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Hans Blumenberg. La trappola o il trionfo del concetto

A prima vista le opere di Hans Blumenberg (1920-1996) – si pensi per esempio al celebre Naufragio con spettatore – possono sembrare semplici carotaggi condotti attraverso gli strati di una roccia sedimentaria. Guidato dalla coerenza di una metafora o di un problema, l’autore scava dal profondo e dispone in sequenza i materiali accumulati nelle epoche più diverse. Ma uno sguardo attento rivela che quegli stessi strati rocciosi sono stati sottoposti a ulteriori processi litogenetici di tipo metamorfico. Temperatura, pressione, sollevamenti, torsioni e scorrimenti di strati producono nuovi minerali e inedite disposizioni degli elementi costitutivi. Così, gli elementi che compongono il testo blumenberghiano sono riconoscibili, ma non inalterati, sempre sottoposti a rielaborazione e ripensamento (secondo Roland Barthes «uno scrittore è una persona che incatena citazioni togliendo le virgolette»).

«A un primo impatto» scrive Paolo Caloni «i testi di Blumenberg lasciano disorientati per la ricchezza, l’erudizione e la minuziosità delle esposizioni», ma suscitano anche perplessità per «un’apparente disorganicità e dispersione» (p. 29). Oltre che scrittore, Blumenberg è stato infatti un formidabile lettore e i suoi testi sono il risultato di un complesso intreccio «di interazioni e di rinvii reciproci» di fonti provenienti «dai più disparati ambiti culturali» (p. 30). Ciò, confessa Caloni, «è una fonte continua di difficoltà», anche perché «è spesso arduo comprendere dove finisca il pensiero di Blumenberg e dove cominci quello dell’autore che sta commentando»; inoltre, il dialogo è spesso condotto con pensatori «implicitamente presupposti o solo evocati» e Blumenberg, comunque, «prende raramente una posizione chiara, preferendo integrare e far interagire il proprio commento con l’autore o la posizione discussa» (p. 30).

La difficoltà nella lettura degli scritti di Blumenberg si radica quindi nella necessità di dipanarne la complessa tessitura, ma anche nella necessità di comprendere e presentare il pensiero dell’autore cogliendolo in filigrana in quello altrui, in primo luogo di pensatori non meno impegnativi come Husserl e Cassirer. Con questo libro Caloni non si è sottratto alla sfida, anzi, come segnala Bruno Accarino nella Prefazione, ha scelto decisamente la via più ardua assumendo come «asse di lettura» quello fenomenologico. E a questo punto la responsabilità deontologica del recensore spinge a mettere in guardia il lettore baleniero con un avvertimento preliminare: questo non è un libro per tutti – non si tratta di filosofia da festival –, per apprezzarlo fino in fondo è necessaria una certa familiarità con Husserl e la fenomenologia.

Qualunque opzione di lettura mette ovviamente in secondo piano alcuni aspetti del caleidoscopio blumenberghiano, ma la prospettiva fenomenologica ha certamente il merito di cogliere uno degli indiscutibili elementi di fondo di quel complesso intreccio. Al di là infatti dell’estenuante e maniacale insistere husserliano con l’atteggiamento innaturale del pensiero, al cuore del programma fenomenologico c’è pur sempre il ritorno alla “cosa stessa”, e, secondo Blumenberg, poter dire ciò che si vede è nientemeno che la realizzazione della felicità terrena. Questo, sottolinea Caloni, è il senso di una filosofia che si comprende nel veranschaulichen, verbo molto amato da Blumenberg, che significa illustrare, esemplificare, ma che può essere meglio reso in italiano con “rendere intuitivo”, “rendere visibile” (p. 35). Far vedere una cosa significa sottrarla all’invisibilità dell’ovvio, portarla in primo piano, dall’ombra alla luce, e dedicarvisi con la «disciplina descrittiva dell’attenzione» (p. 36). La metaforologia è, in effetti, «una disciplina dell’attenzione», ovvero un “soffermarsi su…”, un pensarci ancora una volta o, come si esprimerebbe Blumenberg, è l’esercizio della Nachdenklichkeit (pensosità) nella quale «è contenuta un’esperienza di libertà» (p. 297).

La struttura del libro è tripartita, poiché Caloni propone di leggere l’opera di Blumenberg seguendo un percorso attraverso i tre grandi nuclei tematici della metafora, del mondo della vita e del mito. La metaforologia è l’importante progetto messo in campo da Blumenberg in parallelo e in alternativa alla Begriffsgeschichte (la storia dei concetti), convinto che la metafora consenta di esplorare «uno strato dell’esperienza umana del mondo che non si cristallizza in forma concettuale» (pp. 37s.). Per come è concepita da Blumenberg, la metafoa risulta comprensibile alla luce della metamorfosi subita dal simbolo in Kant, passando attraverso il grande progetto della Filosofia delle forme simboliche di Cassirer. La metaforologia blumenberghiana, scrive Caloni, presenta le metafore come «strutture pre-categoriali magmatiche, che nel loro funzionamento esibiscono la genesi delle forme di senso. Tali attività genetiche operano implicitamente: rimangono sullo sfondo degli orizzonti, operano ai confini e sugli orli con il non senso» (p. 38).

Il mondo della vita (Lebenswelt), invece, è il contraltare della metaforologia, e in questa seconda parte del libro l’autore di riferimento ineludibile è il padre della fenomenologia: «Blumenberg recupera la definizione di Husserl di mondo della vita come universo di ovvietà sempre presupposte, le quali costituiscono il fondamento su cui si sviluppa il senso della cultura umana» (p. 39). Il mondo della vita è il mondo familiare e irriflesso, quindi non conosciuto, da cui prendono distanza la coscienza e la filosofia: nel momento in cui la coscienza pone attenzione al mondo della vita attesta sé stessa come fuoriuscita da quel mondo in cui, per definizione, non è ammessa. Fra inconsapevole e consapevole, non conosciuto e conosciuto, «fra mondo della vita e mondo culturale umano vi è uno iato incolmabile» per la conoscenza concettuale, ma l’attraversamento di quella soglia è espresso dalle metafore, «ricordi di un passaggio immemorabile dal non senso al senso» (p. 40).

La terza parte del libro riprende la questione di tale passaggio fondamentale nella prospettiva del mito, ovvero «in una nuova luce più attenta alle realizzazioni storiche» (p. 40). Il mito, infatti, secondo Blumenberg si distingue dalla metafora esattamente e soltanto per la coloritura storico-antropologica, poiché dal punto di vista della loro funzione, sono la stessa cosa. Mentre la metafora segna l’uscita dal mondo della vita con la produzione di senso in chiave trascendentale, il mito fa lo stesso assegnando nomi e creando storie.

L’estrema complessità dei tre grandi nuclei tematici è trattata da Caloni in modo da strutturarne una fenomenologia comprensibile in base alle coordinate di quattro punti di riferimento, rappresentati dai due autori più volte citati (Husserl e Cassirer) e dalle due chiavi di lettura riportate nel sottotitolo del libro: le realtà metaforiche e la fenomenologia della distanza. Come una rosa dei venti polarizzata sui quattro punti cardinali, il lavoro di Caloni cerca di distinguere al cuore dell’opera di Blumenberg ciò che proviene ora da una ora dall’altra direzione, ma l’elemento decisivo e unificante di questo quadrilatero ideale è sicuramente la distanza. Distanza, infatti, è ciò che contraddistingue la coscienza in quanto tale e tanto più quella filosofica. «Quella di Blumenberg è una fenomenologia del distanziamento dal mondo della vita, del suo essere presente nella forma della propria incolmabile distanza» (p. 296). Per la coscienza stessa, come già osservato, «si rende manifesto un rapporto con la realtà basato sulla distanza», poiché essa «si rapporta con la realtà rinunciando ad essa: “la rinuncia diventa, fino alle più alte forme del lavoro della pura teoria, la categoria continua e sempre più raffinata della partecipazione a ciò che non si è”» (p. 256). Distanza, scrive Blumenberg, «significa non avere tutto presente, ma avere a disposizione l’assente esattamente come il presente» e la coscienza, commenta Caloni, è un modo di relazionarsi al mondo, «una prosecuzione della vita con altri mezzi, in un nuovo ordine di possibilità di senso» (p. 257).

Tutto ciò può anche suonare astratto, ma, attraverso la mediazione della metafora e soprattutto del mito, si radica nella fedeltà alla storia, alla specie umana, alla terra. In questo Blumenberg è più nietzschiano di Nietzsche. Nietzsche vuol essere fedele alla terra, ma è selettivo, ne considera solo alcuni aspetti. Blumenberg considera tutto e tutto sottopone a metamorfosi. Nulla della complessità e della storia può essere trascurato. Nietzsche e Heidegger vorrebbero gettare ponti dalla campata millenaria per tornare direttamente all’origine e riportarla immutata a noi. Per loro valgono solo ciò che era prima e ciò che auspicano torni, l’inizio perduto e il futuro vaticinato. Per Blumenberg non si rinuncia alla catena storica degli eventi, nella quale si possono certo distinguere soglie, ma in cui non esistono né nuovi inizi né inizi del nuovo perché tutto è prosecuzione senza inizio.

«Un mito è qualificato come tale, non per l’illusione della sua provenienza da un passato profondo, ma perché esso è stabile nel tempo» e «Blumenberg non distingue fra mito originale e la sua ricezione: i due aspetti sono fra loro inscindibili. Ogni mito, anche il più antico, è già il prodotto di un lavoro sul mito, cioè di una ricezione, così come ogni variante del mito è una variazione legittima e non una corruzione» (p. 241). Anche Omero ed Esiodo ricevono, rielaborano, scrivono e trasmettono una tradizione orale che li precede. Retrospettivamente esistono solo strati ulteriori, l’Ur- è oltre l’orizzonte di visibilità della specie homo sapiens, esso si trova sempre al di là del limite cui può spingersi il logos nella sua veste scientifica, storica, critica. L’origine di ogni cosa umana è nell’uscita dal mondo della vita, dalla caverna dell’ominide, nella creatività della metafora, ovvero di ciò che porta oltre congedandosi dalla natura per generare cultura, e questa origine non è solo al principio di ogni cosa, ma è il principio di ogni cosa. L’origine è allora e ancora, anche ora.

La metafora e il mito accompagnano la vicenda dell’homo sapiens, sono la sua facoltà umanizzante originaria e originante umanità. Blumenberg, dunque, liquida il mito delle origini e con esso anche tutto l’apparato razzistoide e para- o cripto-fascista che spesso lo accompagna. L’uomo più di altri predatori meglio attrezzati, l’uomo debole più dell’uomo forte, deve necessariamente far leva sulla capacità di prevenire, cioè di pensare in anticipo, in assenza del pericolo, in mancanza di ciò che manca; secondo Blumenberg la costruzione della trappola è manifestazione della primitiva capacità di pensare e operare in funzione dell’assente, della capacità simbolica di astrazione, di passare nel pensiero dal reale al possibile, dal presente individuale all’universale. «Nella scena primordiale raccontata da Blumenberg, la fantasia, cioè l’organo del riferimento all’assente, si confronta direttamente con il problema della sopravvivenza dell’essere umano» (p. 261): il potere della fantasia, la fantasia al potere.

L’uomo è tanto più uomo quanto meno è costretto ad essere realista, soggetto all’assolutismo della realtà, al potere della necessità. L’attenzione consente di rendere visibile il reale e quindi il possibile, la fantasia consente di ampliare il possibile e quindi il reale; ma «per mantenere alta e viva la soglia dell’attenzione è necessario che essa “includa sempre movimenti finissimi e oscillatori di distrazione”» (p. 298).

A noi esseri umani, conclude Caloni citando ancora Blumenberg, è possibile

«esistere solo perché facciamo digressioni [Umwege]. […] La civiltà consiste nello scoprire e nell’aprire, nel descrivere e raccomandare, nel valorizzare e nel premiare le deviazioni. […] il mondo acquista senso con le vie traverse [Umwege] che la cultura traccia in esso» (p. 300).


Paolo Caloni, Hans Blumenberg. Realtà metaforiche e fenomenologia della distanza, Prefazione di B. Accarino, Mimesis, Milano-Udine 2016, 305 pp. 28 €