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Seconda giornata: Siegfried

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di Anna Girardi

Giovedì 20 giugno il fedele pubblico scaligero di queste due settimane wagneriane ha avuto modo di assistere alla seconda giornata del Ring. Questa volta è Siegfried il protagonista principale della fitta trama di avvenimenti cui Wagner ci ha abituato.

L’opera è la più positiva tra quelle del ciclo, in cui il bene sembra avere la meglio sulla tremenda sorte cui la stirpe degli dei è destinata. Non a caso, infatti, è l’unica che si conclude con un finale gioioso. O quasi.

Nato dall’amore incestuoso tra Sigmund e Sieglinde, Siegfried viene cresciuto in mezzo alla foresta dal nano Mime cui è stato affidato dalla madre morente. Mime, fratello di Alberich (colui che aveva rubato l’oro del Reno), sogna di utilizzare la forza del giovane per impadronirsi dell’Anello del potere, gelosamente custodito dal gigante Fafner, trasformatosi in drago. Siegfried infatti è dipinto come l’eroe forte e “senza paura”; egli riesce a forgiare la spada invincibile (Notung), ad uccidere Fafner e a liberarsi del malefico Mime. Guidato poi da un Uccellino della foresta, di cui capisce il linguaggio dopo aver bevuto accidentalmente il sangue del drago, si avvia verso la rupe circondata di fuoco in cui giace Brünnhilde addormentata. Wotan proverà a bloccargli la strada ma la sua lancia viene spezzata dalla spada di Siegfried che trionfante e “senza paura” supera il cerchio di fuoco e – come nelle favole – sveglia Brünnhilde con un bacio.

L’opera si conclude con il duetto dei due innamorati, pronti ad iniziare un illusorio rinnovamento della stirpe umana. Illusorio perché, come già anticipa il titolo, il Crepuscolo degli dei vedrà la fine del mondo che abbiamo imparato a conoscere. Anche musicalmente il duetto non è trionfale e cristallino ma velato da un qualcosa di malinconico (Wagner spesso e volentieri anticipa con la musica ciò che non è ancora stato detto nel testo) e inoltre, avvicinandosi a Siegfried, Brünnhilde sceglie consapevolmente di abbandonare il mondo degli dei: essa non farà più parte delle Valchirie, divine vergini guerriere, ma diventerà una donna. L’amore dunque nasce da un atto di rinuncia.

Iréne Theorin (Brünnhilde), già elogiata in Valchiria, si riconferma un’eccelsa cantante adatta al ruolo che è chiamata ad adempire; forse sul finale la voce era un po’ affaticata, ma dopo cinque ore di canto su toni piuttosto acuti è giustificabile. Lance Ryan (Siegfried), al contrario, non ha brillato, mentre bravi sono stati Johannes Martin Kränzle e Peter Bronder, rispettivamente Alberich e Mime.

L’orchestra ha talvolta commesso qualche imprecisione ed è capitato che le voci venissero sovrastate dal suono, soprattutto nel terzo atto, mentre nei primi due ha suonato forse meglio che nelle altre due rappresentazioni.

 

Merita un cenno particolare la splendida realizzazione da parte di Guy Cassiers della foresta in cui vive il drago: il secondo atto si apre con una fitta trama di alberi realizzati con delle reti militari avvolte su se stesse in mezzo alle quali è presente una luce che esalta la trama della rete facendola sembrare fogliame. Una ulteriore luce laterale, poi, proietta tutte le ombre verso destra rendendo l’atmosfera in cui si aggirano i personaggi cupa e magica allo stesso tempo.

Come per le altre due rappresentazioni, al termine dello spettacolo il numeroso pubblico si è prodigato in lunghi applausi a conferma della riuscita della rappresentazione, che sarà replicata giovedì 27 giugno.