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La valigia dei libri: l’estate con la Balena

La Balena Bianca va in vacanza. Per un mese circa sarà avvistata in altri mari. Ma, prima di partire, come ogni anno, vuole darvi tutto quello che serve per affrontare il caldo e la ressa della vita da spiaggia. Così, ecco i consueti, eclettici consigli di lettura messi insieme dalla redazione e da alcuni dei collaboratori più stretti. Ce n’è per tutti i gusti, dalle più recenti novità ai grandi classici. Trovate tra questi suggerimenti quello che fa per voi. Ne riparleremo a settembre.

 


 

Matilde Quarti

Elfo, L’ARTE DEL COMPLOTTO (Rizzoli Lizard 2015)

L’arte del complotto è un film a fumetti. Uno di quei film polizieschi degli anni ’60, girati in bianco e nero per vezzo, che Rete 4 trasmetteva la sera nei mesi di vacanza, uno di quei fumetti d’avventura, ripescati dallo scaffale più alto, che compravano gli zii quando erano ragazzi. Una goduria per distrarsi in un afoso pomeriggio, L’Arte del complotto affonda le sue radici nella paranoia della Guerra Fredda ma prende il volo verso la fantascienza. La trama è sottile e complessa, parte da una circostanza reale, il supporto della CIA ad alcune correnti della pop art, per declinarla in un thriller fantascientifico che diventa parodia di se stesso. Una circospetta e cinica spia in clergyman tesse le sue trappole tra politici americani e agenti del CCCP, spogliarelliste e mafiosi, cosmonauti sovietici e complotti ai danni di Kennedy ben più fantasiosi dell’attentato di Dallas. Ci sono sparatorie, ci sono le canzoni di Bob Dylan come ideale colonna sonora, ma soprattutto ci sono assurdi viaggi spazio-temporali. Elfo, maestro silenzioso del fumetto italiano, si fa beffe degli stereotipi inscenando un gioco di riferimenti pop in una cupa New York declinata in scale di grigio. Unica avvertenza: non mettersi a cercare sottomarini russi al largo delle coste liguri.


 

Davide Saini

Jeff VanderMeer, ANNIENTAMENTO (Einaudi 2015)

Come tutte le estati siete alla disperata ricerca di qualcosa da leggere che non sia troppo pesante ma nemmeno troppo stupido? Avvincente ma non inutile? Vi innervosiscono i romanzetti senza capo né coda ma lasciate i classici aperti a pagina 4 a riempirsi di sabbia? Allora Jeff VanderMeer potrebbe “salvarvi” portandovi in vacanza nell’Area X, una zona della Florida in cui le leggi naturali sono alterate, un incombente territorio in costante espansione in cui gli animali e la natura sembrano trasformarsi. Un ambiente in cui gli esseri umani sembrano non riuscire a sopravvivere alle condizioni ambientali, e da cui i pochi superstiti tornano completamente svuotati.
Non stiamo parlando di un solo romanzo ma di un’intera trilogia fresca fresca di stampa: la Trilogia dell’Area X. Annientamento, Autorità e Accettazione verranno infatti pubblicati da Einaudi a breve distanza l’uno dall’altro durante l’estate (al momento sono disponibili in libreria i primi due mentre il terzo è atteso per settembre). La trilogia inizia con Annientamento e con la partenza della dodicesima spedizione organizzata per lo studio dei misteri dell’Area X. VanderMeer vi farà vivere, insieme con le protagoniste (l’Antropologa, la Topografa, la Psicologa e la Biologa), questa pericolosa missione, l’incontro con una Natura mutata e i terribili ostacoli psicofisici nel percorso verso l’analisi scientifica e la comprensione.
La trama fantascientifica, le avventure, il pericolo, la paura, la scrittura fluida ma straniante e  le riflessioni ecologiste tengono il lettore incollato al libro ma gli danno anche tantissimo materiale su cui riflettere sotto l’ombrellone. Senza contare il valore aggiunto della veste grafica: questi particolarissimi Supercoralli infatti non solo hanno una sovra-coperta in plastica resistente alla salsedine ma soprattutto hanno delle splendide copertine firmate Lorenzo Ceccotti che valgono a questa trilogia un posto d’onore nella libreria di casa.


 

Carolina Crespi

Natalia Ginzburg, TUTTO IL TEATRO (Einaudi 2005)

«Nelle commedie, potevo usare la prima persona in una forma non autobiografica. Questo mi dava un senso di gran libertà.» [Ivi, pp. VIII]
Quando prendo in braccio un libro di Natalia Ginzburg vado a vedere subito chi l’ha curato e cosa ha scritto nell’introduzione. Di solito o è Garboli o è Scarpa o nessuno dei due. Garboli Cesare è caro, ma mi riesce noioso. Scarpa Domenico, invece, sono sempre più convinta sia un uomo da sposare. La questione è più spinosa di quanto si creda: infatti, i miei libri preferiti di Natalia Ginzburg hanno l’introduzione di Scarpa, quelli così così li ha introdotti Garboli e poi c’è n’è uno – La famiglia Manzoni – che non ha nessuna introduzione e che è un grande libro, ma che non mi va di consigliare per l’estate perché va letto senza occhiali da sole e col pensiero forte, arpionato al cervello, che i personaggi senza padre hanno padri di fortuna.
Tornando a questa estate. Io credo che vi meritiate di leggere Tutto il teatro di Natalia Ginzburg curato da Domenico Scarpa.
I motivi sono numerosi e frivoli.
Uno, perché le commedie della Ginzburg sono soffici e naif come i suoi racconti;
Due, perché gli uomini non ne escono sempre benissimo, ma se per questo nemmeno le donne di Hitchcock;
Tre, perché i personaggi sono pochi e hanno nomi facili tipo Marco, Gianni, Elena e le commedie sono strambe, con monologhi fuori luogo (ma ficcanti che dopo che li hai letti ti serve una pausa per pensarci) e hanno titoli estivi, come Paese di mare o Fragola e panna;
Infine, perché leggere una pièce in spiaggia (anche quando è un supercorallo che pesa quanto un neonato, scritto da una che non stava simpatica a nessuno, ma se ne andava a spasso con molti dei morti che avresti voluto conoscere) vi renderà irresistibili.
Se siete più da gossip snob&svelto che da commedia lunga&basta, ci sarà sempre uno splendido libro di Natalia Ginzburg curato da Domenico Scarpa per voi. Si chiama Non possiamo saperlo e raccoglie tutta una serie di saggi e articoli che la Ginzburg ha pubblicato tra il 1973 e 1990: si spazia da Calvino, al sesso, dal papa ad Andy Warhol, i comunisti, l’aborto, Galieo Galilei.
Se nemmeno il pettegolezzo torinese di teatro e di sinistra vi entusiasma, potete sempre leggervi un libro di Domenico Scarpa.


 

Giacomo Raccis

Mathias Enard, VIA DEI LADRI (Rizzoli 2014)

Esiste una geografia letteraria che attraversa i confini delle singole nazioni e unisce in un solo universo tutti i popoli, le culture e le storie del bacino del Mediterraneo. Questa geografia è stata tracciata una volta, in maniera perfetta, dolorosa e profonda, da Mathias Enard in Zona (2008), a oggi il suo romanzo più importante, storia incrociata di tutti in conflitti che, dall’attentato di Sarajevo fino alla guerra di Jugoslavia, hanno unito in un unico destino tutti i paesi che si affacciano sul mare nostrum. Via dei ladri, di quattro anni dopo, racconta una delle tante linee che si potrebbero intrecciare in quel grande romanzo della “zona”: è un romanzo picaresco e drammatico, come lo sono tutte le storie di chi da un bordo dello stretto di Gibilterra guarda dall’altra parte e crede che là sia il luogo della vita e della felicità; le storie di chi, al costo di sofferenze e grandi slanci frustrati, riesce ad arrivare dall’altra parte e si accorge che nulla cambia, che gli ultimi sono sempre gli ultimi e che anzi gli ultimi sono sempre più numerosi. I fuochi di rivolta che infiammano il Maghreb e l’Europa del sud sono fuochi fatui, pronti a spegnersi o a essere manipolati da altre forze. L’unico destino per chi si è installato nella “rue de voleurs” è la perdizione, che può addirittura coincidere con la salvezza.


 

Davide Valtolina

Thomas Bernhard, CEMENTO (SE 2011)

Cemento è un monologo torrenziale in cui la lucidità si dilata al punto da liberare l’ossessione. A parlare è Rudolf, che ha ideato da più di dieci anni uno studio su Mendelssohn Bartholdy di cui non riesce nemmeno a buttar giù le prime righe, nonostante abbia accumulato una quantità enorme di carte preparatorie. L’impossibilità di scrivere e di rinunciare a scrivere diviene il punto di raccordo in cui confluiscono le contraddizioni di un’esistenza ritorta e chiusa. In cui emergono frammenti dissonanti, capaci però di gettare a tratti una luce ferma sulla realtà: più a fondo si scende nel pozzo, più la chiarità definisce le cose, anche nella loro dissociazione.


 

Francesca Salamino

Kurt Vonnegut, QUANDO SIETE FELICI, FATECI CASO (minimum fax 2015)

Siete reduci da un anno difficile che sembrava non finire mai? Vi trovate a un bivio dal quale dipende tutto il vostro futuro? Il libro di Vonnegut sembra essere ciò che fa per voi.
Tuttavia, non è una ricetta della felicità né un manuale di sopravvivenza o una guida su come fare la scelta migliore per la propria vita. È una raccolta di discorsi che Kurt Vonnegut, scrittore americano contemporaneo (già autore del più famoso Mattatoio n.5 oltre che, tra gli altri, di Un uomo senza patria e Ghiaccio-nove), ha tenuto tra il 1978 e il 2004 in diverse università statunitensi. Stiamo parlando dei commencement speech, i discorsi ufficiali che personalità culturali o politiche di rielevo tengono ai laureandi in occasione della fine del loro percorso accademico.
Tutti questi discorsi, che vertono sui temi più disparati e si muovono tra riflessioni, aneddoti, aforismi e battute di spirito, messi insieme rappresentano un punto di vista originale e acuto sul mondo. Chi li ha scritti e pronunciati, è una persona concreta e allo stesso tempo idealista, rivoluzionaria e conservatrice, libera e rispettosa dei legami. Non potrete resistere alla tentazione di andare subito a comprarlo dopo una piccola rassegna di alcuni suoi capitoli: Come fare soldi e trovare l’amore; Come avere qualcosa che molti miliardari non hanno; In che modo la musica cura i nostri mali; Se non siete mai andati all’università, non vi strappate i capelli!; Come ho imparato da un insegnante cosa fanno gli artisti; Non vi dimenticate da dove venite.


 

Andrea Cirolla 

Hiraide Takashi, IL GATTO VENUTO DAL CIELO (Einaudi 2015)

Che la recensione sia un genere in crisi è un fatto non più solo riconosciuto, ma anche qua e là discusso; e un luogo recente dove se n’è discusso, anzi accennato, è l’ultimo romanzo di Tommaso Pincio, Panorama (NN editore 2015). Ma non è questo, qui, il libro in questione né si tratta, qui, di una vera recensione; la premessa valeva da giustificazione: se il genere, per quanto qui vi ci si inserisca fasullamente, è in crisi, permetterà almeno la libertà di disattenderne le regole non scritte (i.e. gli stereotipi), di violarne i confini, insomma di imbrogliarlo, e imbarbarirlo. Tante parole, per dire che il mio consiglio di lettura per l’estate (di questo si tratta) è appunto “mio”, cioè scritto in prima persona, non solo grammaticalmente, ma innanzitutto nel senso degli argomenti. O della mancanza di argomenti: ho provato nei giorni scorsi a raccontare ad alcune persone la trama e il motivo per cui mi è piaciuto questo libro e la forza che dalle sue pagine mi ha invitato a ripeterne la lettura – non ci sono riuscito. Addirittura, l’ultimo mio interlocutore – interlocutrice, per la precisione – sintetizzando il mio discorso nell’ambito della sua presa di parola in controbattuta alle mie, mi ha lasciato intendere con chiarezza di aver preso il mio per uno sconsiglio. E allora preferisco affrontare l’ultimo tentativo di invogliare alla sua lettura evitandone una descrizione, come accade del resto in esso rispetto all’aspetto dei suoi personaggi – l’unico a essere descritto esteriormente è il protagonista, e non è un umano. Non è un umano: che cosa è? È un gatto. Da dove è venuto? Dal cielo. Beh, non proprio. È venuto da un vicolo chiamato “vicolo fulmine”. Ma il titolo non è semplicemente a effetto, o buttato lì: Il gatto venuto dal cielo, primo romanzo del poeta giapponese Hiraide Takashi, racconta di un gatto che del cielo ha gli stessi caratteri, mistero e semplicità, come di conseguenza – o in forza di causa – l’architettura che lo contiene, cioè la forma di questo libro elegante e meraviglioso, tradotto da Laura Testaverde e uscito quest’anno per Einaudi.


 

Lorenzo Cardilli

Alan D. Altieri, CITTÀ OSCURA (Tea 2009)

Città oscura di Alan Altieri è ciò che decine e decine di action movie hanno sognato di essere. Pubblicato nel 1980 dal “Maestro italiano dell’Apocalisse”, già sceneggiatore a Hollywood (Silent trigger), si svolge in una Los Angeles impossibile, devastata da una combinazione inaudita di piaghe: la criminalità dilagante a ogni angolo e livello della società, acqua avvelenata, coccodrilli albini che infestano le fogne, super-killer fatti evadere da qualche “mano invisibile” e – su tutte – un devastante uragano che fa a pezzi la città, e con lei il freno di ogni struttura civile. L’(anti)eroe di quest’inferno è Solomon Newton, nero, tenente di polizia e dottore in architettura: imboccata una pista troppo calda, Newton finisce da subito in molti mirini, tra raffinerie di eroina, appalti sporchi, mafia e corruzione endemica. “Regalo” indimenticabile dell’estro di Altieri, Newton è un mix di acume, irriverenza “a tutti i costi” e attitudine speculativa. Solo la sua ultraviolenza – venata di malinconia e maledettismo – lo guida (incolume?) attraverso il collasso. La prosa magistrale di Città oscura  combina un gusto barocco per i dettagli a una continua oltranza, un’accumulazione iperbolica di crisi alla Rodriguez (ma senza il comico-parodico). A confronto, il John Carpenter di Escape from New York gira soap senza ritmo.


 

Marco Bellardi 

E. Morreale e M. Pieri (a cura di), RACCONTI DI CINEMA (Einaudi 2014)

Questa raccolta di testi anche brevissimi è solo l’assaggio di un legame tra scrittori e Settima Arte fatto di storiche diffidenze e gioie improvvise, inconfessabili predilezioni, ostentati rifiuti e amori incondizionati. Per i 32 autori riuniti in questa antologia einaudiana il cinema è stato l’immagine luminescente delle star, l’antro buio e scalcinato degli incontri adolescenziali, un turbinare di figure nei meccanismi degli studios e soprattutto un nuovo modo di raccontare la realtà che ha potuto influenzarne la stessa scrittura. Bolaño, Némirovsky, Gadda, Cortázar, DeLillo, Gozzano, Flaiano, Bradbury, Nabokov sono solo alcuni degli scrittori che hanno raccontato il potere d’attrazione del grande schermo, i suoi riti e le sue trasformazioni, l’educazione sentimentale e gli erotismi da sala. I loro racconti restituiscono anche la dimensione più umana e vulnerabile dei divi, come la Marilyn dolce e insicura di Capote o l’Alberto Sordi del gustoso racconto di Soldati, oppure tratteggiano il “mestieraccio infame” della produzione, vera e propria nemesi di tanto luccicare. C’è spazio infine anche per prove di scrittura “cinematografica”, perché l’impatto visivo e ritmico dei film hanno modificato profondamente l’immaginazione di tutti noi. Mettetevi al fresco, poltrona e popcorn.


 

Michele Turazzi

Paolo Zardi, XXI SECOLO (Neo Edizioni, 2015)

Dopo qualche mese è possibile vedere tutto con più calma. E XXI secolo, di Paolo Zardi, non fa eccezione. Il romanzo, una volta attraversato quel parossismo di recensioni-commenti-giudizi che ogni candidato allo Strega porta con sé, arriva all’estate libero da ogni sovrastruttura. Sì, perché l’alfiere della piccola editoria di qualità al più prestigioso premio letterario italiano è un libro da leggere, al di là di cinquine, dozzine e amici della domenica. C’è poco da girarci intorno: XXI secolo è un libro maledettamente buono. Preciso, ben calibrato, avvincente. E, soprattutto, con le parole giuste al posto giusto. Una romanzo in cui le grandi tematiche sociali (crisi economica, declino della civiltà occidentale) si specchiano in quelle esistenziali (amore, malattia, tradimento), e danno vita a una vicenda allo stesso tempo universale ed estremante privata, intima. La storia di questo «uomo qualunque – troppo brutto per la tragedia, troppo bello per la farsa, terribilmente noioso per la commedia» è quella di un uomo che cerca di incollare a uno a uno i pezzi in cui, all’improvviso, si è frantumata la propria vita. E noi non possiamo fare altro che seguirlo nella sua ricerca, e incitarlo, e dargli il nostro sostegno. E fare il tifo per lui.


 

 

Fabio Disingrini

Sherwood Anderson, WINESBURG, OHIO (Einaudi, 2011)

L’immaginifica solitudine di Enoch Robinson «re dagli occhi azzurri», l’incalzante ossessione per le idee di Joe Welling, la piccola epica della famiglia Bentley, le mani di Wing Biddlebaum e il loro moto incessante nella prova di nascondersi: è una pluralità di voci dell’America dei pionieri che anima Winesburg, Ohio, la parte di tutte le civiltà contadine nel varco che le estingue. La letteratura di Sherwood Anderson è un silenzio carico di aspettative, il modello descrittivo di una generazione di scrittori da William Faulkner a Charles Bukowski, da Ernest Hemingway a Francis Scott Fitzgerald, che non esitò a definirlo «il primo grande narratore americano del ventesimo secolo». Winesburg, Ohio è la sua “Spoon River dei vivi”, non un romanzo né un’antologia di racconti, ma un mosaico di solitudini condivise da un unico protagonista (il giovane cronista George Willard) che si dipana lungo tutte le pagine. Winesburg, Ohio è il ritratto di un’America biblica e rurale, presbiteriana e clandestina, che Anderson eleva con il suo stile essenziale, mimetico e neutrale agli eventi, generando la letteratura americana contemporanea dalle radici della terra e all’alba della modernità. Winesburg, Ohio è un piccolo capolavoro di quelli a cui piace sottrarsi, un libro da svelare o riscoprire adesso, leggendolo, come Amos Oz, «per un’intera notte d’estate, in preda a un’emozione febbrile e a una specie di ebbrezza». Pensate a un caldo tramonto, a un chiaroscuro di distese campestri e al profumo della pioggia estiva: così, mentre in autunno i frutteti si temprano nel freddo, proverete la dolcezza inattesa delle mele vizze.