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L’ultimo Fortini: denso, surreale e intimista

La riedizione del 2015 de il Saggiatore dell’ultima silloge di Franco Fortini Composita solvantur ha il gusto di una riscoperta. Pubblicata nel 1994 da Einaudi, la raccolta ha chiuso la carriera artistica di questo longevo critico, professore, traduttore, poeta – e altro ancora – fiorentino/milanese.

Fortini riunisce vari nuclei di poesia databili tra il 1984 e il 1993 (in parte già editi), in questa raccolta dall’esplicito sapore di dissoluzione condito con un autobiografismo mai troppo autoreferenziale o implicato in vicende solo private. Procediamo per punti. La raccolta. Si compone di cinque parti titolate (di cui una dà il nome all’intero libro), uno scritto corsivo d’apertura, un’epitome che chiude l’ultima sezione e un’appendice (di light verses e imitazioni). Suggellano il volume le note del poeta, gustose e di certo esplicative sebbene non analitiche, e il saggio di P.V. Mengaldo, già apparso nell’“Unità” il 28 marzo del 1994. I testi poetici sono in molti casi privi di titolo e segnalati nella pagina con una parte del primo verso seguita da puntini di sospensione mentre nell’indice tra caporali e senza puntini.

Il titolo. Lo spiega lo stesso Fortini nelle sue note finali rimandando al testo Sopra questa pietra… (pag. 64) e parafrasando l’epigrafe sul monumento funebre di Francis Bacon: «si dissolva quanto è composto, il disordine succeda all’ordine (ma anche, com’era nel vetusto precetto alchemico, si dia l’inverso)». I temi. Pur non volendo essere esaustivi, i principali nuclei tematici presenti nella raccolta riguardano il rapporto con la natura, la storia (nel senso di accadimenti di cui Fortini è stato testimone, si veda ad esempio Italia 1977-1993, o di Storia con la s maiuscola come nel caso delle Sette canzoni del Golfo), l’arte poetica, l’amicizia, il tema della vecchiaia contrapposta alla giovinezza e dunque il rapporto vita-morte con annesse dissoluzione e perdita. I luoghi. La poesia di Fortini evoca luoghi ma è sostanzialmente statica. Si citano Siena, il Trinity College di Cambridge (nell’omaggio a Francis Bacon), la Turingia e altri Bundesländer e poi la casa del poeta, un ospedale e altri luoghi a lui familiari.

Lo stile. Difficile definirlo con una parola in quanto la raccolta si compone di più nuclei. Fortini è a tratti autobiografico, solenne, a tratti colloquiale e ironico. Surreale dirà Mengaldo. Elegiaco aggiungiamo. Per citare ancora il critico milanese, la sua è una «poesia dell’intelligenza», intesa come intelligenza di analisi, di comprensione delle cose e anche di creatività. In altre parole una poesia concettuale ma non ermetica, a volte onirica e spesso privata in un esistenzialismo minimale. Il poeta cerca il senso ultimo delle cose, una loro ricomposizione mentre si stanno dissolvendo in un momento in cui anche per lui si fa il tempo dei ricordi e dei saluti («uno dei miei compivo ultimi anni» in Quella che… a pag. 31). Un elemento pare importante: la presenza massiccia di verba dicendi e di pronomi che invitano al dialogo, in assenza di un tu preciso, tra il poeta e il suo lettore. La metrica. I versi liberi della raccolta, con un alternarsi di versi lunghi e versi brevi formali, non mancano di riconoscibili endecasillabi, che sono i versi più frequenti («o sperate in quel dio che vi innamora?» in Disoccupato… a p. 20), alessandrini, novenari e settenari. Le rime ricorrono più o meno perfette (interessante la rima «Dio-urlìo» in Qualcuno è fermo… e la rima imperfetta («mattonelle-pupille» a p. 35), assieme alle assonanze («freddo-inverno», sostantivi legati semanticamente a p. 49). Frequentissimo l’enjambement soprattutto in concomitanza dei versi corti. Tra le figure retoriche spiccano l’allitterazione («di che cosa è composto il giardino», in E così una mattina..), la sinestesia («Il fuoco profuma» in Nel cortile…), l’enumerazione («elci frassini faggi carini larici olmi» in È il temporale…), l’anastrofe («lento a dèi crudeli e ignoti | va il mio bruno ultimo fiele…» in Se mai laida…). Il lessico. Stupiscono alcuni termini “anti-poetici” come «metaldèide» (in Se mai laida…), alcuni termini letterari («visceri» e «spini» in Stanotte…, «la spera» a p. 33 e «erebi» a p. 36) e alcuni dialettismi («acquata» per temporale).

Le fonti. Anche in questo caso il collage è evidente. Il poeta si rifà alla tradizione classica (è presente, oltre al titolo, un testo in latino, Transi hospes a p. 63), ad altre fonti letterarie (come omaggio dedica a vari scrittori alcuni testi imitandone lo stile, Machado, Saba, Baudelaire, Brecht, Heaney), la Vulgata, Dante (soprattutto il Purgatorio), l’Epistola ai Romani (8, 21), alcuni poeti contemporanei come Montale, Sereni e Raboni e anche se stesso (le raccolte Foglio di via e altri versi del 1946, Una volta per sempre 1958-1962 del 1963). Altre fonti sono le canzonette popolari, detti e proverbi («Sì, d’aprile il dormire è cosa bella» in Aprile torna…). I più riusciti. Tra i testi maggiormente riusciti, se Mengaldo segnala Stanotte…, a me piace sottolineare l’attualità e il messaggio positivo di Lontano Lontano, una poesia in distici a rima baciata sulle guerre del Golfo degli anni Novanta («Potrei sotto il capo dei corpi riversi | posare un mio fitto volume di versi?»).

Franco Fortini, Composita solvantur, Milano, il Saggiatore, 2015, pp. 112 , € 12 .