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Chi veste una risata – Intervista al Terzo Segreto di Satira

La critica migliore è quella che fa sorridere (o sbellicare), e intanto svela idee e abitudini altrimenti date per buone. Per questo la Balena ammira – e un po’ invidia – Il Terzo Segreto di Satira, che da vari anni lavora con ironia e arguzia “spogliando” la mentalità degli italiani. «Un gruppo di cialtroni per cialtroni» nato nel 2011, e da allora impegnato in una strenua battaglia che ci spiega cos’è la satira politica: parlare in modo chiaro, senza livore, a chi vuole ascoltare; denunciare col sorriso sulle labbra, ma anche far riavvicinare le persone a un mondo a torto ritenuto lontano e inaccessibile. Prima che in cabina elettorale, la politica “si fa” nei bar, ai semafori, buttando la spazzatura (non è la prima repubblica: chi non ci crede guardi qui). È difficile finire un video del Terzo Segreto senza riconoscersi almeno un po’ in qualche personaggio; è ancora più difficile non spanciarsi per qualche piccolo dettaglio, un guizzo comico, uno spunto inaspettato che vira all’assurdo; è impossibile non credere che, sotto sotto, la politica valga ancora la pena, e sia sempre o fatta o subita, nonostante l’era del disimpegno, la morte di Dio, il cambiamento climatico e l’inaudito ritorno del Winner Taco. «Non scampa, fra chi veste da parata, chi veste una risata»: come cantava Guccini, il riso è forse la forma più essenziale (e pericolosa?) di militanza.


Entro nel loro ufficio in Paolo Sarpi e li trovo a discutere animatamente: Pietro Belfiore, Davide Bonacina,  Andrea Fadenti, Andrea Mazzarella e Davide Rossi.  Sembra democrazia, e per fortuna sono in dispari.
Non vi pare che sia difficilissimo fare satira di fronte a una realtà così competitiva. Penso a Razzi, o a scene come la spigola di Buonanno: roba sopraffina per scrittura e tempi comici. Non si soffre un po’ di complesso di inferiorità?

Razzi viene subito in mente perché si è trasformato nella parodia di se stesso. Sì, tante volte la realtà supera di gran lunga la satira… e la difficoltà oggettiva c’è! Tuttavia ci sono soggetti o situazioni su cui si può fare una satira che esula dal “personaggio” politico. Ci capita più che altro di dare il nostro punto di vista su situazioni che possono essere ricondotte alla satira politica senza toccare direttamente il tal candidato politico. Provando a concentrarsi sulle scene di vita quotidiana, risaltano meglio le contraddizioni dell’elettorato.
Una volta ci è capitato di anticipare la realtà: ormai cinque anni fa, lavorando al video Il favoloso mondo di Pisapie pensammo una battuta sul sindaco “amico di Al-Qaeda”… la battuta fu poi detta nella realtà da Borghezio, quasi in contemporanea. Noi l’avevamo pensata, ma non era ancora uscito il video. A quel punto era diventata una citazione, e abbiamo inserito proprio le parole di Borghezio. Ci piaceva e l’abbiamo citata comunque. Se non puoi combatterli puoi citarli (non in giudizio, e senza pagare la SIAE).


Poco tempo fa Balasso lamentava la morte della vera satira, quella che lavora sulla e «contro la gente» e non sulle macchiette politiche: invece mi sembra proprio il succo della vostro progetto, fin dagli esordi (Dai video Primarie 2012 a Berlusconiani anonimi fino a Sliding doors: I due volti del pd). Volete parlare di questa scelta?

Non è mai stata una scelta a tavolino, ma un’evoluzione naturale per tanti motivi… Banalmente perché non lavoriamo con le imitazioni, ma principalmente con attori. Con gli attori non puoi fare l’imitazione del politico: è stato quindi un passaggio naturale parlare degli elettori più che dei politici. Più in generale è sbagliato parlare soltanto dei politici in sé, come se la colpa di tutto ciò che accade sia loro. I politici non sono degli alieni piazzati dall’alto: vengono eletti e sono comunque espressione della nostra società. È arrivato anche il momento di cominciare a riflettere sulle persone che votano, e in generale sulla società che esprime questa classe politica.
Inoltre, noi abbiamo fatto una scuola di cinema, ci interessa raccontare storie di persone, con i loro valori e ideali, con la loro etica. Raccontare la vita delle persone può essere un modo indiretto di parlare di un partito o di una scelta politica.


Parlatemi della vostra officina: come vivete il momento della scrittura? Com’è possibile mediare tra estro artistico e aspettative (sempre più alte) del pubblico? In altre parole, come lavorate?

In modo un po’ confusionario. Di base parliamo molto: parliamo parliamo parliamo parliamo… e poi si arriva a una quadra. Quando facciamo i video partiamo da uno spunto a volte anche molto piccolo. Da lì proviamo a costruire una gabbia, una struttura, altre situazioni comiche. Molti video nascono da una discussione in cui salta fuori un aspetto divertente… poi ci chiediamo se c’è della “ciccia intorno”. E quando la ciccia c’è, e riesci a comunicare le tue idee, allora almeno sulla carta l’idea sembra sensata.
Ci piace poi ribadire che lavoriamo in collettivo, non ci sono dei ruoli precisi sopratutto nella fase di scrittura. Quando bisogna decidere una strada piuttosto che un’altra, ognuno ha un voto e fortunatamente siamo in dispari… Anche nella scrittura tutto deriva dalle discussioni, in cui  lo spunto venuto da un singolo viene completamente ribaltato… alla fine si trova sempre un punto di vista che mette d’accordo tutti.
Per quanto riguarda le aspettative del pubblico: il fatto che i video siano sempre il risultato di cinque teste ci fa sperare che siano sempre decenti… e vari. Cerchiamo spesso di cambiare il format e di sperimentare, anche se abbiamo visto che certi stilemi funzionano meglio di altri. L’equilibrio sta nel creare una situazione comica senza perdere vista l’idea generale che pensiamo di dover comunicare, a proposito di una particolare situazione politica o sociale. Sono sempre questi due elementi a mischiarsi e spesso a contrastarsi o a prendere una direzione comune.


Ci interessa il vostro rapporto con gli attori: scrivete già pensando a loro? Sono in qualche modo presenti a monte del vostro lavoro creativo? Loro che ne pensano?

In alcuni casi sì, ma non sempre. Ultimamente, visto che si è formato un gruppo di attori (che però si continua a integrare) si sono creati dei personaggi, dei caratteri con le loro particolarità. quando qualcosa funziona è anche sbagliato non replicarlo. Tante volte la scrittura “sulle persone” è finalizzata al diminuire i tempi di scrittura e regia… te li puoi immaginare più facilmente quando scrivi. Come reagiscono? Loro vorrebbero fare cose anche diverse e spesso le fanno: non recitano mai lo stesso personaggio, anche se si riconoscono tipologie ricorrenti e particolarità del carattere. Gli attori sono abbastanza disponibili a cambiare, e penso che si divertano di più a farlo. Abbiamo la fortuna di lavorare con professionisti che hanno registri, età ed esperienze diverse. Inoltre, al di là del lavoro con noi, hanno comunque anche la loro vita, le loro valvole di sfogo.
I nostri tempi di produzione sono tendenzialmente molto brevi, per motivi economici o per stare sulla notizia. Avere la sicurezza di poter pescare nelle qualità migliori di un attore e di un’attrice, sapere che farà la parte al primo o al secondo colpo, facilita il nostro lavoro.


Parlateci dello sbarco sul grande schermo. Come affrontate la sfida della “tenuta lunga” richiesta dal film? Qual è la chiave per non perdere il tiro abbandonando i confini sicuri dello sketch? E i vostri attori?

Non si sa ancora se faremo il film. Ci stiamo lavorando, ma siamo ancora in fase di sceneggiatura (in Italia può sempre saltare tutto da un momento all’altro). In generale il film rientra nella linea di cui parlavamo prima: sperimentare per non rimanere sempre ancorati allo stesso format, cercando di evolvere. Arrivando da una scuola di cinema, è stato un percorso abbastanza naturale pensare a un lungometraggio. Ci siamo trovati d’accordo fin dall’inizio, ancora prima di buttare giù il soggetto: volevamo allontanarci il più possibile da un film a sketch o a episodi in cui mettere insieme tanti video da cinque minuti. Il lavoro di scrittura – tuttora in corso – è stato enorme, perché la difficoltà più grossa è allungare il minutaggio approcciando un tipo di scrittura produttivo, tecnico, registico completamente diverso da quello praticato fino ad ora. L’unica cosa che sapevamo all’inizio del progetto era che avremmo voluto coinvolgere i “nostri” attori, e che avremmo voluto curare la scrittura e la regia del  film. La storia dovrebbe tenere con dignità i novanta minuti, e “arrivare” anche a chi non conosce il nostro progetto. Questa è l’idea di partenza: sappiamo che non è facile ma siamo ancora fiduciosi. Stiamo inoltre cercando di far crescere i nostri personaggi già rodati: da stereotipi o caratteri vogliamo trasformarli in personaggi a 360° gradi con una storia da raccontare.
Un anticipo sulla trama, anche solo in una frase?

È una storia sul compromesso, con tanti piani di lettura: un po’ è generazionale, un po’ è “fuori tempo”, perché parla di etica e compromesso. Ci sono tre persone di sinistra che fanno un lavoro simile al nostro, precari di età e formazione diversa.  A un certo punto arriva un’offerta allettante economicamente che però contrasta con i loro valori umani. “Si fa o non si fa, per i soldi?”: il dilemma porterà a incrinare i rapporti, i protagonisti si separeranno per qualche giorno, e ciascuno rifletterà sui punti fondamentali della sua vita. La storia è un compromesso che serve a parlare di dinamiche umane, in modo (soprattutto) divertente.


Quale video considerate il vostro lavoro migliore?

Il dalemiano, perché è il video con cui abbiamo provato a fare una cosa diversa. Prima abbiamo sempre rispettato determinati canoni: ritmo serrato, tante battute, diversi sketch che si susseguivano sotto i 5 minuti. Il dalemiano è un corto vero e proprio, una piccola pièce da 9 minuti, con identità di spazio-tempo-luogo, e tutti intorno a un tavolo. Ha un ritmo ma non è quello da web, da sketch uno in fila all’altro. Non sapevamo come sarebbe stato accolto dal pubblico, invece è piaciuto molto. Anche a livello di significato ci è sembrato più profondo e sottile rispetto agli altri. Ci siamo ispirati a House of Cards, e a Carnage di Polanski.
Poi, Natale col PD 1 ci siamo divertiti molto a farlo. Tra quelli vecchi, Il favoloso mondo di Pisapie perché è stato il primo a essere realizzato. O quello sulle primarie 2012, che ha funzionato molto e ci divertiva. Tra gli ultimi L’europa o L’uomo di sinistra, che ci piace molto anche perché è un po’ malinconico. In generale siamo affezionati a quelli che non vanno, li vorresti proteggere maggiormente: i più brutti fanno simpatia, scatta una deformazione…


Come vi è venuta in mente la gag sull’ISIS che grattuggia il grana?

Una cosa estemporanea. Uno di noi mette il grana sul pesce: qual è la cosa più fastidiosa – universalmente riconosciuta – che si può fare durante una cena natalizia? Mettere il formaggio sulla pasta con l’astice.


I prossimi lavori?

Per ultima serie [Biografie imbarazzanti ndr] abbiamo sudato tanto, sicuramente cercheremo di fare qualcosa su YouTube, perché siamo mancati un po’. Stiamo cercando un interlocutore verso cui indirizzare altre produzioni che abbiamo in mente. Abbiamo un lavoro nel cassetto da proporre dopo il film, un’altra cosa nuova rispetto a ciò che abbiamo realizzato finora. Se il film va bene e si aprono delle porte la proporremo. Ma in generale siamo aperti anche a progetti che escono dal nulla. Navighiamo un po’ a vista, non siamo mai riusciti a imbastire una progettualità sul lungo periodo. Il nostro lavoro è ancora un’isola felice.