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LitBlogStorm, e il rischio della tempesta ferma

 di Davide Saini

Vorrei anch’io, nel mio piccolo, contribuire al dibattito che ha intenzione di aprire LitBlogStorm intorno ai blog, ai blogger e alla multimedialità nella critica letteraria e nella letteratura tutta. Approfittando di questa possibilità vorrei esprimere alcune mie idee e alcuni avvertiti pericoli attorno all’attività dei blog letterari.

La forma blog e l’evoluzione della lettura.

Si tratta di un argomento gigantesco e che crea grossi scompensi a chiunque sia appassionato, ami o lavori con la lettura.

Dal punto di vista del cambio di modalità della lettura, a mio avviso per il momento la lettura sta ancora in grandissima parte su carta e l’aumento dei reader e degli e-book rimane ancora fenomeno piuttosto limitato. Sul fatto che i reader siano il futuro già ho delle perplessità, su come poi questo nuovo mezzo possa modificare le modalità di lettura non mi azzardo a fare ipotesi, probabilmente sarò già uno della vecchia generazione che non capirà.

Dal punto di vista del critico, però, credo che questo scenario crei una vicina, prevedibile, immensa e inesauribile voragine: se tutti leggeranno su e-book, tutti potranno anche pubblicarne. Ogni persona con un minimo di capacità informatiche potrà infatti caricare un e-book saltando ogni passaggio editoriale e mettendo in vendita il proprio libro per proprio conto o tramite raccoglitori vari ed eventuali. A quel punto ancora più utile sarebbe la critica ma ancora più folle e mastodontica la sfida di orientamento del lettore verso prodotti di valore.

La natura del blog, del resto, sembra essere variata. Innanzitutto, il concetto di grande blog con miriadi di commenti al secondo è morto tempo fa (lo erano i primi blog, i dinosauri). I grandi blog catalizzatori rimasti sono blog di norma storici, dinosauri sopravvissuti, anche perché spesso poggiati su animatori di risonanza mediatica (Lipperatura oppure giap di wumingfoundation). Dopo gli inizi il settore si è frazionato e si va sempre più ripartendosi, fino a creare in pratica un blog a testa (cosa che del resto rispecchia appieno la tendenza egocentrica complessiva della nostra società: tutti scrivono e nessuno legge). Insomma, potremmo trovarci nella situazione in cui chiunque scrive e pubblica in proprio. Chiunque critica (ognuno uno scrittore diverso) ne scrive accuratamente e pubblica in proprio le proprie riflessioni. E nessuno legge. Da questo punto di vista, non credo che i blogger siano abbastanza consapevoli né abbastanza allarmati.

Una domanda che ci si dovrebbe porre per esempio è: quanto il discorso si è spostato sui social? Quanto i social aiutano il blog e quanto invece sono oramai il vero tramite con i lettori? In dipendenza a questa domanda, quanto la cultura dei social e la visione internettiana del “bimbominkia instagram” influenza il pubblico dei nostri lettori?

E continuando così: quanto la rivoluzione informatica sta permettendo ai lettori avveduti di trovare materiali per le loro menti e di esprimere il loro parere e invece quanto sta contribuendo a creare un calderone di aspiranti pensatori, letterati scrittori, provocatori, cretini di ogni sorta e paese? Quanto cioè sta aiutando a creare quell’ambiente di bimbiminkia evoluti di cui poi ci lamentiamo?

Oppure ancora: Quanto la discussione letteraria online assomiglia a un aula di asilo piena di bambini urlanti, in cui ognuno sfoga il peggio di sé, coprendo le tre o quattro voci sensate? E domanda ulteriore, da cosa poi si possono distinguere queste voci in mezzo alla bagarre?

In parte, credo, che il ritorno al cartaceo (a mio avviso avvertibile in alcune iniziative e, ancora di più, nelle esigenze dei lettori) risponda a questo. Alla necessità di zittire il macello multimediale per favorire una voce sola alla volta, una voce da criticare certo, ma di cui fidarsi invece di mille voci nella rete di variabile accuratezza e affidabilità. Il mondo della rete sembra diventare sempre più colorato, sempre più immediato, sempre più ammiccante. Ma è difficile parlare di letteratura e fare cultura vestiti da clown in mezzo al circo tentando contemporaneamente di intrattenere spettatori pronti ad annoiarsi.

Ho già detto come, secondo me, il formato blog vecchia maniera sia andato perso. Non ci sono più l’attenzione e il seguito di tempo addietro; poter dire la propria, potersi esprimere direttamente online e magari in una conversazione diretta con scrittori e critici non è più una novità

Nella perdita di tutto ciò, acquisito alla normalità, si sono persi anche i lettori veri, quelli che davvero avevano qualcosa da dire, che si sono ritirati in altri spazi di riflessione più appartati ed evitano la caciara dei commenti ai blog, evitano la ridda di siti e discorsi più o meno sensati (di norma meno) che si sviluppano frequente online, leggendosi i loro libri in santa pace.

Nell’affrontare il cambiamento dei blog e dell’epoca dobbiamo porci alcune domande: quanto del nostro approccio è influenzato da logiche vecchie sui blog? quanto la nostra visione della cultura è antiquata? quanto la nostra visione della rivista è legata al cartaceo o quanto è, invece, arrembante dal lato web grafico?

Non sono tratti per forza negativi, per esempio un ritorno ad alcuni aspetti del cartaceo sarebbe una soluzione a quella che io percepisco come una caduta del blog old-style a paginone scorrente a favore invece di blog decisamente più strutturati e articolati in rubriche e pagine divise come si strutturano le riviste. L’essenziale è prenderne coscienza e viverlo come un problema reale. Capire cioè qual è il nostro mezzo, come funziona e come vogliamo costruirlo. Ché il mezzo, non sarò io a dirvelo, cambia troppo il contenuto per non essere adeguatamente problematizzato.

L’autorità

Non può esserci critica, né letteratura, senza autorità. Dal punto di vista dei blog letterari a mio avviso questa problematica si divide, a livello preliminare e di analisi, in due punti ben distinti. 1) L’autorità quando c’è giunge dall’esterno e arriva a legittimare e non invece a essere legittimata; 2) Nel mondo del web sotto molti punti di vista il giudizio è quantitativo e non qualitativo.

Per quel che riguarda il primo punto direi che il discorso va esteso, e va esteso notevolmente. Nel senso che, innanzitutto, al momento la cultura italiana vive un periodo di quasi vuoto istituzionale, in cui rimangono i grandi vecchi ma poi non c’è più nessuno di già molto affermato che possa essere considerato un’autorità (non è sede per cercare spiegazioni a riguardo). Dal punto di vista dell’università il contributo di professori e critici al mondo del web è molto basso, ma bisogna lasciare tempo al tempo (e già molto è cambiato). Questa assenza di punti di riferimento porta i blog a innalzare di un gradino l’opinione di alcune figure culturalmente abbastanza riconosciute nel mondo esteriore (scrittori o critici) senza approfondirne più di tanto le motivazioni, le capacità e le reali competenze ma fidandosi del loro status e della loro autorità, per quanto labile (che alla fine da scrivere un paio di libri a diventare maître à penser ne corre parecchio e parecchio dovrebbero correre alcuni).

Per quel che riguarda il secondo punto, invece, è un metro di misura imposto in qualche modo dal mezzo ma anche dalla società tutta, ma che rischia di finire in una gara a chi ce l’ha più lungo. Quanti accessi giornalieri hai? Quanti followers? Naturalmente, come tutti sappiamo questa unità di misura deve essere sottoposta a molte tare. Per iniziare, importantissimo: accessi≠lettori, ma poi anche lettori≠lettori di valore e poi, in ogni caso, tanti lettori≠testi di qualità.

Tutto ciò è importante per il discorso dell’autorità, perché essa viene misurata sulla base di questi dati. Dobbiamo quindi porci domande ulteriori circa il riconoscimento esterno: 1) da chi vogliamo o vorremmo essere riconosciuti?; 2) in base a cosa possiamo essere riconosciuti?

Primo punto: vogliamo essere riconosciuti dalle università? Dagli intellettuali? Dai giornali? Dalla televisione? Secondo me da molti punti di vista questo cercare conferme in altri mezzi che hanno altre logiche è dimostrazione di insicurezza. A questo proposito, come dice bene Giacomo Raccis qui, si può parlare di paradosso del blogger.

D’altro canto la televisione inglese potrà anche accogliere un blogger, ma di certo questo riconoscimento sarà su base quantitativa e non qualitativa: alla televisione interessa qualcuno che porti audience non qualcuno che ragioni seriamente, interessa qualcuno che parli di 50 sfumature di grigio a metà mattinata alle sciure, non qualcuno che parli seriamente di cultura pur con l’incredibile charme che ci contraddistingue tutti. La valutazione del blog si basa su quante persone lo leggono (o almeno vi accedono) e così, naturalmente, a vincere non può che essere il Moccia, o ben che vada il Baricco, de noaltri. D’altronde, estendendo il problema, dove si svolge oggi il vero dibattito culturale? Su Alfabeta 2? Sul Corriere? Tra baroni universitari? Da chi dovremmo e vorremmo essere riconosciuti (e di conseguenza chi riconosciamo)?

L’autorità ha anche un altro lato nascosto e piuttosto oscuro, quella che potrei chiamare la sindrome TQ (se preferite Renzi). Cioè il voler cambiare il sistema non tanto per la convinzione che sia sbagliato, ma per buttar giù chi sta sopra e prenderne il posto (il fatto, poi, che il blogger letterario non sia solo spirito e che debba pur mangiare rende notevolmente più complicata la situazione). Questo va alle singole coscienze, che anch’io credo sicuramente che sia necessario un cambiamento e che i blog dovrebbero assumere molta più importanza e che alcune personalità e alcune riviste dovrebbero acquisire, grazie ai propri meriti e capacità, una posizione di autorità nel campo culturale tutto. Ma ricordiamoci che lo scopo di fondo è lavorare attivamente a livello culturale sulla popolazione, anche perché questa è l’unica via che credo possa pagare a lungo termine. Ma qui si trova un altro, grosso, problema.

Chi ci legge? Quale sarà il nostro ruolo?

Su questo tema vorrei confrontarmi con più persone possibili (e sono molto felice dell’occasione di LitBlogStorm), ma la mia percezione a riguardo ha avuto sufficienti conferme da proporvela (rimanendo pur sempre un’ipotesi). I lettori sono pochissimi e tendenzialmente siamo noi, che scriviamo, ci leggiamo, ci commentiamo. Un profilo quindi di persona che oltre a essere interessata si muove anche nel settore in maniera più o meno velleitaria, che è bombardata di informazioni, e che quando nasce un nuovo blog magari lo aggiunge in coda ai preferiti dopo altri 50.

Il blog di letteratura sembra quindi collocarsi, anzi incastrarsi, in uno spazio piccolo piccolo in cui fare a gomitate coi vicini per conquistare i pochi lettori attenti e acculturati che ci sono in giro. Il gioco però non deve essere questo, non può essere solo questo. So di parlare di massimi sistemi quando lo dico, ma bisogna cercare di allargare il pubblico. Voi direte, sì certo, si sveglia lui e allarga il pubblico dei lettori in Italia, che nessuno c’aveva mai pensato. So che è difficile, ma non per questo dovremmo smettere di pensarci, e i blog letterari secondo me potrebbero aiutare questo processo e dovrebbero cercare delle forme per di allargare il pubblico tramite internet (sempre tentando di evitare il pagliaccio colorato che ogni tanto cerca di far passare un’informazione).

Da questo punto di vista vedo come altamente positiva l’iniziativa di LitBlogStorm, per cercare di unire i blog in una rete invece che pensare ognuno al suo orticello. Il problema è riuscire a trovare una formula e una qualità tali da poter intervenire attivamente a livello culturale. La necessità sarebbe quella di un’iniziativa in grado di creare cultura e attivare i lettori, allo stesso tempo in grado di sovrastare il continuo urlio di internet, la sovra-offerta e le migliaia e migliaia di scrittori. E qui in un circolo vizioso ritornerebbe in ballo il problema dell’autorità; ma essa deve essere causata dal valore e dalla capacità dinamizzante, e non può funzionare al contrario (anche se si rivela indispensabile per un procedimento elicoidale).

I problemi dei blog letterari sono, ovviamente, legati alla letteratura tutta e alle sue questioni. Chi sono i lettori? Quanto leggono? Cosa leggono? Gli album delle figurine valgono? Ecc, ecc… Questi problemi ce li dobbiamo porre anche noi. Inoltre, i blog letterari dovrebbero prendere coscienza sia delle loro potenzialità sia della propria parte in tutto ciò, cercando di trovare il proprio ruolo e svolgerlo nel modo più etico e culturalmente funzionale possibile. Insomma dovremmo porci in maniera diversa e con grande urgenza la domanda: Quanto capiamo delle dinamiche dei nostri lettori? Cosa vogliono? Come facciamo a crearne di nuovi?

Il dibattito e il panorama culturale in Italia oggi non è solo da restaurare, è da ricostruire adattandolo alle esigenze attuali, bisognerebbe cercare di istruire i lettori, di attrarne di nuovi, cercare di ricreare una letteratura italiana in forza, aiutare giovani scrittori a emergere e a migliorarsi anche attraverso critiche, dicendo anche francamente a chi non si merita attenzione che non se la merita. Questo dovrebbe essere il fine, per quanto vago e gigantesco. Cercare di rompere il circolo vizioso di lettori bassi che comprano libri stupidi facendo produrre più libri stupidi ad editori che preferiscono vendere 100 libri oggi invece di tentare di educare un lettore medio.

Non possiamo solo badare al nostro piccolo gradino, a capire come fare bene il nostro, ma dobbiamo allargare la nostra visione al complessivo, alzare gli occhi a tutta l’infinita scala davanti a noi, sentirci a tutti gli effetti parte della letteratura e cercare di capire in che senso vada (compresa la predominanza della letteratura straniera in Italia). Dovremmo tentare di capire i tratti dei lettori, proprio perché come blog possiamo essere più ricettivi verso i singoli pareri, più vicini ai fruitori ultimi e di conseguenza abbiamo anche una certa responsabilità verso la cultura che tanto ci sta a cuore. Cercare di coltivare bene il nostro orto, cercar di collegare i nostri orti, cercare di invitarci più gente possibile ma anche badare a tutto l’insieme sapendo di poter svolgere un ruolo importante nel complesso.

Il rischio dei blog è che rimangano a sgomitarsi all’interno della situazione complessiva, adattandosi, piegandosi alle logiche, tirandosi per i capelli i pochi lettori e facendo scappare anche quelli bombardandoli (in questo senso il dover sempre e comunque mangiare non aiuta certo, ma anche la volontà di diventare autorevoli può essere mortifera). Rischiamo di trattare i lettori così come li trattano i nostri editori, come clienti, come realtà consumanti, e non come persone che vogliono crescere e vogliono potersi fidare. Non dobbiamo perdere una spinta verso la crescita culturale, non dobbiamo dimenticarci del valore culturale del nostro prodotto ma nemmeno di quali possono essere i nostri lettori e di cosa vogliono.

Il sistema sta cambiando e noi possiamo essere una forza attiva nel cambiamento, ma dobbiamo sapere in che direzione vogliamo andare, non lasciandoci andare a badare solo al nostro orticello, sentendo una spinta idealista se non ideologica. Altrimenti rischiamo una tempesta perfettamente ferma anziché perfetta.