nuove importanti riflessioni, dall’altra si tratta per forza di cose di un testo che porta con sé una componente finzionale e di scavo relativo, personale, soggettivo (dell’autore). Senza contare che, come Galli della Loggia ha sottolineato con zelo e un piglio asprissimo (il suo articolo titola: M di Antonio Scurati, il romanzo che ritocca la storia), c’è qualche dato storpiato, toppato: e questo di per sé non invalida certo il romanzo, ma sicuramente problematizza l’idea di poter «rifonda[re] il nostro antifascismo». Si dica però che gli errori denunciati sono sì «marchiani», si potrebbe dire maldestri, ma non tali da intaccare l’intera orditura del romanzo: il fatto è che, se ben si guarda dietro le righe dell’intervento dello storico, il problema risiede proprio nel fatto che sia stata concepita un’operazione di questo tipo. Il contrasto nasce dalla qualità anfibia (“troppo anfibia”) di M, che pur non essendo considerabile una schietta “biografia” mal si colloca nella casella romanzo: rimane in bilico tra storia e finzione con sguardo piacione, lanciando un occhiolino alle due parti nello stesso momento. Qui forse un passo in più (verso la storia o, meglio, verso il romanzo) avrebbe permesso una perfetta taratura del meccanismo, che spesso smussa la forza della focalizzazione sui personaggi per non perdere di vista la veridicità storica, o viceversa.

3.

Mi son detto: io voglio scrivere il fascismo, la lotta per il potere dei fascisti, con precisione storica assoluta, ma con quella capacità di coinvolgere che ha una narrazione epica come Il trono di spade.
(A. Scurati per Fanpage)

 

Altro punto di discussione: di M si farà una serie televisiva, i diritti sono già stati acquistati da Wildside. La trasposizione mediale, e cioè il passaggio dal medium romanzo a quello della serialità televisiva, comporta altri e alti rischi. Si dica però che questo è quasi un passaggio obbligato, contando che Scurati ha ammesso d’aver guardato, in fase di composizione, alla narrazione del Trono di spade, a suo modo di vedere «un capolavoro assoluto della letteratura mondiale» (e ha parlato nello specifico della serie, non dei libri). Qualcosa che appartiene alle strategie di narrazione della serialità televisiva in M effettivamente c’è, e funziona anche bene. C’è, per esempio, una divisione della storia cadenzata e molto precisa, che sembra in parte già suggerire una divisione in puntate: le vicende seguono un canovaccio che ha tutta l’aria di essere stato studiato puntualmente, con l’obiettivo di strutturare delle sequenze, dei quadri giustapposti che rendono il continuum storico di volta in volta, mantenendo per certi versi una parziale autonomia. Il collante, è piuttosto ovvio, è Lui, Mussolini: il suo volto spiritato, lo sguardo aguzzo e ardito collegano delle sottotrame che sono descritte ampiamente, senza alcuna fretta di tornare al “nucleo” della storia – si pensi ai bei capitoletti che raccontano di atroci spedizioni punitive o al racconto dell’impresa di Fiume, che è raccolto (com’è d’altronde inevitabile) nel segno di D’Annunzio.

Il fascismo, tra capitalismo e comunismo, deve essere il terzo tra due litiganti. Quello che gode. Bisogna tenersi leggeri per permettersi ogni sorta di svolte, combinazioni, manovre, capriole, guizzi. I fascisti non sono una delle due grandi classi in lotta, sono lo strato intermedio […]. Il trono è vuoto da troppo tempo, la violenza non viene mai senza la propria ombra, la spada va riposta nel fodero. Alla guida del fascismo siederanno i politici, non i guerrieri, e il capotavola è dove mi siedo io. Ora bisogna richiamare la muta latrante dei cani della guerra.

 

4.

Alla luce di queste considerazioni si può dire che M sia, oltre che un romanzo-documentario, una sorta di romanzo-serie. È necessario però insistere sulla prima e fondamentale etichettatura: M è anzitutto un romanzo ben strutturato, ideato per reggere il peso specifico del progetto.

Orchestrato a dovere è, per cominciare, il sistema dei personaggi: benché il fulcro sia effettivamente Mussolini, il Duce, attorno a lui si muovono delle figure tutt’altro che piatte o poste in secondo piano. Ogni capitoletto reca in apertura il nome del personaggio focalizzato, la data e il luogo d’azione: guadagnano grande spazio così le vicende legate ai gerarchi della prima epoca fascista (Balbo, Bianchi, Dùmini, Arpinati) e alle figure di spicco dell’antifascismo (Bombacci, Turati, Matteotti), che possiedono un loro ruolo, un’identità narrativa. Particolarmente riuscito e interessante è soprattutto il personaggio-Matteotti (che, visto il periodo preso in esame, si fa chiave di volta delle ultime vicende raccontate), presentato non a partire da un freddo punto di vista storico-politico, ma attraverso il regesto della corrispondenza con la moglie Velia. Proprio dal polo privato emergono la sua intransigenza e il fermo proposito di votare la vita alla politica: tutto nasce dal racconto d’una storia d’amore a distanza incredibile – e tragicissima. Insomma, in vario modo viene restituita pienamente la ricchezza della vita di quelli che sono stati anzitutto uomini, prima che protagonisti d’una svolta storica. Una simile strategia impreziosisce il racconto, ne apre il respiro e si avvicina con più forza a quello che è l’obiettivo di Scurati, ossia quello di raccontare la temperie di un’epoca cruciale per la storia d’Italia. Attraverso il racconto di fatti e fatterelli di amici, colleghi e nemici del Duce lo scavo dell’esperienza del primo fascismo acquista maggiore rotondità, tra violenze, dubbi, rischi di dissoluzione del partito e colpi di fortuna.

Per Giacomo Matteotti e Velia Titti, sua moglie, la lontananza è come il vento. Spegne i fuochi piccoli e accende quelli grandi. Nell’inverno del millenovecentoventidue, però, il fuoco è quello degli incendi appiccati da una mano dolosa alla casa avita, alla casa che era stata dei nonni, è il fuoco che d’improvviso, trascinati giù dal letto dagli squadristi nel pieno della notte, nudi e tremanti di fronte a una decisione troppo grande per chiunque, li costringe a chiedersi: «Cosa faremo quando tutto brucia?»

La lingua è piana, la sintassi il più delle volte svelta e adatta dunque alla misura corposa del tomo – perfettamente in linea rispetto alle esigenze del lettore ideale di Scurati, che deve poter essere, visti gli obiettivi della pubblicazione, un lettore interessato semplicemente alla storia del Paese, anche sguarnito d’una buona lente letteraria. C’è però, da un punto di vista retorico-linguistico, un problema di increspatura del discorso: quando il narratore, da buon marionettista, anima il personaggio-Mussolini, agisce spesso con sprezzatura e buona dote d’affabulazione (senza schemi o filtri preconcetti, senza fare del Duce una macchietta), ma a volte pesa nel suo racconto una marca retorica eccessiva. Capita che alcune similitudini siano innecessarie e troppo cariche (si pensi ai fascisti reduci dalla manifestazione di Napoli, che sono «addossati l’uno all’altro in capannelli, si riscaldano con il fiato irrancidito di stomaci vuoti, come buoi nella notte di Betlemme», corsivo mio) o ricorrano troppe volte delle perifrasi altisonanti che, per quanto possano in una certa ottica essere considerate breve parodia della pompa linguistica fascista o parte di una strategia di enfasi, rallentano la diegesi (si vedano le pagine 624 e 625, dove Mussolini viene definito, in serie, «uomo forte», «uomo della forza, forza fisica», «uomo della violenza che la placherà», «uomo della ferocia che l’ammansirà», «uomo della lotta che la farà cessare perché presto non ci saranno più due fronti ma uno soltanto», «uomo del destino», «uomo del destino» di nuovo, «domatore di leoni»). Così il meccanismo per un istante s’inceppa, complice una sorta di disturbo nel diagramma retorico-linguistico del romanzo, che il più delle volte si mantiene piatto, semplice e tuttavia (o meglio, proprio per questo) funzionale. Il problema è legato senza dubbio al peso del personaggio Mussolini, iperbolico, assurdo, un personaggio che viene sagomato a partire da una figura storica ma sembra esser nato per stare in un romanzo, in una storia che “non può essere davvero reale” – e, di conseguenza, alla non semplice impresa di fissare un’intelaiatura linguistica piana sul terreno della roboante retorica fascista, tutta raccolta tra iperboli, ripetizioni ossessive, paragoni incredibili.

Ora basta minuetti, ora torna in scena il titano che, nel giro di un mese, alla Scala, ricevuto da Toscanini, si bea di un applauso unanime di platea, palchi e loggione; l’avanguardista che alla Galleria Pesaro di Milano inaugura la mostra “Novecento”, curata da Margherita Sarfatti per rivelare al mondo l’arte del nuovo secolo; il pontefice laico che con forti colpi di piccone avvia la costruzione dell’autostrada da Milano ai Laghi; il patriota che si rivolge agli italiani del Nord America mentre firma la convenzione per la posa di cavi telegrafici attraverso l’oceano fra la madre patria e il nuovo continente.

 Tirando le somme, M, romanzo “impegnativo” (troppo, forse) e per certi versi ben scritto, permette davvero al lettore che riesca ad abbandonarsi al racconto di rimuovere qualsivoglia “filtro ideologico”, lasciando un eventuale giudizio di condanna per il “dopo”. Leggerlo in quest’ottica, però, non basta: è necessario tirare e sfilacciare col giusto piglio critico l’abito cucito ad hoc al libro, che pure riesce in un’operazione importante e per certi versi necessaria. Il messaggio è difatti e in definitiva rivolto alla coscienza delle persone, all’esaltazione della veridicità storica – da cui l’uomo, d’altronde, dovrebbe cercare di imparare senza mascherare fatti e accadimenti, senza cercare di adattare una lente a quel che, inoppugnabilmente, è accaduto.

Guardali, ascoltali, non capiscono cosa stia accadendo. Né gli uni né gli altri. Non capiscono che cosa gli sto facendo.


Antonio Scurati, M. Il figlio del secolo, Bompiano, Milano 2018,  848pp. 24,00€