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Natale con gli Alt-J

Amo i regali, soprattutto quelli in anticipo e inaspettati. Magari in anticipo sul Natale che invece non è che mi piaccia poi tanto perché lo so che verso le cinque del pomeriggio comincia a calare quella cappa umida e densa di tristezza e mi ritrovo con orde di parenti a pitonare sul divano, come fossi proprio un pitone che ha appena ingoiato un’antilope tutta intera e se ne sta immobile per giorni, aspettando che il processo di digestione giunga a una fine. Io preferisco la vigilia, insomma: dev’essere un po’ la sindrome da sabato del villaggio.

Caso vuole che quest’anno qualcuno mi abbia fatto un regalo, un regalo di Natale in anticipo, assolutamente inaspettato. E, meraviglia, si trattava proprio del biglietto per il concerto degli Alt-J a Milano. Chi sono gli Alt-J? Quattro ragazzi di Leeds che quest’anno, dopo una serie di EP (il gruppo nasce nel 2007), se ne sono finalmente usciti con questa chicca intitolata An awesome wave, onda che tutti i sedicenti alternativi giovani fuori (ma anche solo giovanissimi dentro) sembrano surfare di gusto, a giudicare dal pubblico pagante. Quattro ragazzi inglesi che stanno spopolando in tutta Europa tanto che, qui a Milano, l’organizzazione ha dovuto spostare il concerto dal Tunnel ai Magazzini, vista l’alta richiesta di biglietti.

Della mia prima volta ai Magazzini ricordo una volante posteggiata davanti all’ingresso, le portiere spalancate e due poliziotti appoggiati alle transenne, intenti a fumarsi il turno fino all’ultima boccata: tutto tranquillo, in apparenza. Poi però sono entrata e sembrava di stare a Ibiza, trentenni impasticcati e gente che smercia liberamente cocaina all inclusive.

Venerdì di droga non ne ho vista ma è stato comunque un viaggio, un vero e proprio tuffo negli anni ottanta, un ritorno  agli sgargianti fuseaux attillati delle lezioni di aerobica con Jane Fonda e, in aggiunta, una manciata di pellicce piumate, diademi e rossetti gotici: tutti ammassati come nelle migliori tradizioni, i soliti ignoti che sfidano il concetto di incompenetrabilità dei solidi, valanghe di fan francesi e spagnoli.

Il concerto, sold out da giorni, comincia con i soliti 20-25 minuti canonici di ritardo: il palco è ancora deserto e inizia l’Intro, prima traccia dell’album, poi salgono i quattro di Albione ed è subito entusiasmo. Dopo avere eseguito Interlude I, sfornano di seguito: Tasselate, Something Good, Dissolve Me e Fitzpleasure, concentrando dunque in questa prima parte quasi il meglio del lavoro in studio. Joe Newman (cantante/chitarra) non sbaglia una nota, dando prova eccellente anche dal vivo del suo timbro caratteristico, i francesi al mio fianco sono incontenibili e al verso di Something Good che recita «Matador, Estocada you’re my bloody sport» ecco esplodere il patriottismo spagnolo. Ma il fonico è un disastro: il rimbombo dei bassi è irritante ed eccessivo e, se avete appena una vaga idea della struttura dei brani, potrete intuire l’entità del problema. A metà concerto, sento qualcosa che mi suona vagamente familiare ma poi mi dico che no, non è possibile. E però, aspetta…e infatti sì: ecco che gli Alt-J si lanciano in una cover di Kylie Minogue, per la precisione Slow (Body Language, 2003) e la fanno talmente loro che nessuno sembra accorgersene*. Proseguono poi con altri cinque pezzi (Matilda, Interlude II, Bloodfood, MS e Breezeblocks) suonati magistralmente (oh ma sono uguali al cd! cit.) ma la cui resa è spesso e volentieri disturbata dall’arroganza della linea di basso e, su MS, anche da qualche fischio dell’impianto. Il gruppo abbandona il palco per una breve pausa ma dopo qualche minuto ecco riapparire Joe Newton e Gus-Unger Hamilton (tastiere) per l’esecuzione di Hand Made, uno dei quattro singoli che il quartetto registra agli esordi (nonché ghost track inclusa in Taro). Per il gran finale ecco riapparire anche Gwil Sainsbury (chitarra/basso) e Thom Green (batteria) così che la band, nuovamente al completo, può salutare il pubblico (di già?!) con Taro, accolta con un’ovazione. Il concerto si conclude dopo appena 45 minuti ma, con un solo album all’attivo, sarebbe stato difficile fare di più; neanche il tempo di prendere un cocktail e fumare una sigaretta che i buttafuori cominciano a fare ciò per cui sono pagati e cioè buttarci tutti fuori, spingendoci verso i cancelli perché «è tardi, ragazzi! Dai, andiamo tutti a casa che si deve chiudere!».

 

E poi uno si ritrova in circonvallazione, in una panda, a bere Moretti da 66cl e, parlando, finisci per scoprire che questi Alt-J hanno ancora qualcosa da insegnarti: l’ultima traccia del disco infatti deve il proprio nome a Gerda Taro (Gerta Porohylle, 1910-1937), fotografa di guerra ebreo-polacca, attivista all’interno del Partito Comunista tedesco e compagna di Robert Capa (aka André Friedmann), alla cui memoria è dedicato il brano; lo slancio militante e il coraggio di Taro la portarono a perdere la vita, giovanissima, durante il reportage che stava realizzando sul conflitto civile spagnolo, divenendo così la prima fotografa di guerra a perdere la vita durante lo svolgimento del proprio lavoro.

Concludendo: bravi anche live, questi Alt-J e direi, a tratti, impeccabili. Certo è che le atmosfere ipnotiche e le melodie magnetiche e incantatrici evocate dai loro brani meriterebbero un’attenzione diversa dal punto di vista tecnico del suono e, magari, un ambiente che non faccia tornare a casa con l’impressione di avere partecipato a un mero riempitivo nella programmazione di un locale che, molto probabilmente, campa di ben altro. A causa del repertorio limitato poi, avrei trovato più onesto pianificare la loro performance magari in apertura a qualche altro concerto (soluzione adottata ad esempio in Germania, dove gli Alt-J hanno aperto come gruppo spalla all’esibizione dei Two Door Cinema Club). Mi auguro che quest’onda grandiosa non si esaurisca nel giro di una marea perché gli Alt-J sono bravini davvero, i pezzi funzionano e non annoiano dopo i primi due ascolti; detto questo, immagino che la mia valutazione sarebbe potuta risultare decisamente più rancorosa se il biglietto non mi fosse stato regalato perché, diciamocelo, spendere 18 euro e 40 per un concerto di appena 45 minuti con quel tipo di service…magari anche no.

*Potete ascoltarvi il mash up, visitando il loro profilo soundcloud.