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Scrittura per tutti, letteratura per pochi: sui ‘Difetti fondamentali’

«Un folle che scrive non è mai veramente un folle», così dichiara Roland Barthes, nel suo celebre Frammenti di un discorso amoroso. Questa frase potrebbe essere la chiave di lettura di tutta la nuova raccolta di racconti di Luca Ricci, I difetti fondamentali, quattordici storie che hanno per protagonisti degli scrittori. Una raccolta monotematica, ma eterogenea, che si conclude proprio con un pezzo intitolato Il folle, in cui il protagonista declama più volte un aforisma, attribuito a Karl Kraus: «Esistono solo due tipi di scrittori, quelli che lo sono e quelli che non lo sono». E in effetti, salvo rari casi, quelli di cui si parla nel libro non sono davvero scrittori, nel senso pratico almeno, perché l’esistenza delle loro opere non è mai confermata, solo vagheggiata. Ma allora, come si riconosce uno scrittore, se non dalla sua attività? «Forse bisognerebbe partire dalle cose concrete, dalle pulsioni animali, dai difetti», così recita la seconda di copertina, che prosegue, considerando i pezzi qui contenuti come «quattordici istantanee […] che sono anche quattordici racconti d’amore: perché è l’amore, a ben vedere, il difetto più evidente, e necessario, di ogni essere umano».

La presentazione convince, tuttavia leggendo la raccolta il primo pensiero non va all’amore, ma al sesso. Sempre appellandoci al paratesto: il libro ha in copertina un letto, mentre nella quarta di copertina campeggia questa frase: «Tra chi scrive e chi legge s’instaura un rapporto di potere, e tutti i rapporti di potere hanno una natura erotica». Gli indizi principali però sono nei racconti, a partire dal titolo di uno degli stessi, L’eccitato, in cui il protagonista, in vacanza in un villaggio di nudisti, viene attratto dall’unica ragazza vestita.
Proprio in questo racconto si stabilisce l’equivalenza tra la scrittura e il sesso, un certo tipo di sesso, con un dialogo tra il protagonista e un’ospite del villaggio:

«Agli scrittori interessa l’eccitazione, non il sesso.»
«Cioè?»
«Scrivere è come fare petting, né più né meno. Scrivendo uno non arriva mai al punto, e può continuare a macerarsi per ore, giorni, settimane, mesi, anni e così via. Insomma, scrivere non è piacevole ma eccitante.»

Questo dialogo non è una prova isolata, quasi tutti gli altri testi confermano questa intuizione. Basti pensare a L’adultero o Il rothiano, i cui titoli, così come il precedente citato, parlano da soli. Ma anche al Suggestionabile, che mette in scena un cambiamento di sesso, improvviso e involontario; o al Solitario, in cui uno scrittore si separa dalla moglie per riuscire a scrivere il suo nuovo romanzo, non perché non la ami più, ma per allontanare da sé ogni fonte di tentazione, che non sia quella (masturbatoria?) del piacere della scrittura. Come infatti già Michele Mari confessava nelle sue Cento poesie d’amore a Ladyhawke:

Ci si illude
che scriversi sia pur sempre
un modo di far l’amore.
In realtà sappiamo
che il più grande scrittore di ogni tempo
si chiamava Onan.

Ci sono anche racconti in cui il sesso non predomina, ma resta comunque un elemento importante all’interno delle vicende raccontate. Ne sono esempio Lo scomparso e Il velleitario. Nel primo, uno scrittore famoso inscena la propria morte grazie all’aiuto di una sua fedele lettrice, con cui stringe una relazione sessuale per sfruttarla meglio. Nel secondo il protagonista non è davvero uno scrittore, come d’altronde quasi nessuno degli altri, ma solo uno che desidera esserlo, e l’intero testo è costruito sulle sue peripezie, scorribande adolescenziali che includono frequenti visite a prostitute, e sui suoi sogni di un avvenire letterario, che addirittura gli garantisce, nelle sue fantasie, il premio Nobel, accompagnato appunto da una masturbazione:

Nel cuore di quella notte svedese, il punto più alto della mia carriera letteraria lo consumai masturbandomi freneticamente sul letto, gli occhi sbarrati al soffitto e le mutande di una vegliarda sangue blu che avevo sedotto durante la cerimonia premute sulle narici.

L’elenco potrebbe continuare, una disamina puntuale troverebbe traccia di queste suggestioni anche negli altri racconti non citati, come La canonizzata o Lo stregato. Le prove che abbiamo raccolto indicano senza alcun dubbio la direzione in cui vanno queste storie.
Se il filo conduttore è ormai chiaro, il titolo mantiene invece un senso ambivalente, fin dal velato ossimoro creato dall’accostamento di sostantivo e aggettivo. Il focus sull’argomento infatti, è al tempo stesso pregio e difetto, anzi difetto fondamentale. Un intero libro sugli scrittori avrà di certo un appeal particolare sul lettore, considerata la novità e il gioco stilistico. Tutti gli appassionati di letteratura, aspiranti scrittori o meno, ritroveranno una parte di sé nei casi umani che popolano queste pagine. L’effetto di verosimiglianza, ottenuto anche tramite una serie di incisivi e cinici aforismi, è garantito: la scrittura di Ricci è implacabile nell’allestire questo mondo votato all’ideale, che vorrebbe dimenticare il triviale e ne finisce invece sopraffatto. Questa forza però, implica anche una debolezza: il rischio dell’autoreferenzialità è dietro l’angolo.

Potremmo dire che questo libro rappresenta una masturbazione al quadrato: scegliere un così peculiare oggetto di narrazione, e scegliere di insistere su un mondo di addetti ai lavori, significa crogiolarsi nelle proprie fantasie. «Non denigrare la masturbazione, è sesso con qualcuno che amo!», potrebbe rispondere a questo punto uno dei protagonisti, o l’autore stesso. Però, onanismo a parte, questo libro ci offre anche lo spunto per riflettere sul significato della lettura, oltre che della scrittura.  Ci si chiede infatti quale interesse potrebbe esercitare questo libro al di fuori di una ristretta cerchia. C’è davvero così tanta richiesta di racconti in Italia? E di racconti sugli scrittori? A volte sembra che manchi un pubblico di lettori veri, e non solo di critici e protagonisti.  Sembra che, per quanto l’editore sbandieri in copertina un proclama come «L’arte del racconto al suo meglio», questa arte sia volta solo in una direzione, verso un solo tipo di lettore. Il che la escluderebbe in realtà dalla grande letteratura, ossia quella che, requisiti minimi cognitivi a parte, non richiede particolare conoscenza o interesse verso un certo campo. Si può leggere Amleto anche senza aver mai sentito parlare della Danimarca, o – per rimanere sullo stesso campo dell’autore – si può leggere Carver, anche senza aver mai vissuto in America. Ma si può leggere i Difetti fondamentali se non si è interessati al mondo della letteratura? Probabilmente no.

L’autore non sembra inconsapevole di questo, ma la sua risposta è solo nell’(auto?)ironia, gestita in maniera eccellente, che però persegue nel racconto ombelicale, conscio magari che in questi casi, e in questa situazione, non resta altro che parlarsi tra appassionati. Come ne L’invidioso, in cui si descrive una presentazione di libri non molto riuscita:

“con davanti una platea sbadigliante per lo più composta da: 1 presentatore libraio (stupito, dopo vent’anni di buchi nell’acqua identici, che alla suddetta presentazione sia venuta così poca gente- sarà mica colpa della Champions League?); 1 relatore (in genere un intellettuale locale voglioso unicamente di prendersi tutto il palcoscenico per il suo quarto d’ora di notorietà); 1 commessa (che non batterà neanche uno scontrino, restando concentratissima, sullo schermo del suo smartphone); 12 aspiranti scrittori come pubblico (venuti perciò con la smania di sostituirsi allo scrittore in carica)”


Luca Ricci, I difetti fondamentali, Rizzoli, Milano 2017, 352 pp. 20€