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Alta Fedeltà – la musica che ha aperto l’anno

Alta Fedeltà diventa una rubrica trimestrale che propone gli album scoperti ed ascoltati dal capitano Achab e la sua ciurma. Da i primi tre mesi del 2017 abbiamo selezionato il meglio del cantautorato italiano, il soul delle cover creative e il nuovo rap poetico del sud di Londra. Buon ascolto!

Brunori Sas – A casa tutto bene [Picicca Dischi/2017] (Davide Saini)

Era un po’ di tempo che si aspettava da Dario Brunori il cosiddetto botto. E io personalmente lo aspettavo come un fatto ineluttabile sin dal giugno 2009, data di uscita del suo primo lavoro Vol. 1. Non che quanto inciso nel frattempo non mi sia piaciuto, ma credo che quest’ultima prova lo porti decisamente su un altro livello, un livello che chiamerei cantautoriale. In canzoni come La verità, L’uomo nero o Sabato bestiale Brunori riesce nel difficile equilibrio tra una canzone “impegnata” e la piacevolezza dell’ascolto, riuscendo a cantare pezzi della nostra vita e della nostra società, lasciando un po’ da parte sia il lato melanconico/nostalgico sia alcune derive eccessivamente pesanti del passato (Il giovane Mario). Insomma, Brunori ha trovato la quadratura del cerchio, un album micidiale, denso di contenuti, anacronistico, impegnato ma anche molto piacevole e musicalmente sfaccettato ma omogeneo (grazie anche alla produzione di Taketo Gohara): da non perdere.

Edda – Graziosa Utopia [Woodwarm Label/2017] (Massimo Cotugno)

Di Stefano Rampoldi in arte Edda, del suo passato nei Ritmo Tribale, della sua tossicodipendenza e della sua rinascita artistica si è già molto scritto e discusso. Giunto al quarto album da solista, si può dire che la reincarnazione di uomo e artista sia giunta a totale compimento. Ne è la prova un album meno “grezzo” dei precedenti, in cui trova spazio una forma di canzone più controllata e meno soggetta ai vocalismi anarchici dei primi album. Anche testo e arrangiamenti rivelano la nuova direzione – già segnata nel presente Stavolta come mi ammazzerai? – verso atmosfere meno private e sofferte, segno forse di una nuova consapevolezza artistica capace di esprimersi al di là delle vicende personali. Solo buone notizie per la musica italiana.

Scott Bradlee’s Postmodern Jukebox – 33 Resolutions per minute [Mudhutdigital/2017] (Giacomo Raccis)

In tempi di riuso e miti vintage, e soprattutto in una stagione che non offre grandi spunti di originalità (vedi gli ennesimi album identici di Depeche Mode e The Shins), tanto vale lanciarsi nel fantastico mondo delle cover creative dove il progetto dello Scott Bradlee’s Postmodern Jukebox spadroneggia senza rivali. Forse in questo album non siamo ai livelli altissimi di Swipe Right for Vintage (basti ascoltare la versione di Lean on di Mykal Kilgore per rendersene conto), ma senz’altro i ragazzi ci sanno fare. Anzi, diciamo che sono usato sicuro.

Loyle Carner – Yesterday’s Gone [AMF Records/2017] (Alessandra Scotto di Santolo)

Di una generazione che non ha mai conosciuto un mondo senza il grime né il Brit pop-rap che ha spopolato nelle classifiche prima che il grime avesse successo, Loyle Carner é la rivelazione poetica dell’anno. Il suo rap è sobrio e downbeat, accompagnato da un pianoforte triste e il jazz delle corde di una chitarra. Nelle canzoni del suo debutto artistico una forte presenza malinconica classica delle giornate grigie e piovose del Regno; una serie di vignette di quotidiana monotonia molto lontane dalla ricerca esistenziale nel lusso di macchine sportive e hotel a 5 stelle dei suoi colleghi coetanei. Musica e testi si completano a vicenda e Carner sa benissimo che fare poco è meglio che fare troppo lasciando a chi ascolta la possibilità di interpretare al meglio la semplicità della sua poesia.

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