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Catherine Lacey: un’occasione mancata

Romanzo d’esordio di Catherine Lacey, Nessuno scompare davvero vanta il plauso di Granta e la nomination al Young Lions Fiction Award nonché una copertina curata da Charlotte Strick, art director della Paris Review, con una magnifica illustrazione di Patrick Leger ispirata a una striscia Marvel. Il romanzo, insomma, dal packaging al contenuto, ha fatto parlare di sé negli Stati Uniti come in Italia (a un mese dall’uscita è già alla seconda ristampa), complice anche un tema portante attraente (ma difficile da far funzionare narrativamente). Nessuno scompare davvero è infatti l’articolata storia di un malessere, la cui struttura, stratificata a livelli diversi di scrittura, è quella di una lunga autoanalisi, in cui gli eventi traumatici – e se non traumatici quantomeno rilevanti all’interno del complesso ricamo esistenziale della protagonista Elyria – emergono come singoli dati della coscienza, slegati dall’immediato ma interconnessi alle esperienze attuali di Elyria a un livello più profondo, semi-conscio.

Abbiamo dunque una giovane donna che dopo un’infanzia e un’adolescenza traumatiche, segnate da una madre alcolista, un padre inesistente e una sorella adottiva troppo intelligente morta suicida, ha finalmente trovato un angolo di tranquillità, con un lavoro molto buono e un marito che la ama. Sa però di essere abitata da un «bufalo», un bufalo che ora dorme ora scalpita, impedendole di compiere con soddisfazione i più semplici atti quotidiani. Elyria decide di assecondarlo, questo bufalo e di prendere, da sola e senza avvertire nessuno, un aereo per la Nuova Zelanda, dove comincia un lungo viaggio in autostop alla ricerca di un nuovo genere di serenità. Questa è grossomodo la trama del romanzo, tutto narrato alla prima persona, anche se la storia segue principalmente il viaggio di Elyria, lasciando riaffiorare il passato nei ricordi, ora di sfuggita, ora con dati più corposi.

La scrittura di Lacey è piana e accompagna il lettore senza scossoni sulle montagne russe emotive della sua protagonista. Lo naviga con sapienza, Catherine Lacey, questo malessere, tessendolo, svolgendolo e ritessendolo ancora e ancora come una tela di Penelope. Sono pagine dense ma scorrevoli, che lasciano una sottile percezione di angoscia e apprensione. Elyria sembra vivere sott’acqua: andando alla deriva e trattenendo il respiro in un mondo rarefatto e confuso che non riesce a percepire a meno che non avvenga uno scontro. Il mondo esterno, dunque, viene avvertito come un continuo affronto a una pace interiore che sembra potersi realizzare solo nell’annullamento e nel silenzio totale.

Se, allora, Lacey è estremamente abile nel condurre protagonista e lettore in questo labirinto emotivo, è pur vero che l’autrice è altrettanto consapevole del processo in atto e non perde occasione per rivendicare il proprio ruolo di demiurgo. Lacey ammicca al lettore, gli dà di gomito, si assicura che si sia accorto della sua presenza camuffata da narratore interno. Insomma c’è un punto, che non è un momento preciso del romanzo ma un momento della scrittura stessa, in cui Lacey sente il bisogno di avere la meglio sul suo personaggio, di spodestarlo, di far sapere che l’artefice del faticoso processo emotivo di Elyria non è Elyria stessa, ma proprio lei, l’autrice. Il testo è dunque punteggiato da una sequela di frasi ad effetto, spesso in chiusura di capitolo, che sembrano create apposta per una raccolta di aforismi da usare su Facebook in quella giornata che è proprio storta ma sempre e comunque irrimediabilmente cool. È una sensazione estraniante e disturbante, che spezza la fluidità del racconto, sposta l’attenzione dalla trama al testo, non per ammirarne lo stile ma per stringere forzatamente la mano all’autrice che tra le righe grida a piena voce la sua presenza.

La narrazione interna rende questo processo ancora più evidente: la voce narrante è una donna traumatizzata, in fuga dopo un esaurimento nervoso, e Lacey è stata, per contro, molto capace di rendere con pienezza il senso di spaesamento che pervade ogni pensiero di Elyria, l’incapacità non solo a relazionarsi con l’esterno ma anche soltanto a percepirlo nitidamente. Di conseguenza la sagacia pungente e consapevole, malattia endemica di questo nostro tempo, risulta in questo contesto abbastanza fuori luogo ed evidenzia il tratto di un’autrice che ha preferito cedere all’autocompiacimento invece di mantenere la narrazione sul piano caratteriale con cui ha costruito il suo personaggio principale.

Un altro punto debole di Nessuno scompare davvero, a mio parere, è dato dagli incontri che Elyria fa durante il suo barcollante percorso per le strade della Nuova Zelanda. Incontri che si trasformano presto in fughe, in accordo con la necessità di Elyria di non stringere legami di alcun tipo, ma che non lasciano nulla neppure al lettore, né su un piano stilistico né di trama. Mi viene a questo proposito in mente la scrittura di Elizabeth Strout, che riesce a costruire piccole descrizioni memorabili inserendo in una materia molto più vasta personaggi marginali che entrano ed escono di scena come mere comparse. I personaggi di Lacey, invece, finiscono per essere una piatta carrellata di tipologie umane senza un quid che colpisca davvero.

Lacey è indubbiamente abile linguisticamente e riesce a maneggiare senza problemi una materia difficile e insidiosa come un annichilimento interiore, riuscendo anzi a far affiorare a diversi livelli sia l’introspezione di Elyria che la narrazione del suo passato e del suo rapporto complicato con la sorella e con il marito. Eppure la resa complessiva del romanzo è per certi versi quasi negligente, sembra mancare il tentativo di affondare davvero a piene mani nella materia narrativa modellandola e indagandola sulla base dei presupposti iniziali. Manca la volontà dell’autrice di scomparire dietro al narratore e l’umiltà di accordare al lettore la capacità di capire la qualità della sua scrittura senza il bisogno di ricordarglielo incessantemente. Insomma, a me, a fine lettura, è rimasto il dubbio che il pezzo forte del pacchetto sia la copertina che, pur parlando un linguaggio diverso, supera in intuizione e realizzazione il romanzo di cui dovrebbe essere chiosa e accompagnamento.


Catherine Lacey, Nessuno scompare davvero, Sur, 2016, 16,50 €.