Cominciare e finire: questo il titolo dell’inedita lezione americana di Italo Calvino che avrebbe dovuto essere una riflessione su quelle zone del testo che si trovano ai margini della letteratura e che ci immettono nell’universo letterario per poi espellerci più o meno brutalmente, facendoci tornare frastornati alla realtà. Calvino, si sa, amava gli inizi, quei momenti aurorali che per lui rappresentavano il «luogo letterario per eccellenza» perché sanciscono il discrimine tra “mondo scritto” e “non scritto”. Anche l’ultimo libro di Filippo Tuena, La voce della Sibilla (Il Saggiatore), è un’opera sulle origini poiché racconta la genesi di quel capolavoro novecentesco che è The Waste Land di T.S. Eliot, ricostruendo le vicissitudini biografiche ed editoriali che hanno portato alla stesura del poema e delineando il ritratto di quella società letteraria dei primi del Novecento dove incontriamo grandi personalità intellettuali come Virginia Woolf, Gertrude Stein, James Joyce, Henri Bergson.  L’autore indaga le molteplici motivazioni che si celano dietro la nascita della Terra desolata per cercare di capire le ragioni che hanno portato Eliot a scrivere un’opera che è diventata il manifesto di un’intera generazione; nel farlo, però, lo scrittore non trova alcuna soluzione ma offre solo ipotesi e interpretazioni tra le quali il lettore può muoversi liberamente, percorrendo la via più adatta a lui.  È un libro che racconta la nascita di un altro libro, ma uno strano paradosso vuole che il testo non si apre a partire dalla nascita del poema, bensì soffermandosi su un episodio accaduto molti anni dopo l’apparizione dell’opera (la prima data di pubblicazione di The Waste Land è il 1922).

E poi anche ragionare perché il primo capitolo di questo libro parli di quadri dipinti anni e anni dopo quello che dovrebbe essere l’inizio della storia e perché anche questa storia della dedica sia messa qui, prima che tutto cominci anche se è con quella dedica che la storia del poemetto può dirsi conclusa. Il tempo fa strane giravolte, occorre seguirle.

Il prima e il dopo, l’inizio e la fine si mescolano perché quando si tratta di ricordare, la memoria traccia percorsi impensabili e imprevedibili. 

«April is the cruellest month» è il celebre verso con cui Eliot apre il suo poema, sovvertendo l’idea della primavera come momento di gioia e di rinascita. La terra desolata nasce dalle ceneri, dai morti della prima guerra mondiale, le cui presenze ossessionavano Eliot e lo avvolgevano fino a stritolarlo. Lo stesso potremmo dire della La voce della Sibilla,dove la narrazione, come accade spesso nella produzione letteraria di Tuena, disseppellisce vite ormai spente e crea uno spazio in cui i defunti tornando tra i vivi li tormentano con la loro presenza. Dunque cominciare è finire perché il passato riflette nel presente tutta la desolazione di ciò che non c’è più. Il testo, però, non evoca solo fantasmi, al contrario, è anche un’opera che racconta ed esprime un desiderio di vita, perché per Tuena il passato alimenta sempre anche una spinta propulsiva verso ciò che si ama e si desidera. «Memory and desire», per usare una citazione di Eliot, sono le fondamenta alla base de La voce della Sibilla, un’opera che oscilla continuamente tra lo strazio di non poter riprodurre ciò che è stato e la voglia di creare, costruire e far nascere dal passato nuova vita. Così l’autore ipotizza che la stesura di The Waste Land sia iniziata a Parigi, in una piccola pensione in rue Saint Jacques dove Eliot aveva conosciuto, anni prima, il caro amico, morto al fronte, Jean Verdenal, e una volta ritornato nella capitale francese il poeta, tormentato dai ricordi e dal senso di colpa per non aver preso parte alla guerra, aveva scritto i primi versi del suo capolavoro.

La Ville lumiere, la città per eccellenza del xx secolo, pronta ad accogliere qualsiasi movimento artistico e ogni forma di espressione intellettuale, diventa lo scenario più adatto per far germogliare il poema di Eliot perché Parigi, con la sua vitalità da «festa mobile», «concede opportunità che, anche se non colte, producono sommovimenti».

La voce della Sibilla si presenta, come quasi tutta la produzione letteraria di Tuena, come un ibrido tra prosa e poesia, parole e immagini, biografia, romanzo, saggio, e assume le sembianze di un terreno incerto e instabile attraverso il quale lo scrittore, con spirito da filologo e con rigore documentaristico, si addentra nelle maglie di questa storia intricata e complessa. Sbaglieremmo però se leggessimo il libro come una ricostruzione storica di The Waste Land: non è questo infatti che interessa all’autore, quanto piuttosto riflettere su quegli aspetti affettivi, umani che hanno portato alla nascita del poemetto eliottiano. Tuena supera l’idea di scrivere un testo di critica letteraria per interrogarsi sulle motivazioni personali che hanno portato alla genesi dell’opera, leggendo così The Waste Land da una prospettiva inedita: non più solo come il poema che racconta il dramma della generazione perduta, uscita devastata dalla prima guerra mondiale, ma come un testo nato dall’esigenza personale di un poeta di scrivere la sua «autobiografia malinconica», come l’ha definita, l’amica di Eliot, Mary Hutchinson.

Il cuore del libro è rappresentato da un’amicizia che l’autore descrive mettendo in luce, con pudore e delicatezza, l’intimità e la sinergia che si crea tra due poeti: la relazione simbiotica, intellettualmente prolifica e stimolante tra T. S. Eliot e Ezra Pound, il “miglior fabbro” al quale il poeta de La Terra desolata dedica il suo capolavoro. Pound come il migliore dei fabbri, modella, salda, aggiusta contribuendo enormemente alla nascita di uno dei poemi più importanti del Novecento. L’importante e decisivo contributo di Pound alla stesura di The Waste Land viene affrontato da Tuena mettendone in luce anche gli aspetti più controversi. Eliot, infatti, a causa delle modifiche apportate dall’amico sul testo aveva sviluppato nei confronti del suo poema un sentimento di «parziale rifiuto». Emerge così un ritratto sfaccettato  dei due poeti, in cui si incontrano personalità diversissime tra loro: Eliot, insicuro, depresso e perennemente insoddisfatto della sua vita e dei suoi traguardi, caratterizzato da «una forma quasi nevrotica di understatement»; Pound invece ottimista e soddisfatto, con quel piglio pragmatico che è stato fondamentale per la nascita di The Waste Land: «Ezra praticava ottimismo e T.S. piuttosto il freddo contrario, vittima del poco entusiasmo che lo ghiaccia e sospinto a credere in sé dall’amico più che da sé». Pound rappresenta per Eliot quell’alterità necessaria affinché il poema possa compiersi, essere pubblicato e andare nel mondo. Personalità diverse ma unite da una passione totalizzante per la letteratura e la scrittura («cosa lega questi due caratteri è difficile da comprendere, forse solo la sistemazione di alcune parole della lingua inglese…»).

La voce della Sibilla è un libro che parla di scrittura ma riflette anche sulla scrittura, interrogandosi sui meccanismi della creazione letteraria. Qui il narratore si inserisce nelle pieghe del testo con commenti, riflessioni e ricordi personali, come accade in quasi tutta la sua produzione perché ogni storia per Tuena diventa l’occasione per indagare il processo di costruzione dell’opera. È quanto si verifica ne Le Variazioni Reinach (Rizzoli, 2005), dove le ricorrenti analogie tra il protagonista Léon e l’autore favoriscono interventi metanarrativi; ma anche nell’ Ultimo Parallelo (Il Saggiatore, 2007) dove lo spazio bianco dell’Antartide diventa metafora dello spazio bianco letterario (vale la pena ricordarlo, è qui che per la prima volta lo scrittore inserisce un riferimento a The Waste Land di Eliot). Tuttavia, a differenza del suo penultimo libro, Le Galanti (Il Saggiatore, 2019), un testo magmatico caratterizzato da una totale assenza di trama, in cui si ripercorrono le tappe della vita dell’autore attraverso le opere d’arte più significative per lui; ne La voce della Sibilla Tuena riprende le briglie della narrazione ritornando al piacere del racconto e allontanandosi dalla tentazione enciclopedica. Il risultato è un lavoro più conciso, ma forse anche più fruibile e meno dispersivo, che si presenta come un omaggio all’universo poetico.

Il libro, infatti, ha il merito, tra le altre cose, di avvicinare il lettore alla poesia, tendenzialmente avvertita come più ostica rispetto alla prosa narrativa. Ciò avviene grazie ad un tipo di narrazione che sostituisce la scientificità algida della critica con un racconto che si interroga sulle ragioni affettive che si celano dietro la genesi del testo. In questo, a mio avviso, sta la bellezza e la riuscita de La voce della Sibilla, che tramite l’indagine dell’amicizia tra Eliot e Pound e delle vicissitudini personali che si svolgono attorno al poema, è stato capace di offrire una lettura inedita e più complessa sull’origine di The Waste Land. Sembra suggerirci Tuena: non si può comprendere il segreto di un’esperienza letteraria senza raccontare l’esperienza umana da cui ogni opera artistica è generata. 


F. Tuena, La voce della Sibilla, Milano, il Saggiatore, 2022, 272 pp., € 19.